Il giorno più atteso

“Da oggi lei andrà a studiare da qualsiasi altra parte, si prepari!”.

 

di Diego, settembre 2004

 

Con queste parole mi si sono riaperte le porte alla vita: è come un impianto stereo che, una volta disinserita la “pausa”, riprende a suonare, più lunga è stata la pausa, più tempo ci vuole per riabituarsi ai decibel. All’inizio sembra tutto un gran baccano, ma poi piano piano, prendono vita i suoni, si inizia a distinguere la chitarra dalla batteria, il violino dal pianoforte… Sapevo che era solo questione di giorni e da tempo mi stavo preparando all’evento, perciò non posso dire che sia stata una sorpresa, ma potevo immaginare che non sarei uscito da solo e che a farmi compagnia, portandomele a casa, sarebbero state le abitudini del carcere.

Tre anni e otto mesi da scrollarmi di dosso, ma non da dimenticare. Il giorno più atteso non ha avuto l’effetto “paralizzante” immaginato perché, nonostante sia passato da una realtà “irreale” ad un’altra frenetica, oltre ad essere pronto da giorni, avevo avuto la fortuna di poter in precedenza usufruire di 5 o 6 giorni di permesso premio, anche se solo di un giorno e mezzo, sufficienti però a rompere il ghiaccio…, sì, il ghiaccio che ti si forma dentro.

Devo premettere che la mia situazione deve essere classificata tra quelle “fortunate”, anche se io preferisco credere che le preghiere delle persone che mi vogliono bene mi hanno fatto da cuscino per il salto. Avere la possibilità di iniziare la seconda parte della pena da scontare (due anni in indultino… non è finita), con un lavoro, un alloggio e circondato da persone che ti vogliono bene è una pista di decollo non indifferente. Vorrei che tanti altri avessero la mia stessa fortuna e gli venisse offerto una simile possibilità.

Le prime ore “fuori” sono state una corsa contro il tempo, la felicità di aver oltrepassato quel cancello è stata tale da coprire le prime sensazioni. Sembrerà impossibile pensare che con la testa si è ancora “dentro”, ed invece è proprio così: mentre il corpo improvvisa movimenti non più limitati dagli spazi, dalla metodicità degli orari, la mente ricorda l’ora della cena, la chiusura dei blindi, il passaggio serale del medico o dell’infermiera per chi prende terapie giornaliere… Invece si respira più ossigeno, c’è più calma, più “silenzio” e il tempo scorre senza rumori di chiavi o di cancelli, di intermittenze di luci che si accendono e si spengono con un ritmo quasi perfetto, ora spengo la luce e… la riaccendo il giorno dopo.

Un bel respiro, una controllata intorno, giusto per assicurarsi che non sia stato solo un sogno, e via…, da oggi non si delega più nessuno, non si aspetta più che qualcuno ti chiami per fare documenti al posto tuo, è ora di arrangiarsi e farsi riassorbire dal ritmo della società, che strafottente, ha preso vantaggio. I primi giorni sono troppo preso a rifare documenti, sistemare casa, contattare familiari e amici, conoscere una nuova città, ma non a tal punto da fare a meno di degustare sensazioni vive nei ricordi e riscoperte, riassaporandole come se fosse la prima volta. Passeggio per la città e ancora non mi sento parte di essa, sento tutto e tutti come uno straniero, come un turista, come un bambino.

Man mano che passano i giorni tutto diventa più sereno, più tranquillo, anche le persone care ora mi parlano in modo differente, sono passate da una condivisione di gioia pazzesca, al dialogo di tutti i giorni come se niente fosse mai accaduto e questo è il ponte che mi fa credere in un futuro diverso dal profondo del cuore.

Ormai è passata buona settimana e comincio a fare un primo bilancio sugli effetti emotivi e la loro evoluzione, una settimana che mi ha dato modo di relazionarmi con tanta gente differente, una settimana salutare per i miei occhi che stavano impigrendosi ed ora sottoposti agli straordinari senza fatica. Non parliamo poi dell’aria, inquinata sì, ma così fresca che ad ogni respiro ogni capello bianco diventa biondo, un’aria così leggera e profumata da riportare l’appetito, da rimettere in movimento ogni mezzo di trasporto che nel sangue, via vena, porta energia ad ogni singolo muscolo, e tutto torna a riaccendersi.

Sì, è proprio bello tornare sulla terra, talmente tanto da stamparmi in faccia un sorriso quasi continuo, ma ogni qualvolta la lancetta dell’euforia prova ad andare fuori giri, mi si aziona il limitatore provocandomi un brivido al pensiero delle persone che ho conosciuto e che sono ancora “dentro”. “Non siate tristi e non mollate, passerà! Il tempo in fondo scorre per tutti alla stessa velocità e arriverà presto il vostro turno”. È difficile spiegare, senza correre il rischio di essere fraintesi, che in carcere dopo un pò di tempo si vivono le relazioni umane “umanamente”, cioè con amicizia, con sostegno morale reciproco, aiutandosi economicamente, perché anche i detenuti vivono di emozioni, non solo fuori, ma anche in carcere.

Dividere pochi metri quadrati, a stretto contatto con un’altra persona fa sì che nasca un rispetto reciproco, un senso di sopportazione, un’amicizia. A volte ci si sente come fratelli, o come padre e figlio, per come si impara a conoscersi, ad aiutarsi e a consigliarsi, a superare le difficoltà assieme. Pensandoci bene, nella costrizione si raggiunge un’intesa a volte difficile da trovare in una coppia o in una vera relazione familiare: il disagio alla fine unisce e fortifica, se non ci si lascia andare.

Tornando al bilancio settimanale e a quello che in teoria dovrei cercare di spiegare e trasmettervi circa quanto sto vivendo come prima esperienza, mi viene spontaneo un sorriso perché rivedo certe scenette, da me interpretate da cartoni animati, quasi una comica alla Charlie Chaplin. La base dell’assurdo è quello che si rivive scoprendo quanto taglia un coltello o quale piacere possa dare una doccia o un bagno veramente caldo, che prenda tutto il suo tempo e che addirittura ti consente di ballarci dentro per lo spazio, per la pulizia..., oppure riscoprire una bevanda fredda, e, se a tutto questo, ci si aggiunge una camminata avanti e indietro dalla cucina alla camera da letto, giusto per sgranchire le gambe, ma anche per “vizio”, ti accorgi che il tragitto è più lungo dello spazio riservato alle ore d’aria e… con meno traffico.

Andare a fare la spesa e scrutare ogni singolo prodotto e poi trovarti in fila davanti alla cassa con la voglia di far passare la signora che sta dietro perché tanto fretta non ne hai; oppure trovarti dal parrucchiere ed ascoltare i pettegolezzi senza che ti diano fastidio e senza fare i conti che poi tocca a te il 1° grado di interrogatorio... ed allora qualche bugia è consentita, chissà come la prende il parrucchiere se sa che sta per tagliare i capelli ad un fresco fresco ex detenuto… curiosità subito spenta in quanto sono troppo affezionato alle mie orecchie. Però a me basta guardare fuori dalla finestra per vedere un unico cielo e non tanti pezzetti di esso; mi basta respirare quest’aria fresca che chissà come mai si rifiuta di entrare nel perimetro di un carcere.

Usciamo prede e predatori, qualcuno dice che si esce pecora o leone, comunque il mio pensiero in merito è che se non si è imparato ad apprezzare e a dare il giusto valore (incalcolabile, immenso) alla libertà in stato di detenzione, e cioè in stato di privazione della stessa, diventa duro sperare in un futuro migliore. Dopo aver superato la prova del carcere, quasi tutti i problemi diventano superabili; basta avere pazienza, una parte di quella pazienza che ti è stata imposta e non deve essere confusa con la rassegnazione, ma è determinazione a raggiungere risultati, seminando costantemente, aiutando, perdonando, sicuri che la goccia continua questa volta riempirà il vaso della vita. Sì, sono un felino alla riscoperta della giungla, preda e predatore, aspetto la selezione e il destino che madre natura vorrà darmi, ma con lo sguardo le chiedo un futuro semplice e migliore.