Interviste di "Ristretti"

 

Una detenzione su misura per quella delicata età di passaggio

A ventun'anni, i ragazzi detenuti nelle carceri minorili non saranno trasferiti nei penitenziari per adulti ma in appositi istituti. Accadrà in Campania, grazie a un accordo sottoscritto dalle istituzioni. Il primo del genere in Italia

 

(Realizzata nel mese di settembre 2004)

 

A cura di Marino Occhipinti

 

Un trauma. Uno choc dal punto di vista psicologico. E, soprattutto, una brusca battuta d’arresto nel percorso rieducativo che tanto impegno ha richiesto fino a quel giorno. Ecco che cos’è, per un giovane detenuto, il passaggio dal carcere minorile a quello per gli adulti. Che significa anche ritrovarsi di fronte a nuovi e pericolosi modelli di riferimento, con il rischio di farsi coinvolgere nella malavita organizzata.

A capire per primi che si poteva cambiare questo stato di cose, sono stati i vertici dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile campani. Non hanno atteso troppo, firmando un accordo di programma innovativo per l’Italia. Si prevede infatti che i giovani detenuti, al compimento dei ventuno anni, siano trasferiti in due carceri pensati apposta per chi, come loro, appartengono a una delicata età di mezzo: non più ragazzini e non ancora adulti. Nelle due strutture di Arienzo e di Sant’Angelo dei Lombardi, saranno privilegiate le attività utili al loro recupero e al successivo rientro nella società.

Di questo primo, concreto passo verso il superamento di schemi rigidi e dannosi – minori da una parte, adulti dall’altra – ci ha parlato la dottoressa Dolorosa Franzese, che dirige l’Ufficio dell’esecuzione penale esterna del Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria della Campania.

 

Dottoressa Franzese, in che cosa consiste il progetto, elaborato dal vostro Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria insieme al Centro per la giustizia minorile della Campania e del Molise, con il quale si prevede di evitare il trasferimento dei giovani detenuti negli istituti per adulti al compimento dei ventuno anni?

Con questo progetto intendiamo individuare dei percorsi possibili, che consentano a questa particolare "categoria" di detenuti di continuare il programma trattamentale già avviato negli istituti minorili e di intraprenderne altri che siano funzionali ai loro bisogni di formazione e alle opportunità di impiego, in sintonia con le richieste del mondo del lavoro. Il progetto si propone inoltre di ridurre l’impatto traumatico, per questi giovani, di fronte a una struttura penitenziaria tradizionale per adulti, sicuramente diversa dall’istituto minorile. E soprattutto di ridimensionare il danno che deriverebbe loro dalla frequentazione quotidiana con esponenti del crimine organizzato, pericolosi modelli di riferimento. Infine, ci proponiamo di demolire una mentalità comune a molti ragazzi provenienti dagli istituti minorili: l’idea per cui l’esperienza in un carcere per adulti, come la Casa circondariale di Poggioreale o la Casa di reclusione di Secondigliano, sia il passaggio verso un "salto di qualità" nel mondo delinquenziale.

 

Che cosa succede quando un giovane viene trasferito nel carcere per adulti?

In un carcere per adulti di tipo tradizionale, quasi sempre questi giovani sono obbligati a interrompere il percorso formativo intrapreso nella struttura per minori da cui provengono. Inoltre, molto spesso vivono un disadattamento dovuto alle regole diverse che necessariamente sottendono alla vita carceraria degli adulti, i quali presentano una personalità già strutturata. Il giovane detenuto, nel tentativo di integrarsi in questa nuova e diversa realtà, facilmente ricerca o subisce il sostegno prima, l’appartenenza poi, dei gruppi malavitosi.

 

Cosa vi ha spinto a elaborare questo accordo di programma?

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria era già orientato a individuare un circuito carcerario adatto a detenuti giovani e responsabili di reati che non destano particolare allarme sociale. Il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria della Campania ha dunque ritenuto opportuno predisporre un percorso operativo specifico anche per i giovani provenienti da strutture minorili. Il principio generale dal quale si è partiti è stato quello di tutelare i diritti del giovane adulto in esecuzione penale, assicurandogli interventi mirati durante tutto il suo iter penale. E, come conseguenza operativa di tale principio, l’accordo è stato pensato per garantire una gestione integrata e continuativa degli interventi con il comparto minorile, nel rispetto dell’unità della persona.

 

A che punto siete con il progetto?

È già operativo e stiamo seguendo i primi due casi: un giovane, attualmente nel carcere di Arienzo, sta continuando l’esperienza del lavoro all’esterno già avviata nella struttura minorile. Un altro caso è attualmente all’esame.

 

Le carceri di Arienzo e Sant’Angelo dei Lombardi saranno esclusivamente destinate all’accoglienza dei giovani. Questa scelta serve solo a evitare che i ragazzi finiscano nella "scuola di delinquenza per grandi", oppure è scaturita dalle maggiori opportunità di reinserimento che questi istituti potranno offrire?

La scelta di destinare due istituti all’accoglienza dei giovani si basa su una convinzione: una buona conoscenza dei detenuti, nelle loro dinamiche personali e interpersonali, contribuisce a rimuovere le cause da cui sono scaturiti il disagio esistenziale e il comportamento deviante. Una buona conoscenza permette di individuare un piano trattamentale più adatto al loro recupero. Inoltre, un’azione rieducativa mirata risponde anche alla finalità della prevenzione, perché contiene la recidiva e così fornisce un valido contributo alla richiesta di sicurezza della società. Se questo vale per il detenuto in generale, ancora più incisiva e funzionale risulta l’attività di osservazione e di trattamento rivolta ai giovani: un gruppo di detenuti vicini nell’età, simili negli interessi e nella disponibilità all’apprendimento, con maggiori possibilità di inserimento e una condanna non rilevante, con un basso livello di pericolosità sociale e disponibili a sottoscrivere e seguire un programma personalizzato.

 

Quanti sono, in Campania e in Molise, i minori o comunque i giovani sotto i ventuno anni che hanno avuto o hanno problemi con la giustizia?

Posso rispondervi solo in maniera parziale, in quanto la competenza in materia è del Dipartimento per la giustizia minorile. I dati in nostro possesso, forniti dal Centro per la giustizia minorile, riguardano i giovani ristretti negli istituti minorili della Campania (nel Molise vi è solo l’Ufficio di Servizio sociale minorile) al 10 agosto 2004: sono 110, di cui 68 negli istituti penali e 42 in comunità per misura cautelare o di sicurezza. I giovani adulti ristretti presso le strutture carcerarie della Campania, invece, rappresentano almeno il 35 per cento dell’intera popolazione detenuta nella regione.

 

Cosa risponderebbe a chi invoca pene più severe per i minorenni autori di reati?

L’istituzione carcere non rappresenta la panacea per risolvere il problema della devianza giovanile, se non per casi estremi che richiedono un provvedimento restrittivo della persona, per la gravità e la pericolosità del reato commesso. Prima di ripensare a un’ulteriore riforma, sarebbe il caso di rendere operativa in tutta la realtà nazionale la normativa già esistente. In genere un sistema giudiziario viene modificato se risulta inadeguato (e non è certo il nostro caso) o se non risponde ai criteri di sicurezza sociale. E credo che questa seconda ipotesi potrebbe rappresentare una delle più forti motivazioni a sostegno di chi invoca pene più severe nei confronti dei minorenni. In realtà una prima risposta al bisogno di sicurezza della società c’è, ed è la prevenzione, quando viene realizzata attraverso una concertazione costante tra tutti gli organismi, istituzionali e non, presenti sul territorio e preposti a tale compito. Un’altra risposta potrebbe essere la mediazione tra il reo e la società la quale, se esercitata con mezzi e risorse adeguati, contribuirebbe a cautelare ulteriormente il cittadino.

 

Più in generale: per quanto riguarda invece l’area penale esterna della quale lei si occupa, com’è la situazione in Campania?

In Campania i soggetti attualmente seguiti dai Centri di servizio sociale per adulti superano le 8.800 unità. Di questi, oltre 4.600 sono in esecuzione penale esterna e circa 900 in attesa di definizione da parte del Tribunale di sorveglianza. Com’è noto, il territorio della Campania presenta un’attività criminale radicata e organizzata, che incide anche sull’individuazione di validi percorsi di reinserimento, soprattutto per quanto riguarda il settore lavorativo. A questo si aggiunge un alto tasso di disoccupazione e una carenza di offerte occupazionali da parte delle aziende, le cui attività sono già ridimensionate a causa della crisi economica attuale. Ma nonostante questa situazione, anche nella nostra regione si può affermare la validità delle misure alternative alla detenzione: questi percorsi, pur dibattendosi tra difficoltà organizzative e strutturali (carenza di personale nei Centri di servizio sociale, poca ricettività da parte del territorio, ritardo nell’attuazione della legge sull’assistenza, la 328 del 2000, presenza della criminalità organizzata), registrano un moderato tasso di recidiva.

 

Che possibilità offrono, ai fini del reinserimento nella società, gli istituti di pena della Campania, e quali sono invece le difficoltà che si incontrano?

Questo Provveditorato ha promosso delle azioni per allargare e migliorare le opportunità di reinserimento, coinvolgendo la Regione, le Province, le associazioni e il mondo del lavoro. L’obiettivo è avviare a implementare, in tutte le strutture carcerarie di competenza di questo Provveditorato, percorsi formativi che abbiano garanzia di continuità anche nel caso di ammissione a una misura alternativa dalla detenzione, e comunque rispondenti alle reali esigenze del mondo del lavoro. Questa nuova modalità operativa, ancora in via di definizione, consente di coniugare la finalità rieducativa del carcere con una reale opportunità di tornare a far parte della società.

 

 

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