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conflitti che nascono dai comportamenti non capiti Incontro con Paolo Balboni, docente di teoria e tecniche della comunicazione di massa all’Università Cà Foscari di Venezia (Realizzato nel mese di febbraio 2002) A cura della Redazione Quanto pesa, nei rapporti tra persone di lingua e cultura differenti, la comunicazione non verbale fatta di gesti, mimica facciale, modi diversi di esprimere l’idea di gerarchia... Paolo Balboni è docente di teoria e tecniche della comunicazione di massa all’Università Cà Foscari di Venezia e autore, tra l’altro, del libro Parole comuni, culture diverse, un testo importante per imparare a “valutare cosa sia formale o amichevole, aggressivo o cortese, utile o superfluo in una comunicazione con persone di lingua e cultura differente dalla nostra”. Eppure, pur occupandosi da anni di mettere a confronto lingue e culture, un tavolo di discussione così “vario” e vivace come quello che ha trovato in carcere, nella nostra redazione, non gli è capitato tanto spesso di trovarlo: tunisini, marocchini, albanesi, serbi, un australiano, e poi ancora veneti, calabresi, pugliesi, una curiosa mescolanza dove spesso, nella foga del confronto, è successo che si sono formate le più strane “alleanze” e la distanza, a volte, è stata più forte tra italiani del nord e italiani del sud che, per esempio, tra italiani del sud e magrebini. Il tema affrontato è di quelli scottanti in carcere: quanto pesa nei rapporti tra le persone la comunicazione non verbale, fatta dei gesti del corpo, della mimica facciale, delle distanze tra interlocutori, dell’idea di gerarchia. E quanto, se non capita, può essere causa di conflitti. Ristretti
Orizzonti: Ci parla del suo lavoro? L’idea alla base del mio lavoro è molto semplice: la gente crede che basti sapere una lingua per comunicare e non si rende conto che spesso, pur conoscendo bene una lingua, si commettono ugualmente fortissimi errori nella comunicazione. Ci sono errori che dipendono dal “software” che abbiamo nella mente, e che non mettiamo mai in discussione: per esempio il concetto di gerarchia, cioè chi è più potente e come si dimostra il fatto che uno è più potente. E questo è un tema difficilissimo da gestire, perché in ogni cultura il modo di rispettare chi ha più potere cambia. Non solo, tutti noi abbiamo l’idea che il potere derivi da alcune cose che uno ha nella sua vita, i soldi, la carriera, invece non è così dappertutto. Non so se qui ci siano dei cinesi per esempio, ma certo tra i cinesi il maggior rispetto va al più anziano, qualunque sia la sua funzione, il suo ruolo, in quanto più vecchio ha diritto di parlare per primo, di essere l’ultimo che tira le fila di un discorso e così via. Un altro grande problema è che nella comunicazione conta la lingua, ma anche l’espressione del viso, il modo in cui si muovono le mani, il modo in cui si sta vicini, il modo in cui ci si può toccare o non toccare. Poi ci sono delle cose che dette in una lingua sono normali, dette in un’altra lingua sono delle prese in giro, o sono violente. Il fatto è che parlare è in qualche modo come fare una partita a scacchi: in questo momento sto muovendo io i pezzi, quindi sono io che ho in mano la situazione. Voi mi state facendo un cenno con la testa per dirmi che siete d’accordo, però in molte culture fare così con la testa vuol dire di no. In molte culture il tenere gli occhi bassi non significa che uno è addormentato o altro, ma semplicemente che sta mostrando che capisce. Tra le varie mosse che si possono fare poi, uno può interrompere chi sta parlando, e per noi italiani, ma anche per gli spagnoli, per le culture latine va benissimo, per tantissimi altri popoli invece è proprio un’offesa, vuol dire mancanza di rispetto, vuol dire che di quello che tu stai dicendo non me ne frega niente e via. Anche in quello che si fa con i gesti, con le mani, possono esserci errori pazzeschi. La cosa brutta è quando uno non si sente rispettato, in questa situazione del carcere può succedere per esempio con l’agente, e quindi possono nascere delle tensioni che non si volevano... Allora, sarebbe interessante incominciare a dire: “Dov’è che noi abbiamo delle difficoltà sui gesti? Quali sono i gesti offensivi per il mondo del Maghreb, quali sono i gesti offensivi per il mondo balcanico, quali sono offensivi per l’Albania e così via... Cioè, incominciare proprio a fare degli elenchi, e in alcuni casi ci si ride sopra, in altri casi si incomincia a stare un po’ attenti, perché molto spesso noi siamo convinti che quando non sappiamo dire una cosa a voce, se la diciamo con i gesti diventa più semplice. Non è invece così, ma la cosa importante, per riuscire poi a capirsi, è fare un elenco confrontando i problemi, in modo che chi entra in un ambiente come il carcere, dove sono presenti persone di paesi diversi, riceva un’istruzione anche in questo senso, sappia che alcune cose verranno capite male, altre può capirle male lui. Ecco, credo che sia un po’ tutto qui... Ristretti
Orizzonti: Ci vorrebbe un manuale solo per questi problemi, servirebbe veramente
una guida alla comunicazione. Una guida così non può farvela nessuno, dovete farvela da voi, passando in rassegna tutte le voci: quello che fai con gli occhi, quello che fai con l’espressione del viso... per esempio tu guardi direttamente negli occhi la persona o no? Allora, vediamo i diversi comportamenti di persone che vengono da Marocco, Algeria, Albania, Spagna. Qui prima qualcuno faceva la battuta che “Napoli è un’altra nazione”, è vero comunque che tante volte ci sono dei problemi anche tra nord e sud. Giù a Napoli può essere tranquillissimo tra amici prendersi a braccetto e andare tra maschi a braccetto per strada, in Turchia due ragazzi si prendono per mano senza problemi, ma se tu vedi in centro a Padova due che si prendono per mano, vuol dire probabilmente che stanno esibendo il fatto di essere gay. La questione è che su tanti altri problemi noi stiamo attenti, sui problemi religiosi siamo tutti quanti consapevoli, sul cibo si sa, per esempio, che alcuni non mangiano maiale, altri non mangiano altri cibi. Ma anche la gestualità è fondamentale, perché gli occhi portano al cervello l’83% per cento delle informazioni, la lingua solo l’11% per cento. Allora il discorso diventa questo: siccome gli occhi sono più importanti, bisogna stare attenti perché tutto quello che noi ci mettiamo addosso, il modo in cui noi ci mettiamo seduti, in cui ci vestiamo e così via contano moltissimo. Ristretti Orizzonti: Nel suo libro però lei parla soprattutto del mondo degli scambi commerciali... Il fatto è che è da lì che è venuto fuori questo problema, dagli anni novanta in poi. Per esempio, i cinesi e i giapponesi devono sempre dimostrare rispetto, e per questo non dicono mai di no. Allora, quelli che andavano a commerciare in Cina o in Giappone si trovavano di fronte delle persone che gli facevano un sorriso. Un sorriso stando zitti per loro vuol dire no, ma un italiano un sorriso lo prende per sì e quindi la trattativa diventa ingestibile. E ancora: un cinese, che deve dimostrare rispetto soprattutto se chi parla è più anziano, si trovava con il tecnico italiano di oltre cinquant’anni, che gli spiegava come funziona la macchina per fare le scatole per le scarpe e gli chiedeva poi: “Hai capito?”. Ma il cinese non può dire di no a una persona di una certa età, perché sarebbe come dirgli “Tu non sei stato in grado di spiegarmi...” e quindi ti dice di sì. Però nel momento in cui parte la produzione delle scatole per scarpe, lui non ha capito il funzionamento della macchina e non è in grado di lavorare correttamente, e così accadono macelli. Allora, succede che l’italiano pensa che i cinesi sono stupidi e li tratta da stupidi. Il cinese pensa: io ti ho voluto rispettare e perché tu invece mi tratti male? E a quel punto incominciano a litigare. Un altro punto interessante è che cosa fare delle cose che escono dal corpo: lo sputo, le lacrime, la pipì, il sudore... Per esempio per gli orientali ubriacarsi e vomitare insieme è un segno di amicizia. Cioè, tu conosci persone nuove, vuoi dimostrare che sei un amico, bevi in fretta tre bicchieri di Saké e vomiti, anzi si vomita insieme. Ruttare, ruttare per buona parte dell’Europa del nord vuol dire che ho mangiato abbastanza, sto bene, sono soddisfatto, ma se io non rutto continuano a darmi da mangiare. Allora, l’unica soluzione è spiegarsi, e l’idea è proprio quella di evitare che da comportamenti non capiti nascano dei conflitti. Francesco
Morelli (Ristretti Orizzonti): Mi sembra di aver capito che il primo livello è
la conoscenza, io devo sapere quali canoni usa un cinese, un finlandese, poi però
queste conoscenze possono essere usate, come diceva lei, per evitare liti, ma
anche come uno strumento di potere... Graziano Scialpi (Ristretti Orizzonti): A me sembra abbastanza ovvio che queste problematiche siano saltate fuori nell’ambiente commerciale, così come do per scontato che dopo i primi problemi le aziende in occidente siano corse al riparo. Ma in Cina o in Giappone c’è stato un adeguamento del genere? Si sono messi a studiare anche i giapponesi o i cinesi come comportarsi con gli occidentali? No, i cinesi no e i giapponesi hanno fatto una cosa su cui io non sono d’accordo, si sono cancellati, cioè i giapponesi pur di commerciare con gli americani sono diventati più americani degli americani. Quindi, è un calar le braghe disperatamente, i cinesi hanno scoperto per esempio che lo sputare continuo a noi dà fastidio, e cosa hanno fatto? a Pechino in tutta la zona industriale e dintorni è vietato sputare. Allora la cosa invece bella di questo discorso è: che cosa fare dopo che abbiamo imparato a conoscere questi linguaggi non verbali? Per il novanta per cento ci ridiamo sopra, io continuo a fare in un modo e tu continui a fare nel tuo modo. L’importante è che so che non mi stai offendendo, per il resto se io so che a uno gli dà fastidio che io sputi, va beh, evito di sputare, ci sono comunque delle cose che danno un fastidio forte. Allora, se io sono inserito in mezzo a degli italiani e a tutti gli italiani dà fastidio che io sputi, sputo in bagno. Ma la cosa importante non è diventare schiavi delle abitudini degli altri, è saperle e anche scherzarci sopra, accettare che il mondo tutto uguale fa noia. C’è un’altra cosa più difficile invece, il fatto che bisogna sapere queste abitudini per non farsi delle idee sbagliate. Nelle scuole italiane tutti gli insegnanti dicono che i bambini cinesi sono distratti, abulici, cioè non mostrano nessuna emozione, non hanno voglia di fare niente, non prendono iniziative, non fanno mai una domanda, sono degli oggetti. Il fatto è che nella cultura cinese il piccolo è quello che di fronte agli adulti deve stare zitto, non deve mai mostrare sulla faccia quello che prova. Quindi, mentre se i nostri bambini stanno male, tu li vedi in faccia che incominciano ad essere tristi, il bambino cinese regge fin che può, quando non può ovviamente è distrutto... Il bambino che viene dal mondo islamico invece è un bambino che per i primi anni di vita è un re, la mamma, la nonna, la zia, la sorella, sono tutti a sua disposizione, tende a mangiare quando ha voglia, far pipì quando ha voglia..., tu lo metti in una prima elementare italiana o anche nella scuola materna dove c’è l’ora per fare il sonnellino, l’ora per fare la pipì, e il bambino non capisce più niente. Quattro ore della sua vita le passa in un modo, il resto della sua giornata lo passa in un altro modo, e alla fine va in crisi. Allora, tutti questi comportamenti diversi nelle scuole stanno provocando dei problemi non indifferenti, perché cosa succede? il bambino cinese sembra stupido e sta fermo, il bambino arabo è un rompiballe che si muove sempre e si alza quando vuole lui, i bambini sudamericani (e ce ne sono tanti che arrivano con il sistema delle adozioni internazionali) sono bambini estremamente allegri, per cui se sentono la musica si mettono a ballare. Però allora c’è subito l’insegnante intelligente che capisce, c’è l’insegnante stupida che invece dice “...quel bambino è indisciplinato...” e incomincia a trattarlo male, a tenerlo sotto controllo. Per questo sottolineo l’importanza di riderci sopra, perché se ci si ride sopra e se ne parla non succede più niente, se invece non se ne parla alla fine ci si trova a litigare e ad avere pregiudizi... Siccome le ragioni di differenza ci sono già e sono importanti, cerchiamo di non aggiungerne di stupide. Ornella Favero (Ristretti Orizzonti): Riderci sopra in certi ambienti non è così facile, però. In carcere, per esempio, ma anche in altri ambienti, a parte che non c’è nessuna attenzione per questi comportamenti, un punto di vista molto diffuso è che la persona straniera che è qui deve adeguarsi, tu sei qui e devi fare come faccio io, ed è difficile anche smuovere questa mentalità... Ecco, allora è per questo che dico che bisogna lavorare su tutte e due le componenti del carcere, cioè chi è in divisa e chi è senza. Ma c’è da mettere dentro anche una cosa nuova, che gli americani stanno scoprendo adesso, perché anche loro prima erano come i carcerieri, dicevano: “Tu sei venuto qui e allora ti adegui...”. Ci sono due parole che sembrano uguali, cultura e civiltà, e noi pensiamo che tutte le culture devono essere rispettate. In realtà in ogni cultura c’è qualche elemento che le persone ritengono di civiltà alta, cioè al quale uno non è disposto a rinunciare. Allora, quello che bisogna scoprire insieme, e che quindi anche gli agenti devono scoprire è quali sono le cose su cui non si è disposti a cedere, e allora lì si va ad una contrattazione forte. Nicola Sansonna (Ristretti Orizzonti): Il fatto è che bisogna anche voler contrattare... Ma in alcuni campi deve diventare necessario contrattare, altrimenti alla fine le cose esplodono. Le cose si possono tener ferme soltanto fino ad un certo punto, ma poi le valanghe vengono anche se ci metti i paletti, per un po’ le tieni ma poi i paletti crollano. L’unico modo per mettere dei pali che garantiscano tutti è trovare ancora una volta, anche lì ragionandoci, quali sono le cose su cui non si ritiene giusto cedere. Esempio stupido, la religione, in realtà che cos’è che va difeso come valore di civiltà? è il diritto alla religione, cioè il rispetto della libertà religiosa. Allora, su questo non si deve discutere, una volta che abbiamo messo questo palo è ovvio che tante altre cose vengono da sé. Dopodiché se c’è un gruppo di persone che stanno facendo il Ramadan, diventa ovvio che gli altri non gli vanno a mangiare il panino sotto il naso alle quattro del pomeriggio, allora vuol dire che se tu sai che cos’è il Ramadan ti impegni a rispettare il diritto religioso e a quel punto se devi mangiare ti sposti, diventa un convivere in questo senso. Sulla persona, che cos’è che è sacro per la cultura italiana o dovrebbe esserlo? È il fatto che il corpo umano è inviolabile, che io non ti posso torturare, non ti posso uccidere. Allora, incominciamo a definire che cosa vuol dire torturare, fino a che punto è violare la libertà delle persone mettendole dietro alle sbarre, ma fino a che punto invece diventa anche violare i corpi delle persone, allora a quel punto non puoi più andare oltre. Ma questo è un discorso molto bello, molto alto, su cui bisogna incominciare a ragionare, quali sono le cose su cui non si vuole... le cose per cui si è “disposti a morire”. Francesco Morelli (Ristretti Orizzonti): Tra questi elementi su cui non “transigiamo”, la civiltà occidentale credo comprenda anche un concetto di parità, ad esempio tra i sessi. L’altro giorno si faceva l’esempio di un cittadino tunisino che è andato da un avvocato, ha portato con sé il bambino e ha lasciato fuori della porta la moglie. Nel momento in cui noi incontriamo un rappresentante di una cultura diversa che non accetta questo presupposto di parità, ad esempio tra i sessi, come dobbiamo comportarci, abbiamo un diritto dovere di dire “...no, guarda...”, oppure dobbiamo comunque accettare che lui consideri in maniera differente questo presupposto? Questa è l’anima di tutto: allora, nel momento in cui io ho degli immigrati, una delle domande che mi pongo riguarda il rapporto uomo-donna. Nella nostra Costituzione c’è scritto che non ci sono differenze di sesso, poi andiamo a vedere in Parlamento, e troviamo un numero esiguo di donne. Quindi vediamo che in realtà le cose non stanno come sono scritte. Allora la cosa più bella diventa che gli italiani incominciano a non poter più fare tante lezioni, perché nella realtà molte donne fanno ancora solo le casalinghe e, quando vanno fuori a lavorare, fanno le operaie o le impiegate più la casalinga. Quindi, una volta deciso che noi tendiamo alla parità ma siamo ancora imperfetti, se questo è uno dei valori grandi, tu straniero che vieni in Italia questo valore lo accetti, il che vuol dire istruzione per le figlie e non solo per i figli. E questo diventa un problema su cui discutere moltissimo, perché tantissime ragazzine straniere se ne stanno a casa finita la scuola media... C’è stato un caso molto interessante, a Borgo Valsugana, dove c’erano due ragazzi, fratello e sorella, in Italia da tre anni, parlavano benissimo l’italiano, figli di una famiglia marocchina, integrati in Italia con lavoro e nessun problema. Il ragazzo, che era di due anni più piccolo, aveva cominciato a difendere la sorella quando i compagni la guardavano troppo, e allora lui prendeva a picchiare i compagni: era tarchiato e forte, perciò ne dava tante! Allora il Direttore ha parlato con il padre e il discorso che gli ha fatto era molto semplice: se deve restare in Italia, è utile che glielo spieghi, a suo figlio, che non può ogni volta andare a picchiare tutto il mondo perché guardano la sorella. Il padre a questo punto è stato zitto dieci secondi e poi ha detto al figlio: “Se qualcuno guarda tua sorella tu picchialo e alla fine dell’anno torniamo in Marocco”. Cioè, lui ha preso la decisione di conservare un modo di comportarsi, ma di conseguenza ne ha presa anche un’altra: “Torno in Marocco, perché se resto qui non puoi passare la vita a picchiare tutti”. Chi se ne va dal suo paese si trova per forza in alcune cose a dover cedere. Stiamo però attenti. La cultura è un contagio. Non c’è soltanto uno che viene contagiato, ci sono anche gli altri, anche gli italiani in questo caso vengono contagiati da alcuni elementi culturali, basta andare fuori in giro e incominciamo già a vedere l’impatto che queste persone che sono arrivate hanno sul nostro mondo. Con il professor Balboni l’incontro in redazione è finito con una proposta originale che ci piacerebbe portare avanti: realizzare con la sua “supervisione” una guida alla comunicazione non verbale nei luoghi di detenzione. Sarebbe un ottimo strumento per chi si occupa di mediazione linguistico - culturale.
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