“Questo è carcere, quello l’inferno”

Dove “questo” significa la Casa di reclusione di Padova e “quello” la Casa circondariale, dove la tazza del cesso, nelle celle occupate da tre persone, è “a vista”, posizionata vicino al cancello d’ingresso

 

di Flavio Zaghi, dicembre 2005

 

Può sembrare strano, ma l’impatto che si ha entrando nella Casa circondariale di Padova è totalmente diverso da quello che si ha entrando nella Casa di reclusione; due carceri a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, ma talmente differenti in ogni cosa da apparire come appartenenti a due mondi completamente diversi. Uno, il Circondariale, è tristemente noto come il carcere dei record, in negativo ovviamente, in quanto è un carcere tra i più affollati d’Italia, con una presenza costante dell’85-90% di stranieri di varie nazionalità, che sono per la maggior parte nord-africani, rumeni, albanesi, moldavi, ucraini, nigeriani e oggi non mancano neppure i cinesi e i filippini. Gli italiani in questa triste classifica figurano agli ultimi posti.

Le celle, pensate originariamente per contenere una sola persona, ora ne contengono tre; quelle più grandi invece, che dovrebbero ospitare al massimo quattro persone, ne contengono otto-nove. In ogni cella le brande sono montate a castello a tre piani, lo sfortunato del terzo letto quindi è costretto ad audaci arrampicate col rischio di precipitare sul pavimento e rompersi l’osso del collo magari per il semplice fatto di avere il sonno un po’ disturbato.

La tazza del cesso, nelle celle occupate da tre persone, è “a vista”, posizionata vicino al cancello d’ingresso e a pochi, pochissimi centimetri dal primo letto al piano terra e dal tavolino fissato alla parete dove praticamente gli occupanti della cella consumano il loro pasto. Le grate alle finestre lasciano filtrare poca luce nelle celle, ma la luce al neon resta accesa praticamente 18 ore su 24, immaginarsi quindi che cosa vuol dire occupare il letto del terzo piano, col neon ad una spanna dal naso e che in estate ha lo stesso effetto di un solarium. Le docce, permettono ai detenuti di avere a disposizione l’acqua calda solo nelle prime ore del mattino. Entrare in doccia comunque è il più delle volte uno schock e riuscire a non prendersi qualche fungo è arduo.

La cucina del Circondariale ovviamente non è adatta a preparare trecento pasti, e dal mio ricordo, se non è migliorata di recente, sforna dei cibi che per mangiarli bisogna essere per lo meno fachiri, se non addirittura autolesionisti; spesso si è costretti quindi a cibarsi di solo pane e frutta, ma ovviamente se si hanno soldi sul libretto allora si è autorizzati a comprarsi tutto quello che si vuole.

La Casa di reclusione è tutt’altra cosa: nelle celle si sta in due e quanto meno il bagno è dotato di porta che permette un minimo di privacy. Una cosa certa è che a confronto col Circondariale, qui siamo in carcere, là all’inferno.

La cosa che più mi dà da pensare è che tra l’uno e l’altro carcere ne è nato un terzo nuovo di zecca, con celle, brande e arredamento, pronto a contenere “almeno una parte” dei detenuti del Circondariale; già, dico solo una parte perché è stato progettato non certo per contenere i quasi 300 detenuti che oggi sono stipati nel vecchio carcere. Quindi anche quando questa nuova struttura venisse aperta, cosa che non risulta ancora possibile in quanto pare che si siano dimenticati di costruire lo spazio destinato ai passeggi, sarà comunque praticamente già da subito sovraffollata, proprio perché per un bacino come quello di Padova e provincia un carcere da 100 posti risulta inadeguato. Qualora si pensasse poi di tenere in funzione entrambi i circondariali, ci sarebbe il problema del personale di polizia penitenziaria che risulta già carente per una sola struttura.

Nessuno riesce neppure a pensare cosa ci aspetterà con la Bossi-Fini di cui si cominciano a vedere gli effetti ora, e poi con l’entrata “a regime” della Cirielli, e con la possibile approvazione della Fini-Mantovano sulle droghe. Intanto le nostre prigioni sono stracolme all’inverosimile di persone e di rieducativo e riabilitativo non hanno alcunché, anzi, rendono e trattano le persone come bestie in gabbia. E dalle bestie in gabbia non ci si può aspettare certo un cambiamento tale da permettere un rientro nella società senza essere quanto meno esauriti o incazzati col mondo intero.