Un ex sindaco in cella si propone come collaboratore di “Ristretti”

 

Giovanni Antonino si era già occupato di carcere quando era primo cittadino di Brindisi. Arrestato con l’accusa di estorsione, ha potuto guardare questo mondo dall’interno scoprendone gli angoli più bui. Ora ha voglia di impegnarsi, anche attraverso la nostra rivista, nell’attività di informazione “da dentro”

 

di Marino Occhipinti

 

“L’ex sindaco di Brindisi Giovanni Antonino, attualmente recluso, vorrebbe rendersi utile diventando un vostro referente dal carcere di Foggia e, una volta fuori, anche da Brindisi. Chiede di essere messo in contatto con un responsabile dell’associazione…”.

Singolare e-mail, questa ricevuta poco tempo fa da Ornella Favero, la nostra coordinatrice.

Affamati come siamo di corrispondenti da altri penitenziari, all’ex sindaco abbiamo subito risposto proponendogli di collaborare con noi, magari cominciando col descrivere la situazione del carcere dove si trova detenuto. Ma questa volta la giustizia è stata più veloce delle Poste Italiane, e Giovanni Antonino ha ricevuto gli arresti domiciliari prima della nostra lettera. È dunque con un po’ di ritardo che pubblichiamo la sua risposta: una testimonianza significativa perché proviene da chi, del carcere e delle sue problematiche, si era occupato già prima, quando era un amministratore pubblico. E sicuramente guardava a questo mondo parallelo con occhi diversi.

Ho ricevuto solo oggi la vostra lettera e la rivista. Dal 18 febbraio, infatti, non sono più recluso nel carcere di Foggia in quanto, nel frattempo, il Tribunale del riesame di Lecce mi ha concesso gli arresti domiciliari. Per fortuna, sia pure con i tempi lunghissimi della burocrazia carceraria, la vostra busta mi è stata comunque recapitata. Innanzitutto ritengo urgente raccontarvi brevemente chi sono e come vi ho conosciuti.

Fino all’ottobre dello scorso anno ho ricoperto la carica di sindaco di Brindisi, ruolo in cui ero stato confermato nel 2002 con il 73 per cento dei consensi. Sono stato arrestato in seguito alle dichiarazioni spontanee di alcuni imprenditori, a mio avviso tuttora prive di riscontri, i quali affermano di aver ricevuto da me richieste estorsive. Per poter affrontare al meglio e senza condizionamenti mediatici tali accuse (ma anche per allontanare il dubbio sulla possibilità di reiterare il reato o inquinare le prove), mi sono immediatamente dimesso. Ho scontato 133 giorni di custodia cautelare in carcere e ora sono agli arresti domiciliari, alle prese con una vicenda giudiziaria così intricata che a oggi, a indagine ancora in corso, consta di ben 17 mila pagine. Ma credo che la mia situazione giudiziaria vi interessi marginalmente.

Più importante è forse evidenziare come in quattro mesi di detenzione ho girovagato fra tre diversi penitenziari (Regina Coeli a Roma, Brindisi e Foggia), entrando in contatto con un mondo fatto di abbandono, disperazione, assoluta mancanza di umanità, negazione organizzata di ogni forma di rispetto per la dignità umana.

Da qui la mia volontà di impegnarmi per contribuire a cambiare un sistema che trovo aberrante, sia per le procedure che usa (la custodia cautelare come strumento di indagine; la difficoltà di accedere a forme alternative di detenzione; l’assoluta discrezionalità nella concessione dei benefici previsti dalla legge; l’assenza di programmi istituzionali di reinserimento), sia per gli aspetti che riguardano da vicino la vita carceraria (strutture vecchie, sovraffollamento, carenze nell’assistenza sanitaria, spazi di socialità esigui).

Ho quindi chiesto ad alcuni amici di informarsi sulle associazioni che non si limitano all’assistenza dei detenuti – pure meritoria – ma cercano di presentare proposte concrete a quanti hanno responsabilità istituzionali, dando spazio e cittadinanza alle voci “da dentro”, creando occasioni di incontro, facendo controinformazione rispetto a un sistema che pare impermeabile a ogni novità.

È così che sono arrivato a voi. Vorrei continuare questo impegno anche nella mia nuova situazione, mettendo a disposizione la mia esperienza di amministrazione di una città in cui il melting pot, così presente nelle carceri italiane, non è una novità. Una città in cui sono state avviate esperienze di reinserimento al lavoro attraverso società miste pubblico-privato e in cui, infine, si sono utilizzate le provvidenze previste dalle leggi 285 e 328 anche per attivare forme di sostegno alle famiglie dei detenuti, con assistenza domiciliare ai minori, centri di ascolto, strutture di intermediazione familiare. Nella convinzione che il “dopo carcere” sia il momento più difficile.

Se una collaborazione “esterna” può comunque interessarvi, vi prego di farmelo sapere. Sto anche raccogliendo la mia esperienza in un libro-testimonianza che vorrei intitolare Frammenti di vita. Ho sottoscritto l’abbonamento alla rivista, che trovo veramente ottima.

Spero di poter partecipare al convegno del 14 maggio “Carcere: L’alternativa che non c’è”, anche se non dipende solo da me. Sarebbe un’ottima occasione per scambiare opinioni e idee su una condizione, quella carceraria, che purtroppo non mi sembra abbia la priorità nell’agenda del governo e del Parlamento e, tanto meno, nei programmi delle diverse forze politiche.

 

Giovanni Antonino, marzo 2004