Senza la bianca non avrei sparato

 

di Michele Ferraro, ottobre 2005

 

Ho 27 anni, sono in carcere da quattro per tentato omicidio commesso nel corso di una rapina a un tabaccaio. È partito un colpo di pistola, ma per fortuna lui non è morto. L’antefatto, in breve, è questo. In questi ultimi tempi i personaggi alla moda coinvolti in festini e tragedie, hanno portato alla ribalta la cocaina, come se prima non fosse stato un problema, o se lo era riguardava poche persone. E comunque c’era la sensazione diffusa che fra tutte le droghe pesanti fosse la meno insidiosa. Niente di più falso: la cocaina è pericolosissima al pari dell’eroina e di tutte le sostanze che danno dipendenza, fisica o mentale. Sono tutte devastanti quando l’uso è sconsi­derato, e anche quando l’uso – ammesso che ci si riesca – è controllato, fanno malissimo lo stesso.

Io sono nato in Sicilia, venuto al nord per lavorare che stavo bene di salute e qui ho conosciuto la cocaina. In principio solo nei fine settimana. Dopo sei giorni di cantiere come muratore o fino alle quattro di mattina a servire quando facevo il cameriere, tiravo qualche sniffata. Insomma, solo una volta ogni tanto, “una trasgressione” mi dicevo. “Tanto, smetto quando voglio”. E già. La cocaina socializza. La cocaina ti fa sentire bene, ti fa scopare. Minchiate, almeno per me, io mi isolavo anche dagli amici, non trombavo e diventavo aggressivo, e naturalmente i fine settimana diventavano sempre più allargati e poi senza fine. Avevo poco più di 22 anni. Una sera a soldi finiti e recuperati un po’ ovunque, dopo grammi e grammi tirati su senza freno, non restava che una rapina. O almeno, la testa mi diceva così. Qualunque cosa guardavo riuscivo nella fan­tasia a trasformarla in danaro e di conse­guenza in coca, e così di notte tardi un tabaccaio è diventato la preda incolpevole di una mente annebbiata.

Sono entrato, ho chiesto i soldi e chissà in che stato ero perché subito gli avventori del locale mi hanno aggredito, e io che ero così sopra le righe e così in tensione da sussultare a ogni piccolo rumore, ho sparato. Mi sono chiesto tante volte, in questi quattro anni, se avrei sparato se non fossi stato pieno di coca. E oggi sono certo della mia risposta: no, non avrei sparato. Adesso la mia mente è libera dalla nebbia, ma ricordare come mi ero ridotto e i danni che ho fatto alle persone oltre che a me, ancora mi sgomenta. E allora leggo gli articoli di Lapo c company e li comprendo. Capisco tutto il loro disagio e l’augurio che faccio a loro è di un ritorno alla vita senza nebbia nella testa. Loro, inoltre, hanno la fortuna di poterci riuscire senza aver preso dicci anni di carcere e aver quasi ucciso un uomo.