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Padova: Solidarietà è una cooperativa che ha già più di cinquecento soci
(Realizzata nel mese di gennaio 2001)
A cura di Ornella Favero
Partita offrendo servizi di pulizia, oggi si sta specializzando in questo settore, con attività più "tecniche" come la sanificazione delle apparecchiature informatiche
"Solidarietà" ha già compiuto vent’anni, è cresciuta bene e si è allargata fino a comprendere 500 soci, di cui alcuni hanno anche la possibilità, da due anni a questa parte, di lavorare part-time. A Padova è una grossa realtà, una delle poche alla quale si rivolgono le persone che, come noi di Ristretti Orizzonti, si occupano di carcere e sono sempre alla disperata ricerca di opportunità lavorative per detenuti ed ex detenuti. Ne parliamo con Stefania Pasqualin, responsabile del personale, partendo da lontano, dalle origini di questa esperienza: "A dire la verità prima è stata creata una comunità per tossicodipendenti, e poi, per dare opportunità lavorative alle persone che seguivano un percorso terapeutico in questa comunità, offrendo loro un ambiente "protetto", si è pensato di dar vita a una cooperativa. E’ una cooperativa che si occupa quindi di persone con problemi di tossicodipendenza, anche in corso, che, nel caso facciano uso ancora di sostanze, sono comunque seguite dagli operatori dei servizi e non abbandonate a se stesse. Noi, in un certo senso, facciamo anche da mediatori fra le persone, che magari non vogliono neppure essere assistite dai servizi, e i servizi stessi, come il Sert, il C.S.S.A., etc.".
Ma di che cosa si occupa e che opportunità lavorative offre la vostra cooperativa? "Quando siamo nati, offrivamo soprattutto servizi di pulizia, ora ci stiamo orientando su altre attività in questo campo. Ci sono infatti persone che hanno il desiderio di fare altri lavori, un po’ più ‘tecnici’, e noi non avevamo niente da offrire loro. E così abbiamo deciso di allargarci in ambiti più specifici, come la sanificazione delle apparecchiature informatiche, che il Comune di Padova, per esempio, ci ha affidato. Stiamo anche cercando di aprire un altro ‘fronte’, dando vita a strutture ‘alberghiere’ o di accoglienza, in particolare abbiamo un progetto di una struttura residenziale per dare alloggio alle persone che altrimenti non avrebbero facilmente alternative, come immigrati, ex detenuti, tossicodipendenti. Oggi abbiamo cinquecento soci, dei quali alcuni lavorano part time, un’opportunità che è stata concessa da 2 anni a questa parte. Per legge dobbiamo avere il 30% di soggetti svantaggiati: da noi sono 190 i soci ‘certificati’, cioè soggetti svantaggiati seguiti dai servizi, ma abbiamo anche persone il cui disagio non è previsto dalla legge 381, e quindi non dà accesso ad agevolazioni particolari: io ho recentemente suggerito alla Regione di prendere in considerazione anche altri tipi di disagio, perché di disagio reale si tratta. Gli stranieri, invece, sono solo 30, ma il motivo è evidente. Venerdì prossimo, per esempio, faremo dei colloqui alla Casa di Reclusione di Padova, ma se gli stranieri non hanno o non hanno mai avuto un permesso di soggiorno, purtroppo non possiamo metterli in regola.
Chi sono, che caratteristiche hanno prevalentemente le persone che si rivolgono a voi per cercare un’opportunità lavorativa? Si tratta soprattutto di persone che hanno avuto o hanno problemi di tossicodipendenza. E tra loro ci sono naturalmente tantissimi ex detenuti, perché chi ha avuto a che fare con la droga ha anche, purtroppo, quasi sempre fatto più volte ingresso in carcere. Attualmente, poi, da noi lavorano dieci detenuti in misura alternativa, che potrebbero diventare di più, visto che ora abbiamo avuto l’autorizzazione a contattare direttamente i detenuti in carcere.
Con le cooperative noi abbiamo, a volte, delle difficoltà ad avere informazioni dettagliate sulla loro storia, le loro attività, le prospettive che hanno. Più che altro, è difficile parlare apertamente anche dei piccoli insuccessi, dei fallimenti, delle difficoltà, e invece sarebbe importante, perché aiuterebbe chi opera in questo settore, ma ha meno esperienza, a non ripetere gli stessi errori. E’ logico che ci siano degli insuccessi, noi non abbiamo paura di parlarne. Quello che è fondamentale, per lavorare decentemente, è il rapporto con le strutture pubbliche, perché c’è bisogno di questa collaborazione, è indispensabile una rete tra servizi e privato sociale. Se ho un rapporto serio con i servizi, riesco a intervenire meglio con le persone che lavorano da noi. Il fatto è che è anche facile sbagliare un inserimento, se per esempio non conosco i problemi che una persona ha o ha avuto, rischio di creare un "gruppo sbagliato", se invece dai servizi ho ricevuto le informazioni necessarie, riesco a gestire meglio le cose. Quello che è importante, poi, è avere dei ritorni da chi lavora con noi, cioè un filo diretto, dei colloqui, anche occasionali, ma averli, e poi stimolare il fatto che le persone vengano da noi quando hanno dei problemi.
La struttura della cooperativa è complessa, ci sembra di capire: come siete organizzati al vostro interno e come controllate la qualità dei servizi che fornite? Qui, per esempio, state vedendo tre soci della cooperativa con mansioni molto diverse. Io sono responsabile del personale, poi c’è Marisa, che è una caposquadra, perché in ogni cantiere ci sono 1-2-3 capisquadra fissi. E c’è Fiorenzo, che è Capo Area e va a visitare i cantieri e tiene i rapporti con i clienti. Perché, e questo non bisogna mai dimenticarselo, il cliente alla fin fine vuole dei servizi soddisfacenti, al di là di chi glieli dà e di che problemi può avere. Tenete presente che noi facciamo inserimenti lavorativi nel pubblico e nel privato, ma io non sono tenuta a dire al privato esattamente la situazione delle persone che lavorano per noi. Chi viene informato nei dettagli della situazione è il Caposquadra, ma poi neppure chi lavora, per esempio, a fianco di una persona che ha un disagio particolare, lo sa. La nostra idea di fondo è di avere un progetto sociale che si rivolga anche al privato, che deve avere soprattutto la certezza che il servizio richiesto gli verrà garantito. E per garantirlo, naturalmente noi dobbiamo affrontare e risolvere sempre molte difficoltà, perché ogni reinserimento ha una sua storia e le sue complicazioni: ci sono, tanto per spiegare meglio la questione, persone che non hanno una educazione al gruppo, e invece bisogna sempre pensare che, per esempio, se stai a casa dal lavoro senza avvisare, crei problemi a tutti. Allora, se possibile, fai questo piccolo gesto di avvisarmi la sera prima, e lavoreremo tutti meglio.
Stefania è prima di tutto una persona concreta, e quindi pone l’accento anche sui piccoli problemi di chi lavora in una cooperativa. Il fatto è che questi piccoli problemi, quando c’è di mezzo il carcere, possono diventare molto pesanti: se a un detenuto che lavora alla Solidarietà viene comunicato questa sera che domani deve sottoporsi a una visita medica, o fare delle analisi, lui non può prendere il telefono in mano e avvisare della sua assenza: dovrebbe farlo il carcere, e spesso non lo fa, e così può succedere che sul posto di lavoro si crei una situazione di inutile ansia. Ecco un altro esempio di come sia fondamentale creare una rete di rapporti, che coinvolga tutti gli operatori dei servizi che si occupano del reinserimento lavorativo dei soci svantaggiati, compresi gli operatori del carcere. La prossima occasione di incontro con la Cooperativa Solidarietà servirà anche a verificare se la possibilità di entrare in carcere per fare dei colloqui con i detenuti è stata davvero il primo passo di una collaborazione più puntuale e stabile con il carcere stesso.
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