Una lettera dal carcere di Belluno

 

 

Di B. M., giugno 1999

 

Mi chiamo B., sono nato a Napoli, vi scrivo ora dal carcere di Belluno per raccontarvi la mia disavventura giudiziaria, iniziata otto anni fa, quando abitavo a Napoli con la mia famiglia.

Stavo tornando a casa assieme a un conoscente, che mi aveva dato un passaggio sul motorino, quando i Carabinieri ci fermarono e al successivo controllo il motorino risultò rubato. Dopo quattro ore di interrogatorio ci rilasciarono e non seppi più nulla di quella vicenda, e nemmeno ci pensai più. Intanto mi ero trasferito in provincia di Belluno, dove lavoravo come operaio e vivevo con una ragazza.

Il 23 Ottobre 1998 vengo arrestato sul posto di lavoro e portato al carcere di massima sicurezza di Belluno, per scontare un anno e quattro mesi: condanna che mi è stata data in contumacia, senza avvisarmi in alcun modo del processo in corso, benché fossi reperibile avendo residenza e regolare contratto di lavoro.

Condannato per la ricettazione di quel motorino non ho avuto modo di difendermi; ora ho perso il lavoro, non ho soldi per pagare un avvocato e sto perdendo anche l’affetto della mia convivente.

Mi sono messo in contatto con una comunità e con il Ser. T. per avere l’affidamento ai servizi sociali: da loro ho avuto risposte incoraggianti e tuttavia i mesi passano e sono ancora in questo carcere in attesa che la magistratura decida la mia sorte.

 

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Anche se non possiamo esprimere un giudizio sulla vicenda raccontata, non avendo tutte le informazioni necessarie per farlo, la pubblichiamo come testimonianza di un disagio che esiste ed è causato dal malfunzionamento della macchina burocratica.

Anche da altri detenuti arrivano infatti segnalazioni di processi celebrati a loro insaputa, dopo che sono stati dichiarati irreperibili, mentre sarebbero stati reperibilissimi, a una ricerca più attenta.

L’entrata in vigore della legge Simeone - Saraceni risolve in parte questo problema, poiché la notifica della condanna deve essere consegnata nelle mani dell’interessato e se la pena è inferiore ai tre anni egli ha quaranta giorni di tempo per presentare la richiesta di una misura alternativa alla detenzione: quindi evita di essere incarcerato senza preavviso.

Nel caso in questione la legge Simeone non è stata applicata perché la condanna è divenuta definitiva prima dell’entrata in vigore della stessa (Maggio 1998).

Altro fatto che questa lettera permette di sottolineare è la lunghezza spropositata dei procedimenti, in particolare quelli relativi a piccoli reati. La condanna arriva a distanza di molti anni dalla commissione del reato, quando magari il colpevole ha cambiato vita, ha lavoro e famiglia. A questo punto metterlo in carcere non ha più alcun senso risocializzante, anzi ottiene l’effetto opposto, causando quasi inevitabilmente l’interruzione dei suoi rapporti sociali.

E quando viene incarcerato si imbatte nel farraginoso sistema delle misure alternative: quasi impossibili da ottenere per chi sconta condanne brevi, a causa dei notevoli tempi tecnici che richiede la decisione della magistratura di sorveglianza.

A B. comunque auguriamo che possa avere presto l’affidamento al servizio sociale.

 

La Redazione