Storia di Gilberto e di una vita tortuosa

 

Di Gilberto G., giugno 1999

 

Cresciuto senza padre e con una madre che lavorava fuori casa, cioè praticamente da solo, sono diventato introverso e litigioso a forza di subire angherie, ma questo non mi aveva all’inizio sconvolto la vita. Certe sbandate non mi erano ancora capitate e lavoravo regolarmente in una stamperia tessile.

Poi ho cominciato ad avere problemi nervosi, tra lo stress del lavoro e le incomprensioni a casa, e così a frequentare compagnie dove circolavano alcool e droga e presto mi sono ritrovato ad usare normalmente l’eroina.

Avevo 21 anni e, dal paese, mi ero trasferito in città, andando a vivere da solo. Ho cercato moltissime volte di smettere con la droga, andando anche in una comunità di recupero, ma tutti i tentativi sono falliti a causa della mia testa matta.

Con i soldi di una eredità e quelli che ricavavo dallo spaccio ho finito per darmi alla bella vita: non ero più il ragazzino ingenuo, fragile, sempre preso in giro da tutti. Ora sapevo come farmi rispettare, anche perché giravo armato.

Una storia con una ragazza, finita male, mi ha spinto a drogarmi sempre di più, per stordirmi, finché i soldi sono finiti e ho cominciato a cadere in basso, sempre di più. Ero diventato un vagabondo: dormivo in alloggi di fortuna, vivendo di furti e scippi. In quel periodo feci di tutto, avrei tagliato la gola a chiunque per rimediare una dose. Una notte ho cercato di uccidermi, iniettandomi una dose massiccia di eroina mischiata a psicofarmaci. Mi ero chiuso nel bagno di un treno e sono stato soccorso appena in tempo, salvato con le scariche elettriche. Dopo mi hanno portato in ospedale, dove mi hanno rimesso in sesto, ma appena uscito ho ripreso la vita di sempre, tutto un casino che è meglio non raccontare.

Nel giugno ‘95 mi hanno beccato su un’auto rubata insieme ad un altro ragazzo; lui lo hanno rilasciato quasi subito, invece io avevo varie denuncie e processi in corso e sono finito nel carcere di Bergamo. Pesavo poco più di 50 chili (ora sono quasi 100) e così mi hanno mandato in un centro clinico dove sono rimasto due mesi. Al rientro in carcere mi sono visto arrivare una accusa di omicidio colposo, spaccio, ed omissione di soccorso. Avevo venduto ad una ragazza una dose tagliata male: io la usavo così, ma chi si faceva saltuariamente non era in grado di sopportarla, o andava in coma o moriva, come purtroppo era successo a lei. In quel periodo c’era un lungo elenco di persone morte per droga sicché mi hanno torchiato per bene. Alla fine, un po’ per essere lasciato in pace, un po’ perché ricominciavo ad essere lucido e a capire le cose, ho deciso di cantare.

Risultato: diversi spacciatori sono finiti dentro, anche se molti di loro sono stati presto rilasciati.

Ritenevo di aver fatto la cosa giusta: avevo toccato il fondo e tutto quel giro mi aveva schifato, oggi non so più che cosa pensare. Trascorsi 10 mesi nel carcere, durante i quali mi ripresi in tutti i sensi e mi misi anche a studiare. Però ogni tanto cadevo in depressione ed una notte fui sul punto di tentare ancora il suicidio: mi ha aiutato il compagno di cella a non farlo e poi un volontario che frequentava anche un centro sociale.

 

Una lettera, la fotocopia della fotocopia di una fotografia, un colloquio

Tramite lui ho cominciato a ricevere lettere da molti giovani ed in particolare mi ha colpito quella di una certa Kres, filippina. Viveva in Italia con i suoi e lavorava come domestica, ma aveva seri problemi in famiglia, in pratica la tenevano segregata.

Tra "prigionieri" ci si intendeva, ci scrivevamo lettere lunghissime e già alla terza - quarta ci siamo sentiti innamorati. Non abbiamo potuto però continuare oltre perché sono stato messo agli arresti domiciliari, in attesa di giudizio, presso una comunità dove era vietato qualsiasi contatto con l’esterno, anche le lettere e telefonate. Senza i suoi racconti, i sui sogni, mi sono accorto di non poter andare avanti e di volerle davvero bene.

Dopo tre mesi sono stato trasferito presso un altro Centro di quella stessa comunità: era peggio della galera! Almeno in galera potevi leggere, scrivere, guardare la TV, avere insomma delle piccole libertà.

Ho chiesto, ed ottenuto, di tornare in carcere. Con il tempo, seguendo una condotta che neanche un santo, rompendo le scatole a tutti, sono riuscito ad ottenere un permesso speciale perché Kres venisse a trovarmi. Non c’eravamo mai visti prima. io le avevo mandato una fotocopia di una fotocopia di una mia foto; lei me ne aveva mandata una di quando aveva 13 anni.

Quel giorno sono arrivato alla sala colloqui con il cuore che mi batteva forte: di là dal banco c’era una sola orientale in attesa, evidentemente lei. Era in disparte, tutta pensierosa, mi sono avvicinato e le ho detto: "Ciao". E lei mi ha risposto allo stesso modo. Per tutta la durata del colloquio, più che parlare, ci siamo guardati. Il momento era troppo bello per rovinarlo con le parole.