Essere un detenuto padre

 

Continuiamo a parlare di colloqui in carcere con i minori con le riflessioni di Donato

 

di Donato, settembre 2004

 

Sono un ragazzo padre attualmente detenuto nella Casa circondariale di Udine. Sto scontando una pena di un anno e otto mesi. Devo dire che nonostante tutti i problemi che possa avere un carcerato e soprattutto le persone a lui più vicine, penso che questa, presa nel modo giusto, sia un’esperienza che mi sta facendo aprire gli occhi. Tante volte, durante quest’anno, mi sono chiesto perché…, ma i perché avrei dovuto chiedermeli prima; ormai è tardi però, come dice il saggio, un uomo è tale se una volta in ginocchio ha la forza di rialzarsi. Io posso dire in maniera obiettiva di aver buone ginocchia perché sono caduto tante volte ed altrettante volte mi sono rialzato anche grazie all’aiuto di persone che mi volevano bene e me ne vogliono tutt’ora. Per non perdermi in chiacchiere comincio col dirvi che mio figlio compie, tra due mesi, quattro anni! Questa per me è la condanna più dura, però mi sono reso conto che la condanna più difficile da sopportare ce l’ha lui e chi, come lui, è fuori. È stato duro accettare di farlo venire in questo ambiente, specialmente in questo periodo in cui non ci sono posti “ideali” ed adatti ad un bimbo della sua età. Ho aspettato dei mesi (quattro e mezzo per l’esattezza) prima di farlo venire e non solo perché avevo paura che fosse traumatizzato dall’esperienza, ma anche perché ero consapevole che i familiari sarebbero stati perquisiti, avrebbero dovuto depositare gli oggetti di valore in apposite cassette, consegnare vestiti o alimenti affinché fossero tagliati, controllati e io mi chiedevo: “Quelle povere creature così piccole non possono andare avanti, devono attendere quegli umilianti controlli, vedono, sentono e chissà forse capiscono, poi entrano in sala, vengono chiusi; per uscire a fine colloquio devono aspettare che venga riaperta la sala, vedono sempre un “vigile” che li scruta”. A volte mi chiedo cosa possa pensare Thomas. Mio figlio, come tanti altri bimbi della sua età, è cresciuto nell’ovatta, non certo come me, e ritrovarsi a fare cento domande, a voler questo e quello e non poter aver niente, è un dispiacere immenso che ogni volta mi ferisce. Col passare del tempo ho imparato ad accontentare il bimbo con piccole cose che però sono importanti per lui, perché cominciasse così a dar un senso ed un valore alle piccole cose ed a capire che non tutto gli è dovuto. Tante volte, anzi quasi sempre, fuori da qui lo accontentavamo per non farlo star male perché non volevamo fargli mancare quelle cose che non avevamo potuto ricevere noi da piccoli. Però cercando di guardare anche tutte le cose negative con positività, posso dire con orgoglio che se una persona pensa che andando in carcere non riceva niente e che possa accontentare solo in parte il bisogno d’affetto del proprio caro, sbaglia; infatti non è così assolutamente; venendo qui, parlo per me, ho riscoperto i veri valori della vita, quelli che oggi “fuori” non contano più, che però sono il vero senso della vita. Parlo di quei valori che i nostri figli ormai hanno perso, visto che, da quello che posso testimoniarvi, le cose che contano ora sono i vestiti firmati, il cellulare, il computer, le scarpe etc. In effetti sono tutte cose che servono e danno la felicità ai nostri figli, ma non ditemi che esse servano veramente a dare la felicità; se fosse veramente così vi chiedo: “Ma allora i veri valori dove sono finiti? Rispetto, amicizia, onestà, umiltà, condivisione… e soprattutto la gioia interiore, lo star bene dentro, sono veramente dovuti a tutti questi oggetti? Non vi sembra che tutto oggi sia basato un pò troppo sulla superficialità?”. Un figlio è la cosa più bella che ti possa succedere nella vita; mi lacrimano gli occhi quando penso a quei nove mesi: quante paure, ansie, quanti esami. Poi, alla fine, tutte le preoccupazioni sono svanite e al loro posto, una gioia immensa, indescrivibile. Penso che solo un genitore sappia cosa voglia dire ricevere un così grande dono. Qui, la maggior parte della giornata la passiamo in cella, praticamente venti ore al giorno. Io non ho molti rapporti con gli altri detenuti, ad eccezione che con due persone; quindi ho molto tempo, troppo tempo per pensare e il più delle volte i miei pensieri sono Thomas e mia moglie. In questo luogo dove la regola è il silenzio è difficile condividere il proprio dolore ed è impossibile sentirsi liberi di esternare certi “gropponi”. Comunque vi dico che, superati questi momenti di crisi, riparto con una gioia interiore enorme al solo pensare al prossimo colloquio con la mia piccola creatura, innocente, spavalda, sensibilissima che, col suo metro scarso, mi trasmette una gioia tale da riempire il carcere. Ogni settimana c’è una novità: il mio Thomas, per esempio, conta fino al 20 mentre, fino a poche settimane prima, passava dal 2 al 6 e dal 3 al 5; mi mostra come salta su un piede, mi bombarda di domande. Thomas mi fa sentire vivo, che valgo e che ha bisogno di me quanto io di lui. Per me, in quest’anno, lui è stato indispensabile, la “benzina” per poter andare avanti. Vorrei, per concludere, raccontarvi il momento più duro che ho e che sto ancora affrontando. Per paura che Thomas subisse un trauma venendo qui visto che è così piccolo, considerando che non ho mai fatto del male a nessuno e la legge me lo consente, ho deciso di chiedere un permesso di un giorno al mese per vederlo fuori del carcere. Premetto che è un anno che sono qui e che per quattro mesi e più non l’ho fatto venire per aver modo di confrontarmi con la psicologa e gli assistenti sociali. Da soli 2 mesi ho deciso di vederlo qui in carcere e penso che continuerò a vederlo qui perche la burocrazia, all’interno di questa struttura è così lenta e complicata che non ce n’è per nessuno, figuriamoci per una creatura di 4 anni. La giustizia non si piega. Forse potrei piegarmi io accettando, come loro vogliono, di andare in comunità. Ma questo significherebbe non vedere Thomas per un altro anno. Io sinceramente non ho la forza di abbandonarlo una seconda volta. Non appena avrò scontato la mia pena lo riabbraccerò e non lo lascerò più. Per finire vi dico che chi sbaglia paga ma la realtà è che a pagare è tutta la famiglia e di questo occorre essere consapevoli nelle nostre azioni.