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Sport in carcere, ne parliamo con un istruttore Isef
(Realizzata nel mese di novembre 1998)
A cura della Redazione
Fra le tante attività, che potrebbe farci "sopportare" meglio il carcere, dovrebbe esserci anche lo sport. Non quello visto per televisione, ma quello da praticare, con fatica e sudore sul campo. "Campo" per modo di dire perché non vorremmo che tutti pensassero che vogliamo parlare solo di calcio, anzi forse di calcio in carcere se ne pratica tanto e male. Vorremmo parlare di qualche altro sport a cui è possibile dedicarsi come pallavolo, pallacanestro, tennis e body building. E l’occasione, in questo periodo, c’è per la presenza di alcuni istruttori ISEF che sono venuti a passare qualche ora con noi in carcere e che sembra possano continuare a farci compagnia. Infatti pare che la Regione Veneto abbia intenzione di rendere stabile la presenza di queste persone, perché organizzino l’attività sportiva in maniera seria e continua. Per comprendere più a fondo con quale spirito gli istruttori si siano avvicinati alla nostra realtà e come abbiano intenzione di procedere, ora che la presenza non sarà solo un fatto episodico, abbiamo posto, curiosi come siamo, alcune domande a uno di loro, Luca Casonato.
Quale è stata, per te, la prima reazione quando ti sei trovato a dover affrontare la realtà del carcere? Innanzitutto qui il tempo non deve avere alcun valore per nessuno. Deve solo passare. Di conseguenza lunghe attese, ed ingiustificate per chi viene da fuori, invece sono cose normali. Le diffidenze iniziali, per chi poi deve entrare, sono enormi e solo dopo molto tempo si riesce a capire i meccanismi e a conoscere le persone, per cui diventa tutto più facile e normale.
Quale rapporto siete riusciti ad instaurare con i detenuti con i quali siete venuti a contatto? Traumatico all’inizio. Ho avuto l’impressione di essere diventato un leone al quale alcune gazzelle dovessero obbedire; un leone buono al quale si può anche, dopo qualche tempo, dare un po’ di confidenza, e che deve avere la prerogativa di sapere ascoltare. Ho notato che qualsiasi piccolo suggerimento o microscopica imposizione necessaria per impostare un po’ di attività veniva vista come una delle tante imposizioni che molto probabilmente si subiscono e che hanno la proprietà di limitare la libertà e condizionare, soprattutto mentalmente, il proprio io. Ecco quindi che la prima fatica è stata quella di far comprendere che non volevo limitare la loro libertà, ma solo organizzare in maniera organica la loro voglia di sport, affinché il maggior numero possibile di loro potesse accedere contemporaneamente alla disciplina scelta e divertirsi. Superata questa prima fase mi sono accorto che molti non vedevano l’ora di finire questa comune attività e mi avvicinavano per parlarmi. Mentre io credevo volessero parlarmi di problematiche legate al mio lavoro, ho avuto il disagio di capire che, quasi tutti, volevano parlarmi dei loro guai e cercavano in me una persona esterna che volesse ascoltare.
Che tipo di discipline sportive si possono praticare all’interno del carcere al fine di dare maggior divertimento possibile al maggior numero di detenuti? In funzione delle attrezzature esistenti che potrebbero essere, con pochissima spesa, migliorate, ed a seguito di una specie di referendum improprio che ho svolto, ritengo che si possano organizzare stabilmente le attività di: pallavolo, pallacanestro, tennis, body building e, logicamente, calcio. Escluderei l’atletica perché andremmo incontro ad una serie di complicazioni infinite.
E’ possibile far convivere sport meno praticati come tennis e pallavolo con il calcio, soprattutto nel periodo invernale? Secondo me sì. Ci vuole forse qualche rinuncia da parte di tutti, organizzando in maniera organica il tempo a disposizione. Purtroppo il tempo è limitatissimo e forse una diversa distribuzione dell’orario, all’interno della giornata, agevolerebbe molto il nostro compito. Non so se ciò sarà possibile; se si dovrà continuare con l’orario attuale si potrebbe pensare a una diversa distribuzione dell’orario settimanale di accesso alle attività sportive, non in funzione della collocazione del detenuto, ma in funzione della sua partecipazione alla specialità sportiva prescelta. Logicamente sono suggerimenti dettati dalla nostra esperienza esterna che spero possano essere applicati anche in questa diversa realtà.
Sappiamo, dalle esperienze scientifiche del Ser.T. che lo sport aiuta i tossicodipendenti. Quanto aiuta anche gli altri, soprattutto i giovani? Non credo di essere un falso profeta affermando che, se si riuscisse, come mi auguro, ad impostare un’attività sportiva che desse agli utenti qualche bella soddisfazione, il consumo di medicine calerebbe di oltre la metà. Lo sport, a livello fisiologico ed educativo, è essenziale purché venga praticato nella giusta maniera. L’organismo infatti produce, sotto sforzo organicamente programmato, rispettando la biomeccanica muscolare e fisiologica, le endorfine, sostanze ormonali che aiutano il cervello a scaricare lo stress e a sentirsi fisicamente bene. Se poi lo sport praticato è uno sport di squadra, la mente è ancora più impegnata ad elaborare tattiche che portino, con il rispetto per i compagni egli avversari, a conseguire risultati favorevoli.
Puoi sintetizzare brevemente le differenze sostanziali tra un "utente" esterno ed uno interno? Enorme. L’utente esterno viene di propria spontanea volontà, sapendo quali sforzi e quali obiettivi vuole raggiungere e spendendo anche del denaro: è un modo che ha scelto per passare del tempo libero e mantenere la forma. L’utente interno non ha alcuna idea di come impegnare il tempo che è costretto a passare in costrizione e si porta costantemente dietro tutti i suoi problemi ed i suoi affanni. Prima di parlare di sport debbo creare un rapporto di fiducia ed avere la pazienza di ascoltare i suoi problemi; dopo posso parlare di discipline sportive e possibili piccoli sacrifici da fare.
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