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Chiudere il bunker dell’ospedale
Il Mattino di Padova, 17 febbraio 2001
Il reparto bunker dell’ospedale di Padova dove vengono ricoverati i detenuti va chiuso per gravi carenze igieniche. È un posto molto piccolo, ci sono tre stanze di degenza con sei posti letto e un ingressino per la Polizia penitenziaria che controlla. E’ una situazione molto difficile e precaria sia per i pazienti che per i medici e gli addetti alla vigilanza. Quel che fa riflettere è che il posto funge da stazionamento in attesa della definizione della patologia e del conseguente ricovero in reparto. Quindi non stiamo parlando di un vero e proprio ospedale ma di una specie di spartana anticamera in cui i medici devono decidere come intervenire. L’interno del bunker trasmette le stesse sensazioni di un carcere: un agente del corpo penitenziario rivela che in estate è difficile persino lavorare dal caldo che fa all’interno. Sì, c’è un condizionatore, ma così vecchio da risultare alla lunga del tutto inaffidabile. Dalle finestre sigillate non entra un filo d’aria e la luce è scarsa. In ognuna delle tre cellette c’è un water a vista e in una sola c’è la doccia. Un luogo talmente oscuro e invivibile da spingere i detenuti a chiedere di ritornare in carcere. È evidente che davanti a ciò, uno appena può scappa perché non si può vivere in quest’isolamento. Almeno in carcere si ha una socialità diversa, c’è la lucetta accanto al letto per leggere e la tv. Qui, al contrario, non c’è nulla. La questione ha rilevanza almeno regionale e la Regione ha una competenza precisa in materia di politica sanitaria, motivo per cui spetta a questo ente farsi carico di un investimento preciso. Sulle voci di un’imminente chiusura del reparto, più che una voce è una speranza perché ciò potrebbe favorire un salto di qualità, nel senso di prendere atto che allo stato attuale tutti sono molto sacrificati. Preoccupazioni, confermate anche dal medico interno che ha ammesso che non viene garantita la salute. Anche il Veneto dovrebbe avere un centro clinico adeguato interno agli istituti penitenziari, come quello inaugurato tre giorni fa al carcere romano di Regina Coeli. Una struttura che garantisca il primo livello
d’intervento e semplifichi tutto con il controllo immediato per verificare il
tipo di patologia, senza dover ricorrere a intollerabili piantonamenti come
questo, che ovviamente dà fastidio agli infermieri stessi degenti. La
situazione richiede un intervento immediato; dovremo poi affrontare il problema
sia con l’ASL padovana che con la Regione e l’assessorato alla Sanità e
capire se a Padova si può avere una sezione per detenuti con caratteristiche
ospedaliere piene. |