Il mio piccolo mondo caldo

 

di Cristo Di Domenico, settembre 2004

(Testimonianza tratta da Anagramma)

 

Avevo sei anni quando i miei genitori si sono separati. Il distacco da mio padre mi ha fatto male, molto male. Non soffrivo tanto perché aveva abbandonato me e mia sorella, ma a vedere tutti i sacrifici che mia madre doveva fare per farci stare bene e non farci mancare nulla. Ci riusciva benissimo ma, essendo costretta a stare fuori per lavorare, ci portava da una signora che si prendeva cura di noi.

Era una bravissima persona ma io sentivo molto la mancanza di mia madre: riuscivo a vederla solo due volte alla settimana. Col tempo le cose sono un pò migliorate. Avevo dieci anni quando mia madre ha ricominciato a stare con noi. Sono cresciuto in un quartiere dove, se non sei sveglio e non ti fai temere, gli altri ne approfittano. Sono cresciuto con tanta rabbia dentro; non avendo un padre a cui rivolgermi nei momenti difficili, dovevo sempre vedermela da solo: ero aggressivo, sempre pronto a difendermi e a reagire. Anche a scuola avevo lo stesso atteggiamento: non avevo voglia di fare nulla e se qualche insegnante mi spronava a studiare io non l’ascoltavo, anzi quando c’era la sua lezione me ne uscivo dalla classe. Per questo mio comportamento ho ripetuto la prima media per ben tre volte!

Naturalmente, trascorrevo la maggior parte del mio tempo in strada; frequentavo persone con grandi problemi familiari che vivevano di quello che la strada offriva. Erano ragazzi soli, senza il controllo dei genitori; io almeno avevo sempre mia madre addosso, capiva i rischi che correvo e ne era giustamente preoccupata. Non l’ho mai ascoltata; anzi, per non sentirla sono arrivato al punto di andarmene di casa. Spesso mi capitava di dormire in una macchina qualsiasi; a volte erano i proprietari stessi che mi svegliavano e quasi avevano anche paura di farlo.

Vivendo in strada, frequentando persone sbagliate, inevitabilmente ho conosciuto la droga. Proprio io che non avevo mai tollerato chi ne faceva uso: consideravo i drogati persone inutili, non immaginando quanto fosse facile caderci e quanto fosse difficile uscirne. All’epoca avevo circa quindici anni. Iniziò anche la storia con una ragazza, oggi mia moglie. Lei aveva solo undici anni e, come succede a tanti ragazzi della mia età, fu amore a prima vista. Quando lo seppe la sua famiglia, Conoscendo le storie che facevo, successe il finimondo. Riuscii comunque a farmi accettare, anzi a farmi volere bene, continuando, purtroppo, le mie storie sbagliate.

Avevo iniziato fumando e sniffando cocaina; frequentavo assiduamente determinati locali; ogni volta prendevo qualche pasticca finché un giorno ho conosciuto il “cobret”. Non sapevo bene cosa fosse e cominciai a fumarlo. Il “cobret”, dopo aver assunto la cocaina, mi dava un effetto rilassante, mi levava tutta l’ansia che la cocaina mi procurava. Non sapevo che il “cobret” portava dipendenza, lo scoprii solo più tardi, troppo tardi.

Intanto la mia storia d.amore continuava, promettevo di cambiare e per un pò ci riuscivo anche. Abbandonavo le cattive compagnie, lavoravo ma poi mi stancavo; non sopportavo che il mio datore di lavoro mi dicesse cosa fare e per di più per pochi soldi alla settimana. E così tornavo alla vita di sempre, sapevo che non era giusto ma, era l’unico modo che mi facesse sentire bene, e libero. Avevo diciotto anni quando seppi che la mia ragazza, che ne aveva quindici, aspettava una bambina. Mi diedi da fare per trovare casa, sembrava tutto bello, ero felice, ma durò poco. Ben presto iniziarono i problemi. Facevo sempre uso di droga, quindi mi servivano molti soldi: per me, per i miei vizi e per mantenere la famiglia alla quale non volevo assolutamente che mancasse qualcosa. Il modo migliore per guadagnare e che meglio mi riusciva, era estorcere denaro. Ho conosciuto il carcere e da allora non ho fatto altro che uscire e rientrare da istituti penitenziari. Mia madre non mi ha mai abbandonato, cercava di aiutarmi in ogni modo. Mi ha anche aperto un negozio di profumi e detersivi, ma è durato poco: stanco, ho lasciato tutto nelle sue mani, ma non potendosene occupare è stata costretta a venderlo. Solo ora capisco quanto ho sbagliato.

Intanto mia figlia cresceva, era nato anche un altro bambino. Mia moglie, per fortuna, si occupava di loro, mentre io, pur cercando di essere presente, continuavo le mie storie: ormai ero dipendente dalle sostanze stupefacenti, cercavo di smettere ma ci riuscivo sempre per poco, per troppo poco tempo.

Un giorno mi sono chiesto che vita fosse la mia, che cosa stavo facendo non solo a me ma anche ai miei figli, a mia moglie. È vero, io non avevo avuto un padre, ma mia madre e la mia famiglia non mi avevano mai abbandonato. Mi ripromisi che era ora di cambiare vita, completamente.

Così fu: con i bambini e mia moglie andai al nord; insieme cominciammo a lavorare, ci sistemammo. Anzi, stavamo anche progettando di comprare casa, eravamo felici, finalmente sereni. Ma gli errori si pagano, prima o poi, e purtroppo, mentre tutto andava per il meglio, mi è arrivato un ordine di cattura per i miei reati passati. Certo, avevo commesso dei reati, ma questo scoppio ritardato della giustizia, per molte persone tossicodipendenti, è più che un’ingiustizia: il carcere, a fronte delle peripezie attraverso le quali spesso si raggiunge un faticosissimo esito positivo, rimette tutto in discussione: il lavoro, la famiglia, gli affetti, la stessa emancipazione dalle sostanze.

Sembra quasi un dispetto, una provocazione, una inesorabile spinta all’indietro. È come se la giustizia non sapesse tener conto dei cambiamenti, delle fatiche buie e solitarie che una persona tossicodipendente deve profondere per raggiungere un’evoluzione positiva, un’incapacità deplorevole. E non manca la beffa, se si volge lo sguardo ai tanti autori di reati gravissimi (si pensi ai reati finanziari ma non solo) che non fanno neppure un giorno di prigione!

Oggi sto scontando l’ultimo debito che ho nei confronti dello Stato, ho naturalmente dei momenti di sconforto, di amarezza, ma cerco di farmi forza, di continuare a combattere… la mia famiglia lo merita, anche se avverto come un macigno l’ingiustizia subita: proprio ora che stavo bene, ora che mi ero ripreso in mano assumendo la responsabilità di padre, marito, lavoratore onesto; proprio ora lo Stato mi dice che tutto questo non vale niente!

Forse sto seguendo un percorso che credo mi renderà migliore. Forse ne uscirò rafforzato. O forse no, è difficile dirlo da qui. Sto impiegando il mio tempo al meglio: sto studiando, quest’anno prenderò la licenza media; seguo diversi corsi che faciliteranno il mio reinserimento nella società, in quella società in cui un giorno sogno di vivere senza più commettere errori. La droga mi ha distrutto, ha distrutto la mia vita e quella di chi mi è stato accanto, di chi mi ha voluto bene.

Per fortuna e con non poca fatica credo di aver girato pagina, mia moglie e i miei figli non mi hanno abbandonato, nonostante le difficoltà. È il mio piccolo mondo caldo, a fronte di un mondo grande che sembra fregarsene di me e dei tanti giovani che, come me, affollano le prigioni e le strade e le case in una disperante solitudine.

Certo, ci sono responsabilità soggettive, alle quali non mi sottraggo. Ma le storie, i percorsi che conducono alle droghe sono ormai tanti da suscitare anche qualche serio interrogativo a monte delle droghe. Il “dopo” lo conosciamo. Sul “prima” e sul “perché” non si registra neppure uno straccio di riflessione seria.

Eppure quando un fenomeno sociale si allarga fino a raggiungere le dimensioni dell’uso e abuso di droghe così diffusi, una qualche ragione profonda ci deve pur essere. Forse questa ragione profonda non conviene cercarla giacché è probabile che andrebbe a scoperchiare un modello di vita da giungla, tutt’altro che desiderabile, Forse è più facile riempire le galere, giocare pesante sugli effetti senza toccare le cause.

Forse è più facile parlare di malattia e di delinquenza: due terreni che da sempre fanno le fortune indiscutibili di molta gente. La teoria del capro espiatorio ha funzionato sempre nella storia; ancorché bugiarda, perché non dovrebbe funzionare ancora?