Quelli che non hanno voce

 

di Salvatore Maruzza, novembre 2004

 

Racconto la mia storia. La storia di tanti come me. Racconto la storia di chi si ritrova nel momento forse più bello della vita a dividerlo, a torto o a ragione, solo con se stessi. Mi trovo in carcere. Mi trovo solo con i miei pensieri. Ho davanti il rimorso di una coscienza che non sa rassegnarsi. Mi trovo in carcere con le mie paure, con le mie angosce. Vorrei raccontarmi, raccontare. Rivelare i miei segreti, il mio vero io. La notte la luna è a strisce. La guardo con la malinconia dei giorni più bui.

Ho ventisette anni. Un passato turbolento alle spalle ed un presente tutt’altro che sereno. Mi considero un diverso. Diverso non per una mancanza fisica o intellettiva. Diverso perché tale è la persona che si trova in questi luoghi. Diverso per condizione naturale, per forza di cose.

I diversi sono quelli che non hanno voce o ce l’hanno così bassa che nemmeno si sente. Quante volte ho cercato di alzarla. Quante volte ho cercato di farmi sentire. Il mio interlocutore è diverso da me. Dopo tanta carcerazione sto maturando l’idea che sia lo spettro di me stesso. A volte credo che sia questa la vera punizione per ciò che ho fatto. Alzo la voce trovando innanzi a me un muro: un muro sempre più alto e sempre più spesso. La mia istanza è più semplice di quello che si pensi. Chiedo solo di essere ascoltato. Chiedo quello che credo mi spetti. Quello che spetta ad un uomo che, dopo tanti errori, cerca un suo definitivo riscatto. Non si può pagare a vita. Non servono anni di reclusione quando nell’animo di ognuno di noi ci si sente pronti al ritorno nelle vita reale.

Il mio interlocutore, dunque, è diverso da me.

Io rappresento solo me stesso, con le mie paure, le mie tristezze, le mie angosce. Lui rappresenta l’istituzione, la legge, il dito che mi si punta contro per ricordarmi che ho sbagliato e sono un diverso. Voglio che il mio interlocutore sappia che, per me, lui non ha un volto. Lo rispetto, perché credo nelle diversità dei ruoli, delle funzioni. Lo rispetto perché prima ancora di essere il mio contraltare, è un uomo: un uomo come me. Quell’uomo che invece mi considera un diverso. Per fortuna non tutti i miei interlocutori sono uguali. C’è chi è rispettoso. Chi mi guarda e non mi giudica. Ci sono momenti però dove non esiste alcun dialogo. Esiste solo l’arroganza, la sopraffazione: quellillusione potenziale insita nella mente dei più.

Quante volte ho sentito questa frase: “Non importa; passaci sopra. Se davvero cerchi il cambiamento devi essere forte perché nel cammino troverai sempre simili interlocutori”. Faccio fatica a credere di essere un uomo libero quando uscirò da qui. Non si è liberi per il solo fatto di fare quello che si vuole. Si è liberi solo quando si è vivi dentro.