Carcere settembre 2001

 

Castelli: "Le carceri sono una priorità impellente"

 

Il Tempo,11 settembre 2001


«Il problema più importante in questo momento sono le carceri. Per quanto mi riguarda è la priorità impellente». Al termine del workshop promosso a Villa d'Este dallo Studio Ambrosetti, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha parlato dei prossimi impegni del suo dicastero, indicando nelle carceri la priorità da affrontare. L'altro giorno, ha detto il Guardasigilli, «ho firmato un decreto che libera 830 miliardi per la costruzione di nuovi carceri e per adeguare quelle esistenti. Del resto la popolazione carceraria sta crescendo nell'ordine di qualche migliaia di persone all'anno. È chiaro quindi che si tratta di un'emergenza alla quale bisogna far fronte con nuove risorse». Il ministro ha lanciato una frecciata alla precedente maggioranza. «Se fosse andata in porto l'amnistia programmata dal precedente governo - ha detto - noi avremmo dovuto mettere in libertà 20 mila detenuti che, invece, restano in carcere».

Ma non è tutto. A Cernobbio il ministro Castelli ha anche parlato della magistratura. «Sul misurare in qualche modo l'efficienza dei magistrati con dei parametri efficaci c'è totale accordo. Lo vuole il CSM, lo vogliono i magistrati, lo vuole il ministro» ha detto, aggiungendo che «quello di misurare l'efficienza è un problema che i magistrati stessi chiedono di affrontare. In particolare chiedono di non valutare la loro carriera esclusivamente sulla base dell'anzianità, come è stato fatto finora. Abbiamo più di 4 milioni di processi civili arretrati e dobbiamo liberarci di questa zavorra per rendere più efficiente la macchina della giustizia. E loro sono d'accordo».

La normativa applicata dai tribunali nei confronti dei minori, inoltre, non convince il ministro della Giustizia che, soprattutto dopo i fatti di Novi Ligure e, prima ancora, dell'omicidio compiuto da tre ragazze in Valtellina, afferma che è necessario «guardare le normative e capire cosa si può fare».

 

Giudecca Incontro in carcere con politici e magistrati

Le detenute sollecitano lo sportello per le famiglie

 

IL GAZZETTINO, 11 settembre 2001

 

Le detenute parlano e i politici ascoltano. Cambiano i ruoli, almeno per un giorno. Tema dell'incontro di ieri mattina, i rapporti tra le madri che stanno scontando una pena nel carcere della Giudecca e i loro figli. Così la visita della delegazione composta da volontari, assessori alla sicurezza sociale del Comune, Giuseppe Caccia, e della Provincia, Bruno Moretto, magistrati, fra cui il presidente del tribunale di sorveglianza, Stefano Dragone, si è trasformata in un colloquio plenario: le detenute hanno chiesto un maggiore sostegno dall'esterno attraverso l'istituzione - sull'esempio del carcere di Secondigliano - di uno sportello informativo per le famiglie che punti all'integrazione sociale e hanno sollecitato incontri più lunghi tra madri e figli, con la possibilità di pranzare assieme per ripristinare quel clima familiare impedito dalla cella.

Tutte le detenute dell'istituto di pena femminile hanno avuto la possibilità di partecipare all'incontro-assemblea. Un'emergenza, quella che riguarda il rapporto tra madri in prigione e figli, testimoniata dalle cifre riportate in un'indagine svolta a livello europeo: il 30 per cento dei figli con genitori in carcere finisce a sua volta dietro le sbarre e in Italia sono ben 43mila i figli di detenuti. Proprio il Comune è stato sollecitato a istituire questo sportello di aiuto socio-economico.

Dopo il pranzo in "famiglia", i bambini che si sono ricongiunti per una giornata con le mamme hanno potuto assistere a uno spettacolo di burattini.

Nel carcere minorile. Dove un mese vale 4 colloqui

Il direttore: chi entra spesso perde il senso del tempo

 

IL MATTINO, 7 settembre 2001

 

Quando entrano fanno i duri. E quanto più è grave il delitto commesso, tanto più sembrano inconsapevoli o indifferenti. Ma è solo l’impatto iniziale. Poi, spiega Gianluca Guida, da cinque anni direttore del carcere minorile di Nisida, «appena cominciano a conoscerci, questo atteggiamento di chiusura lascia spazio a uno stato d’animo diverso. Ragazzi accusati di omicidio o tentato omicidio, si sentono come in mezzo a un guado: da una parte c’è la voglia di cambiare, dall’altra la consapevolezza di non poterlo fare, almeno non fino in fondo, per le resistenze ambientali e familiari con le quali dovranno necessariamente fare i conti». Dentro questo istituto affacciato su uno dei panorami naturali più belli del mondo, i fatti di cronaca che stanno sconvolgendo la città e la provincia acquistano contorni più nitidi, diventano facce, sguardi, storie. Oggi Nisida ospita trentotto reclusi, fra i quali tre ragazze. Ventidue, quindi ben più della metà, sono dentro per rapina aggravata. Tre per «reati contro la persona». E c’è anche un condannato per associazione camorristica. I numeri dicono inoltre che i minori coinvolti in omicidi e tentati omicidi sono in aumento, mentre contemporaneamente si abbassa l’età media dei responsabili.
Evidenzia Gianluca Guida che i ragazzi di Nisida rientrano solitamente in quattro categorie. «Ci sono i bulli, che commettono reati contro il patrimonio spesso aggravati dall’uso della violenza. Per loro la criminalità organizzata è un modello da imitare, pertanto è necessario provare a cambiare i codici di riferimento, ed è un lavoro difficile». La seconda categoria è quella dei tossicodipendenti. «Un problema enorme - sottolinea il direttore — perché troppo spesso i ragazzi non si rendono conto di ciò a cui vanno incontro. Così restano vittima di una dipendenza "da sballo", figlia della continua ricerca di emozioni forti. Questo spiega anche le esplosioni di violenza gratuita che tanto impressionano l’opinione pubblica». Ma a Nisida ci sono anche gli immigrati, particolarmente magrebini. «Per loro si parla di diritto diseguale — ricorda Guida - visto che molto spesso l’unica risposta giudiziaria applicabile è quella di tipo custodialistico. Una volta dentro, il nodo principale è l’integrazione. Per raggiungere l’obiettivo abbiamo una serie di progetti che favoriscono il confronto culturale». Infine i rom, prevalentemente donne che commettono reati in ragione del ruolo sociale che viene loro attribuito in famiglia. «Nel loro caso - argomenta il direttore di Nisida - si verifica un paradosso: le mura del carcere diventano una protezione dallo sfruttamento, e l’occasione per entrare in contatto con il modello femminile della società occidentale, che riconosce alla donna l’autonomia e libertà che viene a loro negata».
Quando arrivano a Nisida, i ragazzi vengono avviati a tutte le attività previste dai progetti di recupero varati dagli addetti ai lavori, che hanno costituito un gruppo capace di operare in maniera integrata e con grande affiatamento. Il percorso è duro, però. «A volte - racconta Guida - ci troviamo in presenza di ragazzi che hanno gravi difficoltà a relazionarsi con l’esterno. Non dico a parlare in italiano, ma ad esprimersi. Altri hanno problemi addirittura con la cognizione del tempo, faticano a distinguere concetti come giorno, mese, anno, misurano il tempo in colloqui. Per questo credo molto nel laboratorio teatrale. Non pretendiamo che i ragazzi diventino attori. Ma con la recitazione imparano ad affrontare il mondo esterno». Quando escono, non tutti sono cambiati. Le pressioni dell’ambiente sono spesso troppo forti, al punto che anche dietro le mura di Nisida arrivano, filtrate dalle famiglie, le tensioni degli scontri fra clan rivali della camorra. «Ma ci sono alcuni che, una volta fuori, ci hanno riportato qualcosa di positivo - dice Guida - e questo è uno stimolo in più per andare avanti».

 

Precedente Home Su Successiva