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Bubu è una ragazza ristretta nell’IPM di Casal del Marmo, Roma Aprile 2004
Ciao amici, mi chiamo "Bubu", dicono che sono esaurita, ma sarà vero? Forse sì perché io mi mangio il prosciutto con la Nutella, però, se devo dire la verità, è buono. Poi mi chiamano "impedita", forse è vero perché quando cammino cado ogni metro poi, non so perché, ridono di me quando parlo. Forse perché faccio ridere? O forse faccio dei discorsi stupidi? Però non mi sembra perché parlo sempre dei miei denti che non ce l’ho e poi mi fissano dalla punta dei piedi fino alla testa, mi chiedo perché. Ma forse perché non ho il corpo da Naomi e lo so, mi piacerebbe, ho un naso che è più lungo del mio piede, una corporatura che fa schifo, però gli accessori ci stanno. Di questo non mi posso lamentare però peccato che non servono a nulla. Mi dicono che sono malata di mente, ma sarà vero? Boh! Però se lo dicono loro magari è la verità. I miei accessori sono le mie ossa che sono più vecchie di un albero secco. Mi fermo e parlo con l’albero, ma quell’albero non mi vuole proprio rispondere, gliel’ho chiesto anche per favore ma niente perché mi hanno detto che solo quando si chiede "per favore" si ottiene tutto, ma non è così. Io ho chiesto all’albero "per favore", però mica mi ha risposto. Mò mi metto a parlare con le mie scarpe. Va bene! Ciao! Spero di avervi fatto un po’ ridere! Bubu
Ciao Bubu, siamo 3 ragazze che frequentano il terzo anno della scuola media di Brugine, un paesino di campagna ad una ventina di chilometri da Padova. Abbiamo letto la tua lettera sul sito www.ristretti.it pubblicato su Garçon nr. 38 e ci ha molto incuriosito!!! A proposito del prosciutto con la Nutella, non pensiamo sia assurdo che tu lo mangi e dato che:
non vediamo perché insieme debbano fare schifo. La verità è che gli adulti giudicano troppo in fretta le cose senza aver magari mai provato!!! Sai, anche noi facciamo parte del gruppo delle Impedite, perché, soprattutto 2 di noi, non sanno giocare con la palla (si mettono ad urlare appena vedono quell’essere sferico e liscio che piomba addosso a loro e le guarda con occhi diavoleschi!!!!), l’altra invece con la palla se la cava, ma la chiamano impedita perché tutti pensano che sia una sfigata (anche se in realtà non è niente vero). Senti, non crediamo giusto che ti rassegni ad essere "esaurita" solo perché lo dicono loro, devi affrontare la vita e non arrenderti e nasconderti sotto false opinioni che i "sapientoni" ti danno!! Puoi anche essere una malata di mente ma non perché lo dicono loro. Tu sei soltanto quello che vuoi essere. Non sempre quando si chiede qualcosa a qualcuno gentilmente si ottiene tutto. Non si può avere la luna ma è vero anche che la gente porta a sostegno solo i tuoi difetti e non i tuoi pregi, perché la gente non dice quando ti vede: "Che carina", ma inizia a dire: "Guarda quella, che sfigata!". Non pensare che accada solo a te, accade anche a noi che siamo in quello che è definito il mondo perfetto. Ciao Bubu, se ti va rispondi. Con simpatia, Puffetta, Salsa, Incognita
P.S.: La nostra non vuole essere una lettera di compassione, ma un modo per dimostrare che tutto il mondo è paese!!! Marzo 2004 Salve, sono giunta al vostro Forum per caso e mi ha molto colpita il vostro quesito sul "dopo carcere". Ho conosciuto il mio fidanzato che era già dentro e mi piacerebbe che mi aiutaste a comprendere meglio come posso essergli di sostegno quando esce. Non sto parlando di un futuro lontano perché, grazie alla buona condotta, entro la fine di quest’anno finirà la sua pena. Ogni tanto mi chiedo come vivano gli ex detenuti appena usciti dal carcere, intendo dire quali sensazioni e quali emozioni provino sia verso se stessi che verso gli altri. Mi chiedo quindi come posso essergli vicina per essergli d’aiuto e per farlo stare bene in questo momento delicato. Spero di essere riuscita a spiegarmi. Rispondendo alla domanda che avete posto all’entrata del Forum… Se avessi la possibilità affitterei una casa ad un detenuto o ad un ex detenuto e gli darei un lavoro… Ma non sono così abbiente… Purtroppo. Cosa posso fare? Un abbraccio da Elena… la dolce compagna di Franco.
La risposta di Ion alla lettera di Elena
Cara Elena, io non conosco il tuo ragazzo, ma immagino che avrà i problemi e le paure che avrò io, appena fuori dal carcere. E allora ti dico che io, uscito di galera, vorrei tanto trovare una ragazza che sapesse prendermi per mano, con affetto ma anche con un po’ di fermezza. E che mi aiutasse a riscoprire ora per ora, giorno per giorno, un mondo che non è più mio ed in cui all’inizio non potrò non sentirmi un estraneo, un diverso. Vorrei che mi portasse a spasso per la città, come se io fossi un turista. Sì, vorrei riscoprire con lei il gusto di guardare le vetrine, di bere una birra in un pub, di fare tante piccole cose che un giorno per me erano normali ma che per troppo tempo mi sono state rubate. Fai così anche tu con il tuo ragazzo, credimi, queste sono le semplici ma vere "Lezioni di vita" di cui avrà bisogno per ricominciare… Marzo 2004 Egregio signor ladro, a scuola abbiamo parlato dei problemi di chi ha commesso dei reati e si trova in carcere. Ed è stato chiesto a ognuno di noi studenti se, avendo un’attività lavorativa in proprio, si sentirebbe disposto ad assumere un detenuto. Certamente, io l’assumerei un ex detenuto. Per me non cambierebbe nulla… E anche se scoprissi, poi, che come lavoratore magari non è un granché, béh, mi direi che in fondo ci sono tanti lavoratori mediocri anche fra i non detenuti… Fosse proprio un lavativo, lo licenzierei. Ma licenzierei anche un lavoratore lavativo… incensurato. Mettiamo però che, alla prova dei fatti, scoprissi che quell’ex detenuto è uno capace, che s’impegna… béh, per me sarebbe una soddisfazione in più: perché non provare, insomma? Ho solo 18 anni, e forse è per questo che ho tanta fiducia nel mio prossimo. Qualche volta sarò fregata, lo metto in preventivo. Ma per lo meno proverò. Perché nessuno riuscirà mai a togliermi dalla testa che c’è tanta gente, al mondo, che merita la mia fiducia. Erika
La risposta di Max ad Erika:
Carissima Erika, la fiducia è una cosa delicata per tutti, soprattutto se si è già stati fregati qualche volta. Ma quali sono le alternative? A cosa si ridurrebbero i rapporti umani senza un po’ di fiducia? E poi, non dare fiducia ci mette veramente al riparo dalle fregature? Io sono convinto che sia più difficile fregare una persona come te, che da fiducia comunque, perché obblighi l’altro a riflettere, magari a ripensarci. Reati io ne ho commessi diversi e quando uscirò troverò molti pregiudizi nei miei confronti, anche se le statistiche parlano chiaro: solo una piccola parte di chi commette reati finisce in galera! Io spero di incontrare persone come te quando uscirò, a te auguro di continuare a prendere la vita con slancio ed entusiasmo come fai ora… continua a fidarti… ma sii prudente! Marzo 2004 (Handy è una ragazza ristretta nell’IPM di Casal del Marmo, Roma)
Parlare, parlare
Sì! È decisamente meglio parlare, di poco o a volte anche di niente! Parlare del tempo ma non fermarsi mai a pensare al tempo che passa e non torna! Parlare di cose che non contano, perché quelle che contano fanno male dentro e non si possono né raccontare né scrivere, non possono nemmeno essere pensate, perché si chiudono intorno al cuore e lo schiacciano! Perché scrivere? Per far finta di aprire una finestra, scrivere vomitando fuori quello che sta marcendo dentro, ma che tanto resta lì perché la carta e la penna "là dentro non ci arrivano". Perché raccontare? Beh, a questa domanda non so proprio rispondere, io non mi so raccontare, non lo voglio nemmeno fare. Raccontare a chi? E, soprattutto, raccontare cosa? Ci sono dei fantasmi neri che non possono essere liberati, perché mi fa paura raccontarmi e poi vedere negli occhi di chi ascolta tutto lo schifo delle mie parole! E, allora, raccontiamoci solo favole, parole leggere che non lasciano tracce nell’anima! E arriviamo alla domanda più cattiva: perché pensare? Per rendersi conto di quanti capitoli sono stati chiusi troppo in fretta, per capire quanti rapporti sono stati cancellati. Pensare a quante storie non vorrei aver vissuto, pensare serve solo a far dire "se potessi tornare indietro", ma visto che indietro non si torna… e allora pensiamo al futuro! Bello, con il mio fantasma nero, che sicuramente durerà molto di più di anni 8 e mesi 6 di reclusione. Penso ad un futuro diverso e ho paura, perché so che gli incubi saranno gli stessi di oggi! E allora parliamo del sole, della luna, dei programmi della televisione, oppure guardiamoci solo negli occhi e viviamo in silenzio! Happy freedom. Handy
La risposta di Asia ad Handy
Cara Handy, riguardo alla tua lettera "Parlare, parlare"… siamo rimaste allibite. Ogni giorno sentiamo questo luogo comune: pensa al futuro, il passato è passato, non tornerà (a volte è anche un peccato…). Ma le ombre che lascia… quelle restano! Fra le tue parole, si legge questo senso di irrimediabilità, quasi di resa incondizionata… che triste… Ma è veramente questo il tuo atteggiamento? Eppure, in queste poche righe, sentiamo l’amarezza di uno sbaglio che ti dà la forza di continuare, nonostante tu sappia che non te ne libererai, perché sai che resterà, perché il tuo passato è la strada che ti porta al futuro. E con un passato così, la tua domanda è più che legittima: "Come sarà il mio futuro?". E i fantasmi… per quanto resteranno? E la speranza… tornerà? Noi vogliamo crederci, perché il futuro è comunque una strada che devi ancora percorrere, che sceglierai tu di percorrere, e che se sarai pronta, percorrerai. Sappiamo che tutti i problemi che noi incontriamo ogni giorno non sono paragonabili a ciò che tu sei costretta ad affrontare… vorremmo però farti sapere che, anche se la tua situazione è abbastanza difficile, la vita continua, perché non può fermarsi, come non è giusto che alla tua speranza sia già stato detto di spegnersi. Quindi, l’intento di queste parole è di cercare di darti il coraggio per andare avanti! Happy freedom. Asia Marzo 2004 (Licia è una ragazza ristretta nell’IPM di Casal del Marmo, Roma)
L’innamoramento in carcere
Secondo me l’amore in carcere non esiste, perché una volta usciti da qua dentro si dimentica tutto, proprio perché non è vero amore vero. Sono tutte fesserie che tirano fuori, da qua dentro, perché vedono certi nostri atteggiamenti in un modo sbagliato, esagerato. Sì, forse si può anche amare, ma fino ad un certo punto anche perché in carcere non si può conoscere mai bene una persona, come è veramente. Durante la detenzione le persone sono diverse, mentre fuori da casa le vedi come sono. Poi ci sono anche delle difficoltà nello stare insieme, nel frequentarsi, nello stare vicini il più possibile. Qua dentro puoi provare solo emozioni ma non come quelle che provi fuori, quindi per me è solo un gioco. Per gli altri non lo so, ma io la penso così. L’amore in carcere non esiste e non esisterà mai perché è la situazione stessa in cui ti trovi che non ti porta a giudicare se è un sentimento vero. Non sai nemmeno se una volta fuori potrai incontrare ancora questa persona e, se anche la incontrassi, forse la troveresti diversa, ti sentiresti a disagio e non ci capiresti proprio più niente. Perché non è più la stessa persona. E allora io dico che è simpatia ciò che provi per uno che come te sta soffrendo la detenzione, può esserci una particolare attenzione, una manifestazione di affetto, un sentire il bisogno di essergli vicina, di avere certe effusioni, per cui non devi preoccuparti né debbono preoccuparsi gli adulti che ci sorvegliano e che non capiscono questa necessità, che non ha nulla di sporco, di illecito e per questo a volte puniscono per una e vicinanza… troppo ravvicinata. Perché crearsi problemi dove non ci sono? Licia
La risposta di Chicca a Licia
Cara Licia, ho letto tante lettere e ho pensato di rispondere alla tua lettera che, con le sue parole, mi ha colpito. Io credo che un amore vero possa nascere anche in un carcere perché se si ama davvero, se i sentimenti che provi vanno oltre una semplice amicizia, si dovrebbero accettare i fatti pur di vedere e stare assieme a questa persona. Ad esempio io, anche se non sono chiusa in un carcere, vedo il mio ragazzo solo una volta alla settimana e durante la settimana sento molto il bisogno di stare vicino a lui, ma accetto la realtà e pur di non perderlo mi accontento. Non sono chiusa in un carcere, ma la mia vita è un carcere: le amiche se ne fregano di me, mi lasciano in disparte e non so con chi sfogare tutta la rabbia che ho dentro di me, dentro al mio cuore. I miei genitori rompono sempre e mi lasciano poca libertà pur avendo io 14 anni. Un giorno quando uscirai dal carcere, se ami veramente quella persona, anche se sarà cambiata, la accetterai lo stesso perché tutte le persone cambiano, nessuno resta uguale, nemmeno noi. Ora ti saluto e aspetto una tua risposta. Ciao ciao. Chicca Aprile 2004 Salve, per caso sono entrato nel vostro sito, due giorni fa, cercando la legge sulle cooperative sociali tramite un motore di ricerca. Ho letto con interesse delle iniziative per dare lavoro ai detenuti. Tempo fa mi fu chiesto (da una assistente sociale) se ero disposto ad assumere un detenuto (ho una piccola azienda meccanica) e risposi che non me la sentivo, pur rassicurato che quel detenuto sapeva fare il lavoro. Avevo un po’ paura, anche perché avevo chiesto per quale reato era stato condannato e non me l’avevano voluto dire, così immaginavo che avesse fatto cose molto gravi. Nel vostro sito ho trovato anche articoli scritti da detenuti condannati per avere ucciso delle persone. Da una parte penso che non dovreste permettergli di parlare pubblicamente, però penso anche che scrivono cose importanti, per se stessi e per chi li legge. A me questa cosa mi ha fatto pensare, mettendo in crisi l’opinione che avevo del carcere. E vi ringrazio di aver fatto questo. Vi dirò se ho cambiato questa opinione.
Riccardo
La risposta di Graziano a Riccardo
Caro Riccardo, se ciò può contribuire a farti sentire meglio, posso assicurarti che a molte persone detenute per fatti di sangue non solo viene impedito di parlare pubblicamente, ma di parlare tout court. Personalmente ho trascorso undici mesi in isolamento e ti assicuro che, quando esci da un’esperienza del genere, devi reimparare ad articolare le parole. Lo stesso, mese più mese meno, è capitato a molti miei compagni di prigionia. Perdonami questo inizio scherzoso. Non è certo mia intenzione prendermi gioco né di te, né tantomeno delle tue idee, che sappiamo essere largamente condivise da gran parte dell’opinione pubblica. Anzi, in redazione siamo rimasti molto colpiti dall’onestà del tuo messaggio nel quale dichiari anche che abbiamo messo in crisi l’opinione che avevi del carcere. Senza che tu me ne voglia, vorrei aprire un’ulteriore crepa nelle tue certezze. Dopo aver letto il mio esordio, forse ti sarà venuto da pensare che quegli undici mesi di silenzioso isolamento siano stati per me una punizione insopportabile. Invece no. Per quanto possa sembrarti paradossale, per me l’isolamento ha significato protezione. E non parlo di protezione fisica. Chiuso da solo nella mia celletta mi sono sentito al sicuro da un confronto con la società, della quale avevo infranto la più sacra delle regole, che non avrei mai potuto reggere. In quel momento non sarei riuscito a stare di fronte nemmeno alle persone che mi conoscevano e che erano pronte a perdonarmi. La peggiore punizione che il magistrato avrebbe potuto comminarmi sarebbe stata quella di mandarmi a piede libero in attesa del processo. Non credo che avrei resistito in mezzo alla gente. Invece il carcere e, soprattutto, l’isolamento mi hanno concesso quel tanto di pace, di protezione che mi ha permesso di fare i conti con l’enormità che avevo commesso in modo graduale, di rimettere insieme i pezzi senza ulteriori e devastanti traumi. Mi sono forse troppo dilungato nell’introduzione, ma l’intento era di rendere bene chiaro un concetto: per chi è rinchiuso in carcere, tanto più per chi è detenuto per fatti di sangue, esporsi pubblicamente non è una scelta né facile, né scontata. È un passo che spesso richiede lunghi periodi di riflessione, perché la cosa più semplice, più sicura, più "naturale" sarebbe di restarsene nell’ombra, sperando che prima o poi il mondo, e le famiglie delle vittime, si dimentichino di noi e di quello che abbiamo fatto. Se usciamo allo scoperto, se ci mettiamo in gioco esponendoci a critiche legittime come la tua è solo perché siamo convinti che, parlando di una cosa che conosciamo bene e dall’interno, rendiamo in qualche modo un servizio alla società. Esiste inoltre un "fattore pratico-logistico" che gli addetti all’informazione dal carcere conoscono bene e dibattono spesso: per riuscire a formare gruppi di detenuti che riescano ad acquisire le competenze, l’oggettività e la "spassionatezza" per scrivere di carcere in modo serio e approfondito è necessario puntare su persone che abbiano alle spalle qualche anno di detenzione e di fronte ancora una lunga condanna. Purtroppo (o per fortuna) non sono molte le tipologie di reato che rispondono a questo requisito. Questo è il motivo per cui gran parte dei giornali delle Case Circondariali, dove i detenuti hanno pene brevi e c’è un continuo ricambio, nascono e muoiono nel giro di qualche mese. Il fatto che siamo riusciti a insinuare un dubbio nelle tue certezze, ci fa pensare che forse stiamo lavorando nella direzione giusta. Nel senso che le cose che scriviamo sono riuscite a colpirti e a farti riflettere indipendentemente dal fatto che a scriverle siano persone che hanno commesso un omicidio, sulla gravità di reati di questo tipo non ci sogniamo nemmeno di far cambiare opinione a nessuno. Riguardo invece i tuoi timori, che ben comprendiamo in quanto molto diffusi, sull’assunzione di un detenuto, vorrei sottoporti alcune considerazioni. Circa il rifiuto dell’assistente sociale di informarti sul reato commesso dal detenuto in questione, credo (ma non ne sono del tutto sicuro) che si tratti di una direttiva ufficiale, in ogni caso gli assistenti sociali, come scopre chiunque venga in contatto con le prigioni, sanno bene che in carcere non sono rinchiusi reati, ma persone, ciascuna delle quali ha una storia alle spalle. Ciò può spiegare anche una reticenza personale a ridurre un essere umano che sta cercando disperatamente di reinventarsi una vita ad un reato commesso magari più di dieci anni prima. Quanto alla paura legata alla gravità del reato commesso, purtroppo questo è un grosso problema molto diffuso e che affonda le sue radici nella cinematografia americana. Un vero e proprio mito che è difficilissimo da sradicare. Più volte, sia sul sito internet che sul nostro giornale, abbiamo cercato di spiegare come la logica e la prova dei fatti dimostrino che, per una serie di ragioni, i detenuti con pene molto lunghe siano in realtà quelli che evadono di meno dai permessi e i più affidabili sui luoghi di lavoro. Una di queste ragioni, che forse non abbiamo esplorato a sufficienza è molto banale: contrariamente alle opinioni più diffuse, la grande maggioranza dei detenuti per omicidio sono persone "normali", che avevano un lavoro e una vita normali e che non avevano mai commesso altri reati. Persone che in un momento della loro vita, in un attimo di follia, hanno ucciso qualcuno: la moglie, il marito violento, il socio di affari che, secondo loro, li aveva derubati. Questo tipo di detenuti, oltre a sopportare per il resto dell’esistenza il rimorso di quello che hanno fatto, spesso si trovano a scontare pene pesantissime perché, non appartenendo al mondo criminale, non hanno nulla di cui "pentirsi" in senso giuridico, nulla da barattare in cambio di condanne più lievi o addirittura della libertà e vengono sottoposti alle stesse normative d’emergenza escogitate contro la mafia. Non hanno bottini nascosti, per cui perdono tutto ciò che possiedono. Trascorrono decine di anni dietro le sbarre e l’unica cosa che sognano è di poter di nuovo fare una vita "normale", guadagnandosi il pane con il lavoro. Mentre il sistema cerca di trasformarli in individui senza più nulla da perdere, cioè quanto di più dannoso e pericoloso si possa immaginare per la società, queste persone lottano quotidianamente per inventarsi qualcosa per cui continuare a lottare. È rarissimo, per non dire che non è mai accaduto, che persone del genere una volta tornate in libertà, o in misura alternativa, commettano altri reati. La cronaca insegna che forse sarebbe statisticamente più sensato avere paura dei medici "distratti" che sbagliano medicina o dimenticano un bisturi nell’addome, o di quelle persone "perbene" e autorevoli che con i loro disinteressati consigli fanno volatilizzare i risparmi di una vita di migliaia di persone senza rischiare nemmeno un giorno di galera. E sì, siamo onesti fino in fondo, è molto più probabile che sia il ladruncolo condannato a pene lievi a svuotare la cassa di chi ha corso il rischio di offrirgli un lavoro.
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