La “scuola” del carcere

 

di Francesco Primicerio, settembre 2004

(Testimonianza tratta da Anagramma)

 

Il mio calvario è iniziato il 28 agosto del 2000. Punto di partenza è stato Poggioreale. Padiglione “Napoli”. In questa sezione del carcere napoletano ci sono rimasto sei mesi. Ho pensato più volte, in quei sei mesi, che forse l’inferno deve essere qualcosa di molto simile al padiglione “Napoli” di Poggioreale. Per quanto io ci pensi e ci ripensi non c’è modo di descrivere una realtà che non solo è manicomiale, ma è pure terroristica. Ci sono le regole scritte e quelle non scritte ed entrambi i codici valgono sia per i detenuti che per il personale. La cosa che ho capito è che in quel padiglione non esistono “diritti”; sì, ero capitato in un “luogo senza diritti” e con tanti e tali “doveri” da scavarmi dalle viscere tutto l’odio possibile. Naturalmente ciò non valeva solo per me, ma pure per i miei compagni di sventura. Odio e sentimenti profondi di rivalsa che non sempre si riesce a tenere sotto controllo, il che significa che spesso le “vie di fatto” sembrano la sola soluzione possibile. Questo diventa puntualmente un supplemento al già alto indice di violenza irrimediabilmente a carico della persona detenuta e, non di rado, con code giudiziarie aggiuntive. Si capisce che in condizioni simili il conflitto tra “guardie e ladri” ha il potere di accenderne un altro, ancora peggiore, se è possibile: la guerra dei poveri, secondo il proverbiale motto del “dividi et impera”. Avevo solo 22 anni e quei sei mesi resteranno certamente incisi nella mia memoria per tutta la vita. Un’esperienza che non auguro a nessuno ma sulla quale varrebbe la pena che qualcuno ci riflettesse. A chi ed a che serve? Che cosa insegna un esperienza simile? È possibile che lo Stato non si rende conto di questa semina di odio? E la legge, che cos’è la legge al padiglione “Napoli” di Poggioreale? Eppure i cittadini che pagano le tasse sono sicuri che la legge penitenziaria in carcere viene rispettata, almeno dal personale! Trascorsi i sei mesi di babilonia al “Napoli” sono stato “trasferito”, con un gruppetto di miei compagni, al padiglione “Torino”, la cui fama era ancora peggiore del “Napoli”. Se non l’avessimo già saputo, ci pensavano i poliziotti che ci accompagnavano nella “trasferta” a farci salire il panico con atteggiamenti e verbalizzazioni irripetibili ma decisamente minacciosi. Al padiglione “Torino” in realtà si stava meno peggio, anche perché in tale padiglione erano detenuti alcuni personaggi della cronaca nera metropolitana, quelli che non fanno e non vogliono casini. Una sezione con 45 detenuti è sempre comunque preferibile alla bolgia infernale del “Napoli”. Rimasi in quella sezione per altri due mesi. Poi fui trasferito a Secondigliano. Tutti mi dicevano che ci avevo guadagnato ad essere trasferito a Secondigliano. In realtà c’è voluto poco per capire che ero caduto… dalla padella alla brace. Già il giorno dopo il mio arrivo mi fu chiaro che alcuni dei miei compagni mi conoscevano e mi volevano bene, ma c’erano pure altri ai quali proprio non andavo giù. Continuavo a ripetermi che sarebbe stato meglio se fossi rimasto dov’ero prima. Ma ormai ero lì e certo questi trasferimenti non dipendevano da me. La cosa più insopportabile era il mio compagno di cella che russava tutta la notte e non c’era verso di farlo smettere… Le prime notti non riuscivo a dormire, poi in qualche modo devo essermi adattato, forse per necessità. Anche qui era la stessa solfa di Poggioreale con le provocazioni deliberate da parte della polizia, dove ci sono sempre alcuni che devono distinguersi per bravura o per prepotenza. Uno di loro pretendeva che lasciassimo le sigarette in cella quando andavamo alla “socialità”. Naturalmente me le trovava addosso nella perquisizione e quindi mi inviava al suo superiore per i provvedimenti del caso. E anche il suo superiore mi diceva… “quando c’è lui, evitate”. Anche alcuni detenuti non vedevano di buon occhio il fatto che io mi portavo le sigarette dietro. La mia ribellione, ovviamente, mi costava sempre rapporti disciplinari. Mi hanno anche cambiato di sezione, nello stesso padiglione, ma pure lì capitava il provocatore che insisteva a farmi rapporti disciplinari in continuazione. Mi cambiarono ancora di sezione ma la musica delle provocazioni non cambiava, anzi peggiorava sempre di più. A volte osservando alcuni poliziotti mi succedeva di pensare a dei veri camorristi. La prepotenza, almeno, era la stessa, nonostante la divisa, dietro la quale uno sempre si aspetterebbe un certo contegno… E arrivò anche lo scontro fisico, c’è un limite a tutto e pure alla mia capacità di sopportazione. Mi ritrovai malconcio, ammaccato da tutte le parti e con le ossa doloranti. In questi casi non c’è difesa possibile, anche perché il rapporto numerico è assolutamente sproporzionato. Anzi, poiché in questi casi agiscono in squadra contro un solo detenuto, nella ressa si fanno male pure tra di loro e alla visita medica dichiarano che è stato il detenuto! Seguirono 22 giorni di punizione in celia d’isolamento, durante i quali per ben due volte i miei familiari che erano venuti a farmi il colloquio furono mandati indietro senza spiegazioni. Finita la punizione fui trasferito al carcere di Avellino dove sono rimasto per due anni senza particolari problemi. Il carcere di Avellino non è Secondigliano e neppure Poggioreale, anche se è pur sempre un carcere col suo stillicidio di sofferenza. Ma almeno il suo governo non è basato sulla provocazione sistematica e quotidiana com’è a Secondigliano ed a Poggioreale! Infine, pochi mesi fa, sono approdato all’ICATT di Lauro, dove mi trovo tuttora e dove è almeno possibile ragionare, lontano dalle minacce e dalle provocazioni e dalle botte. Di più: qui è possibile ripensarsi guardando avanti, alla propria vita, gli affetti, la famiglia, il lavoro. In breve, è possibile guardare oltre il muro pur senza poter cancellare l’odissea infernale che pure ho vissuto. Qui ho ritrovato una dimensione umana ed un rispetto per la legalità che mi fa riflettere anche sui miei atti illegali, sia pure sulla spinta che l’uso di droghe provoca. L’ICATT non è il paradiso, anche questo di Lauro. È comunque un carcere e dunque con un indice di sofferenza insopprimibile, ma almeno vengo riconosciuto come una persona. Una persona che ha fatto degli errori, ma pur sempre una persona, depositaria di diritti e doveri!Non è poca cosa. Il fatto che io racconti, sia pure sommariamente, le mie vicissitudini carcerarie sul nostro giornale è una cartina di tornasole che mai avrei potuto fare dai carceri precedenti. Tutto questo dovrebbe suggerire delle cose. Io almeno lo spero.