Una legge che alla violenza ha sostituito il dialogo

Ho sempre sperato che quella legge prima o poi verrà applicata anche a me

I ricordi di uno che ha vissuto in carcere negli anni “prima della Gozzini”, quando la violenza era all’ordine del giorno e in tanti giravano armati

 

di Mario Salvati, settembre 2008

 

Sono detenuto nelle carceri italiane dal 1983 con fine pena 9999 (cioè fine pena mai). Dal 1983 ne ho girate parecchie, di galere. Pur essendo carcerato da oltre 25 anni, non ho mai usufruito dei benefici della legge Gozzini, eppure, nonostante tutto, rimane sempre in me, e in altri compagni con condanne alte, la speranza che quella legge prima o poi venga applicata anche a noi. Scrivo questo per far conoscere a chi non sa – o a chi se ne è dimenticato – quello che succedeva nelle carceri negli anni precedenti all’introduzione della riforma penitenziaria e della legge Gozzini.

Nell’80 e nell’81 sono stato testimone di eventi drammatici, di pestaggi, omicidi e accoltellamenti a volte per motivi futili. Non solo omicidi tra detenuti, ma anche aggressioni contro il personale di custodia, agenti usati come scudi umani per evitare gli attacchi dei celerini. Basti pensare alla rivolta di Trani o di Porto Azzurro.

Dunque la violenza era all’ordine del giorno e quasi tutti giravano con coltelli, punteruoli imboscati come e dove meglio si poteva e pronti all’uso. Eravamo molto agguerriti, ma nonostante queste violenze, c’era molto affiatamento tra noi. Bastava un tam-tam (messaggi che di solito arrivavano da San Vittore, Rebibbia, le Vallette) ed ecco che tutte le carceri erano in rivolta. Il messaggio era chiaro: bisognava ottenere trattamenti penitenziari più umani.

Quando finalmente è stata introdotta la legge Gozzini, noi detenuti con condanne alte non credevamo che fosse possibile uscire qualche giorno in permesso ed eravamo scettici. Ricordo che fu Luciano Violante a venire nel carcere di Saluzzo a spiegarci l’utilità di questa legge.

Iniziarono ad uscire in permesso alcuni detenuti e cominciammo a crederci tutti. E la Speranza si radicò in noi. E allora si cominciò a cambiare atteggiamento per rispetto delle regole che la legge Gozzini richiedeva. Avendo la prospettiva e la speranza in un futuro da “permessante” (nel gergo carcerario, il detenuto che può accedere ai permessi premio) o semilibero, ci siamo abituati a non reagire più aggressivamente, ma a dialogare e a rispettare i compagni e gli agenti di custodia.

Oggi la stessa legge Gozzini viene usata per tenere le carceri tranquille, a minacciarci è sufficiente il famoso rapporto disciplinare, che esclude chi si comporta male da eventuali benefici. Anche con l’introduzione delle scuole in carcere e del volontariato, l’atteggiamento dei detenuti è cambiato: eliminando l’ignoranza e usando la riflessione si è arrivati a dialogare più che a reagire con violenza.

Io e tanti altri come me formiamo un mare di persone che da anni sono in galera e non sono mai uscite dal carcere. Se togliessero anche questa mite speranza, penso che non avremmo più nessun freno, che i conflitti sarebbero all’ordine del giorno e che difficilmente si potrebbe gestire un carcere senza usare continuamente la repressione violenta.

Se togliete questa Gozzini vediamo cosa succederà nelle carceri italiane.