In carcere il tempo lo "ammazzi" o lo sfrutti

 

Così scrive Nicola, dal carcere di Treviso dove un gruppo di detenuti sta cercando di "sfruttare" il tempo dando vita a un nuovo giornale

 

Di Nicola P., aprile 2000

 

Mi chiamo Nicola e per le mie esperienze vissute non è facile descrivere la dimensione che assume il tempo trascorso in carcere, mentre è facile scivolare nella retorica dicendo che fin dal primo giorno di detenzione le lancette dell’orologio si fermano e il tempo non passa mai.

Sono molti i fattori e le varianti che incidono nell’intimo di ognuno di noi: lo stato d’animo, il carattere della persona, la consapevolezza o meno della pena a cui si va incontro per chi sta in attesa di giudizio, e la durata della stessa, per chi è già stato condannato.

La vita all’esterno, soprattutto in questa società, scorre per gli impegni e con ritmi a volte quasi frenetici, ai quali siamo più o meno tutti abituati! Una volta rinchiusi qui dentro ci si accorge realmente della durata di ogni singola ora, minuto, secondo. La fretta scompare, tutto rallenta, ogni cancello che viene chiuso alle spalle ci allontana sempre più dalla vita normale. Questo distacco e la distanza dal mondo esterno hanno un ruolo determinante, come una sorta di zavorra appesa all’orologio.

Fra i detenuti c’è chi scandisce il tempo in base ai colloqui settimanali con i famigliari, unica finestra sul mondo esterno, un’ora dove concentrare contatti e rapporti affettivi. C’è chi, nello sconforto e nella depressione, cade in letargo e lascia alla luce del giorno e al buio della notte il ruolo di clessidra!

La freddezza dell’ambiente, il ferro delle brande, dei cancelli, delle porte, delle sbarre, l’arredamento sterile delle celle ridotto all’essenzialità non aiutano per niente!

Chi non ha la fortuna di poter svolgere un’attività lavorativa o di frequentare un corso, pur non essendo retribuito, è costretto a passare più di venti ore al giorno in cella: e questi detenuti purtroppo sono la maggioranza.

Ogni giorno trascorso in una simile condizione è paragonabile in termini di tempo a due o tre passati in libertà. E non a caso in diversi paesi europei vengono conteggiate sia le notti che i giorni trascorsi in carcere, tanto che a livello giuridico un anno di pena scontata ne vale due.

Le ansie, i timori, i sensi di colpa e le angosce che ognuno di noi porta con sé sono a volte una pena superiore alla stessa privazione della libertà.

Ecco perché le varie attività offerte all’interno del carcere assumono una grande importanza.

Purtroppo sia il lavoro che i corsi professionali e artistici sono rivolti ancora a un numero troppo ridotto di detenuti. Anche l’attività sportiva, sebbene aperta a tutti, è ristretta. Però in complesso, per quanto mi risulta per esperienza personale (13 Istituti penitenziari), negli altri carceri la situazione è peggiore.

La mia non vuole essere una critica, ma penso che qualsiasi distrazione dalla routine quotidiana della "Sezione" sia un aiuto, uno stimolo per non cadere in un letargo depressivo.

E personalmente mi considero fortunato perché posso partecipare alla Redazione di questo giornale che sta nascendo, e frequento un corso di ceramica che mi sta appassionando e uno di giardinaggio. Gli insegnanti sono persone la cui disponibilità e umanità mi hanno colpito molto e fatto riflettere.

In cella dedico gran parte del giorno alla lettura, a scrivere, a cucinare, anche perché il tempo lo "ammazzi" o lo sfrutti; però certe giornate sembrano non passare mai; a volte, specialmente la sera, quando guardo il calendario, le foto di mio figlio, della donna che amo, gli occhi diventano lucidi e una lacrima traditrice mi accarezza il viso.

Vivo questo tempo come una parentesi, una pausa nella quale posso fermarmi a riflettere dei miei anni già regalati alle galere, al mio futuro e a quello di tutta la mia famiglia, che amo! Posso rivisitare attentamente mille situazioni come una moviola all’incontrario.

Posso camminare dentro me stesso, rivedere valori e aspirazioni, riflettere lentamente e profondamente; qui il tempo non manca! E poi posso soprattutto pensare al futuro mio e delle persone che amo, alla vita che mi aspetta fuori assieme a loro. Ho 35 anni e sono consapevole che questa esperienza, se pur negativa, rappresenta una sorta di giro di boa nella mia vita, non solo anagraficamente.

Vivendo all’esterno, spesso, non si ha il tempo necessario per fermarsi a riflettere con la dovuta tranquillità, perché la vita molte volte è una continua corsa. Certo non è che il carcere sia un toccasana, assolutamente no, ma può forse agevolare un esame di coscienza, anche se sta alla volontà di ogni singolo individuo intraprendere un cammino di recupero con se stessi e per se stessi.