Quindici lunghi, inutili anni di galera, e poi…

E poi “l’ergastolo bianco”, la Casa lavoro. Ma non ci si potrebbe occupare delle persone e della loro possibile pericolosità sociale prima, mentre stanno in carcere, e non alla fine della carcerazione, affibbiandogli anni di misure di sicurezza?

 

La testimonianza di Orlando Falbo è stata raccolta

da Marino Occhipinti nel febbraio 2006

 

Sono oramai parecchi anni che un nostro affezionato lettore ci scrive. Si tratta di una persona detenuta ininterrottamente dal 1990, e solitamente ci scrive per comunicarci la variazione dell’indirizzo al quale recapitare Ristretti Orizzonti dopo l’ennesimo trasferimento da un carcere all’altro. L’avevamo “lasciato” ancora in agosto a Benevento, ma prima di fine anno ci ha fatto avere sue notizie dalla Casa lavoro di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Di solito, oltre al nuovo indirizzo, ci racconta anche come si vive nella struttura nella quale viene di volta in volta spostato.

Questa volta Orlando non ci ha parlato di una delle “solite” carceri di cui bene o male qualcosa si riesce sempre a sapere, ma ci ha spiegato cos’è la Casa lavoro e come funziona. Se non altro ci ha tolto un dubbio sull’esistenza o meno (sinceramente pensavo si trattasse di una leggenda…) di quello che i detenuti conoscono meglio come “l’ergastolo bianco”, una pena detentiva che si sconta dopo aver già espiato per intero la condanna inflitta in sentenza. “Ergastolo bianco” perché, se qualcosa non funziona nel programma di “correzione”, con un rinnovo dietro l’altro ci sono persone che arrivano alla Casa lavoro con una condanna alla misura di sicurezza di un anno, ma che dopo dieci anni sono ancora lì, ad aspettare non si sa bene cosa… Ma vediamo cosa ci ha scritto Orlando.

 

“Non mi trovo più ristretto a Benevento, essendo stato trasferito circa due mesi fa nel carcere di Ariano Irpino, da cui però, il giorno stesso del mio fine pena, il 13 novembre, sono stato nuovamente trasferito per giungere qui, a Castelfranco Emilia, per “scontare” la misura di sicurezza di due anni di Casa lavoro che mi è stata comminata nel 1990 insieme alla condanna. Dico subito che è un carcere decente, qui c’è tutto quello che dovrebbe essere la normalità, e che invece in molte altre carceri è impensabile: acqua calda, doccia con box, servizi completi di tazza wc, lavabo, bidet e perfino la specchiera e relativi accessori.

Ma ora voglio parlarvi del significato e del senso della Casa di lavoro così come viene espletata. Si tratta di una misura di sicurezza detentiva applicata ai delinquenti abituali, è vero, ma non mi spiego e non comprendo che utilità possa avere se viene espiata completamente nelle ristrettezze del carcere. Nella teoria, la Casa lavoro dovrebbe consistere in un “trattamento” rieducativo attraverso il quale il Magistrato di Sorveglianza competente, con l’aiuto dei vari operatori penitenziari, dovrebbe valutare la pericolosità dichiarata in sede di condanna, che nel mio caso risale… al 1990. La mia opinione personale, comunque condivisa da molti, è che l’accertamento della pericolosità andrebbe fatto prima del raggiungimento del fine pena. Sarebbe infatti più utile verificare periodicamente la pericolosità durante la detenzione, e in caso di accertamento di problematiche andrebbe di volta in volta deciso un programma rieducativo di correzione, attuando quel trattamento ritenuto idoneo a modificare lo stato delle cose.

Ad esempio, nel mio caso, ci sono stati 15 anni di tempo per fare tutto ciò che si voleva. Che senso ha aspettare la fine della pena, per poi mandarmi in un altro carcere dove, se si decide che sono ancora pericoloso, verrò trattenuto e si comincerà a “lavorare” sulla mia persona? Non si potevano usare i 15 anni in cui gli operatori hanno avuto tutto il tempo per mettere in atto qualsiasi programma? Invece, e con me tanti altri, mi ritrovo ancora detenuto, a scontare una ulteriore condanna senza aver commesso nessun reato: ho terminato la pena che mi è stata inflitta il 13 novembre 2005, e allora che ci faccio ancora dietro le sbarre? Continuando a restare qui, cosa posso dimostrare od esprimere, che non potevo invece fare prima? Non sarebbe più conveniente, per me e per la società, che mi si assegnasse un lavoro di pubblica utilità presso un comune, una provincia, insomma un ente locale? Con degli obblighi, magari, o con il rientro serale presso una struttura, che però di detentivo non dovrebbe avere nulla.

Ma siccome la mia potrebbe essere considerata come una lamentela spicciola, è allora giusta una ulteriore spiegazione, di non poco conto: ma lo sapete che per un qualsiasi piccolo fraintendimento, anche per una mancanza disciplinare di ben poca gravità nella vita carceraria di tutti i giorni, il Magistrato di Sorveglianza può disporre che la misura di sicurezza debba ricominciare da capo? Quando ne sentivo parlare neppure io ci credevo, invece è proprio così. Non per niente la misura di sicurezza della Casa lavoro viene chiamata anche “ergastolo bianco”: ci sono persone arrivate a Castelfranco 10 anni fa, per un “trattamento” di un anno, che per motivi a volte assurdi e banali sono ancora qui, e non si sa quando usciranno. È anche vero che ogni storia è a se, ma qui dentro ce ne sono di talmente assurde da essere quasi incredibili”.