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Intervista a Carla Corso del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute
(Realizzata nel mese di ottobre 2001)
Questa intervista ci fa conoscere il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, fondato quasi vent’anni fa da Carla Corso e Pia Covre per combattere lo sfruttamento e la discriminazione delle persone che si prostituiscono.
Quando è nata la vostra associazione e quali erano le sue finalità? La nostra associazione è nata nel 1982 e le finalità erano principalmente tre: modificare la legge Merlin, aprire un grande dibattito sulla prostituzione, cambiare l’immagine stereotipata delle donne prostitute.
Che tipo di interventi effettuate? Il nostro campo di interventi, negli anni, si è molto modificato: è passato da rivendicazioni puramente politiche, come il cambio della legge Merlin e il riconoscimento dei diritti civili a tutte le prostitute, a interventi di tipo sociale e sanitario che ci vede impegnate nella prevenzione sanitaria generale e delle malattie sessualmente trasmesse e nella riduzione del danno, fino a interventi sempre più specifici e sperimentali, che riguardano l’accoglienza e la fuoriuscita dalla prostituzione di persone che decidono di farlo e solo su richiesta esplicita delle interessate. Tutte le nostre attività sono scarsamente finanziate dall’Unione Europea, per quanto riguarda la prevenzione sanitaria, e dal Ministero per le Pari Opportunità egli Affari Sociali per quanto riguarda l’accoglienza, come pure dall’Istituto Superiore della Sanità per quanto riguarda la prevenzione dell’HIV. Lavoriamo solo su progetti: non abbiamo fondi garantiti su base annuale.
Quali esperti collaborano alle vostre attività? Che tipo di organizzazione avete e in quanti siete attivi? La nostra associazione è un comitato fondato da una ventina di persone, prostitute e non, e in questo momento lavora con noi all’incirca una sessantina di persone tra Torino, Novara, Modena, Trieste e Pordenone. Le uniche figure professionali con le quali preferiamo lavorare sono educatori, psicologi, medici e personale generico, che ci occupiamo di formare direttamente. Una delle figure predominanti nella nostra equipe sono i mediatori culturali, che sono quasi sempre donne che hanno esercitato la prostituzione e che rappresentano le varie nazionalità con cui operiamo. Questa figura, estremamente importante, ha il compito non solo di tradurre nella sua lingua, ma anche di farci conoscere le varie differenti culture in modo da consentirci di eseguire interventi più mirati nel rispetto reciproco. In ogni città dove apriamo un laboratorio o un progetto rendiamo accessibili i servizi disponibili in città anche alle donne prostitute, clandestine e sans - papiers: è questo il nostro grande impegno, perché i nostri progetti sono finanziati in modo insufficiente e quindi contiamo molto sulla collaborazione delle amministrazioni cittadine e delle aziende sanitarie, le quali garantiscono dei servizi, molto spesso completamente gratuiti.
Quale aiuto concreto potete offrire a chi si rivolge alla vostra associazione e quali associazioni sono attive nel settore? L’aiuto che diamo alle persone che si prostituiscono (che non sono solo donne) che si rivolgono a noi consiste in interventi in:
Campo sanitario:
Campo legale:
Campo sociale:
Ci sono miriadi di associazioni, piccole e grandi, che attualmente lavorano in questo campo, ma tutte sono impegnate nell’ambito della “redenzione” e pochi sono i gruppi laici che si occupano anche delle donne che vogliono rimanere all’interno della prostituzione. Esiste a Venezia un grosso servizio del Comune, che nasce nel ‘95, come progetto emanato dal nostro Comitato, e viene poi trasformato in servizio. Questo servizio, che sta svolgendo un lavoro molto interessante, ha due finalità: accoglienza e riduzione del danno.
Che soluzioni proponete perché le donne che vogliono prostituirsi possano farlo con meno disagio? Prima di tutto bisogna stabilire quali sono i possibili disagi:
Esiste qualcuno che sostenga, all’uscita dal carcere, le ragazze che sono finite in carcere per reati legati in qualche modo alla prostituzione? A questa domanda non posso rispondere, perché non sono a conoscenza di nessun progetto che sostenga queste donne, anche se a Venezia ho conosciuto una suora che lavorava all’interno del carcere ed era molto angosciata per questa situazione. Mi piacerebbe molto poter avviare un progetto che coinvolga queste donne, ma avrei bisogno di persone che conoscano la problematica del carcere approfonditamente e bisognerebbe anche trovare dei fondi ad hoc, perché in questo momento gli unici soldi che vengono stanziati sono destinati esclusivamente alle donne vittime della tratta. Documento del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute
Sesso comprato e venduto: considerazioni economiche e sociosanitarie
Sesso comprato e venduto: ma così è sempre stato, e urlarlo scandalizzati ancora oggi, adducendo questo e quel pretesto, nulla aggiunge all’ovvietà della constatazione. Neppure è facile resistere al fascino e alla forza di una certa logica che evoca automaticamente la mano invisibile del Mercato e il libero gioco della domanda e dell’offerta. Non solo. Il Mercato sfacciatamente si vuole come l’Eden dei diritti innati e delle libertà possibili in libertà vendiamo capacità lavorativa, sia essa fisica e mentale; in libertà alieniamo parte del nostro tempo o tutto il nostro tempo. Il mercato della prostituzione, si dice, non costituisce in fondo un’eccezione, questa volta al lavoro, come recita il bel libro della Tatafiore, è il sesso. Ma la riduzione della prostituta a sex - worker rischia di semplificare, a nostro avviso, questo particolare mercato fino a fame il luogo figurato per l’esercizio accademico delle nostre anime belle. La prostituta è anche qualcos’altro, come sempre accade quando dietro la forma merce e il suo feticismo si scopre il lavoro vivo e la nuda vita. Ma questa e un’altra storia. Il mercato della prostituzione è un effetto della globalizzazione: non ci riferiamo alla massa di capitale finanziario, cioè del denaro prodotto e scambiato come merce e in grado di far vacillare le economie reali del Sud America, delle tigri asiatiche, dell’orso russo. Non ci riferiamo neanche alle nuove oligarchie planetarie. Pensiamo invece all’estrema mobilità del capitale, un tempo detto industriale, e alle ristrutturazioni e alle riconversioni dei modi di produrre. Pensiamo alla perdita di centralità degli Stati nazionali, alla crisi dei relativi mercati, alla massificazione del lavoro salariato, alla sua precarizzazione e segmentazione per sesso, per età, per nazionalità. Non sono processi indolori, spesso le guerre tribali e i nazionalismi forniscono l’alibi a processi di questo genere. Tutti concordano nel ritenere che stiamo vivendo un rivolgimento, la cui radicalità è pari alle grandi svolte che hanno segnato la storia dell’umanità nell’ultimo millennio: la rivoluzione agraria tra il 1100 e il 1200 e la rivoluzione industriale alla fine del 1700. Anche oggi, come allora, le emigrazioni forzate e volontarie accompagnano questo snodo epocale. Si fugge sempre da qualcosa e da qualcuno, è inutile insistervi. Più interessante, invece, è l’individuazione della meta. Non c’è esodo senza terra promessa. E la terra promessa per milioni di uomini e donne del secondo, terzo, quarto mondo, è il primo mondo, Europa e U.S.A. in primis. Non ci stancheremo di ripeterlo, le prostitute bianche e nere sono l’avanguardia o la punta d’iceberg della forza lavoro multinazionale dell’era della globalizzazione. In verità, di “forza lavoro” parlano i governi e i parlamenti occidentali. Le quote d’immigrati, preventivate d’anno in anno, non alludono forse al carattere di merce dell’immigrato extracomunitario? E non è forse vero che un riconoscimento minimo di diritti minimi è legato a questa realtà? Che, insomma, la messa al bando, l’essere clandestino e nuda vita è il destino di chi si sottrae deliberatamente, o è tagliato fuori perché soprannumerario? Le prostitute sono questa nuda vita. Devono esserlo. L’assunzione di questa prospettiva rende possibile la denuncia dei limiti di un approccio mercantile al problema. Ma anche questa è un’altra storia. Dentro questi limiti, l’analisi e facile. In Italia la modificazione del mercato è preparata dalla repressione di Stato lungo tutti gli anni settanta e ottanta: schedature, diffide, fogli di via, domicilio coatto, confino, sorveglianza speciale, revoca della patente, in una parola l’applicazione dell’art. 1 di Pubblica Sicurezza, nel clima emergenziale delle leggi speciali antiterrorismo, dissodano il campo della prostituzione autoctona. Cacciate dalle strade, le nostre prostitute “riscoprono le case”. Ma è il sommovimento sociale e culturale di quegli anni ad incoraggiare e ad alimentare la trasformazione della prostituta a sex worker e a soggetto politico. Il 1983, l’anno di nascita del nostro Comitato, costituisce un vero e proprio spartiacque in tal senso. Professionista, sostenuta da un’alta coscienza di sé, libera nella gestione del proprio corpo, senza protettore, “sindacalmente” attrezzata, la nostra prostituta gode di un potere contrattuale ragguardevole. Ad aggredirla, a metterla in un angolo, a svilire il suo potere, è l’irruzione, alla fine degli anni ottanta, di migliaia di donne, che provvedono a riempire di nuovo le strade. I primi ad arrivare sono i travestiti e le ragazze latino - americane e del sud - est asiatico, poi le nigeriane, le jugoslave, infine le albanesi, le russe, le polacche, le ucraine. Oggi, su un totale di 50.000 lavoratrici sessuali, la metà lavora sulla strada. A guardare le aree di provenienza, è fin troppo facile indicare le cause più immediate ed ovvie di quest’esodo nella fame, nella mancanza di lavoro, nelle guerre interetniche e tribali, nell’implosione di fragili imperi, nelle crisi cicliche scatenate dalle più feroci politiche neoliberiste. Resta il fatto che, per migliaia e migliaia, forse milioni di donne e di uomini in fuga, prevalentemente giovani, mediamente acculturati, l’occidente ha significato e continua a significare la terra promessa e non necessariamente con il carico di aspettative e di ragioni che segnarono fenomeni solo all’apparenza simili, tra l’800 e il ‘900, o negli anni 30 e 50 di questo secolo. Perciò, se continua ad essere vero che la molla che spinge queste donne a intraprendere viaggi disperati è il denaro, è altrettanto vero che la posta in gioco è la vita godibile, non soltanto migliore. Il denaro, in questa prospettiva, diventa mezzo d’emancipazione e di liberazione. E ciò è possibile a partire da una ricchezza latente, da un’esuberanza di potenzialità in grado di rendere reversibile la propria condizione di partenza. È arduo, attualmente, sostenere questa tesi. La prostituzione che conosciamo è sotto il controllo delle mafie dell’Est, le ragazze spesso o per lo più sono coatte, la loro è una condizione di deiezione estrema. Se misuriamo il tasso d’autonomia, di libertà e di potere dal prezzo dell’offerta e dal saggio di profitto (quanto va al protettore, quanto resta alla ragazza), c’è da restare disorientati. Il prezzo è caduto ed il saggio di profitto è tra i più alti. Lo statuto della nuova prostituzione di strada è mutato: l’area del lavoro autonomo, appannaggio delle lavoratrici autoctone, si è ridotto notevolmente (meno del 5%); quella del lavoro coatto e servile è cresciuta oltre ogni misura. Quello che, secondo noi, va sottolineato è quest’intreccio perverso tra svalorizzazione dell’offerta e alti profitti, a garantire i quali, proprio come si addice al rapporto di lavoro salariato, è la perdita di valore della forza lavoro. La nostra ipotesi, più che fare riferimento a cause per cosi dire esogene (l’alto numero delle ragazze sulla strada, l’offerta variegata delle prestazioni, la condizione di clandestinità, etc.), muove perciò da ragioni di coerenza, che regolano il rapporto di lavoro in sé. Cosa interessa al protettore? In primo luogo, che le ragazze lavorino, e tanto. Vitale è aumentare il numero di clienti per sera, abbassando la qualità della prestazione e il suo prezzo, se necessario; in secondo luogo che alle ragazze resti poco o niente, perché in questo modo è più facile costringerle a lavorare. È questa la situazione delle albanesi. Questa specie di lavoro a cottimo risponde anche al bisogno delle ragazze di affrettare l’estinzione del debito contratto all’entrata nel nostro paese. È il caso delle nigeriane. Al protettore fa gola la percentuale sulle prestazioni: è questa percentuale che misura il suo potere ed è, ovviamente, la sua ricchezza. Russe ed ucraine, ad esempio, intascano un terzo del loro guadagno. Il prezzo di una prestazione semplice oscilla dalle 50.000 alle 100.000 mila lire. Si tratta di tariffe che risalgono agli anni ‘80, fissate dalle prostitute autoctone, per di più in età. Oggi l’età si è abbassata, sulla strada ci sono giovani e giovanissime. Il prezzo non sale, tende invece a collassare. Non è raro pagare una prestazione 30 o 10.000 lire. In linea con le politiche deflattive dei nostri governi, anche il mercato della prostituzione ha subito la sua svalutazione. La prestazione veloce significa consumo affrettato da parte del cliente. Per il cliente può essere un alibi ma le prostitute sanno che il cliente è un particolare tipo di consumatore: la fretta è il suo tratto distintivo. Ricco di fantasie, ma povero di desideri, incapace di stabilire rapporti erotici con la compagna, è sul corpo femminile che proietta bisogni e paure, in primo luogo il terrore di doversi confrontare con la propria omosessualità. Il tasso di virilità si misura perciò con il numero delle donne possedute. La fretta, dunque. Vale per il nostro cliente l’analisi heideggeriana del curioso che vede senza vedere, che cerca il nuovo come trampolino verso un altro nuovo, che è incapace di soffermarsi su ciò che si presenta. Distratto ed irrequieto, è irretito nella cultura maschilista e fallocratica che vuole la donna madre - sposa oppure puttana. È il corpo a decidere, di volta in volta: corpo pudico ed asessuato, oppure abbandonato ed esposto nella sua nudità, da possedere e consumare nei mille modi che la fantasia celebra. Al cliente la professionista concede poco o nulla in termini di potere sul corpo e, per questo poco o nulla, il cliente paga. Allo stesso cliente, la svalutazione dell’offerta restituisce posizioni di forza e quote di potere sul corpo delle nuove prostitute, sindacalmente deboli, politicamente impotenti, confinate alla condizione dannata di clandestine, alla merce di sfruttatori e di questure, le ragazze che lavorano in strada pagano in primo luogo per il loro rapporto con i protettori. Cliente – protettore: se regge la nostra ipotesi (è nell’interesse del protettore contenere il prezzo), un’intima, segreta trama, certo inconsapevole, ma non per questo meno proficua, s’intesse tra i due. Complicità economica e politica, perché se il protettore protegge il cliente dall’esosità della prestatrice d’opera, il cliente gli garantisce, con il consumo, la trasformazione del valore in denaro e del denaro in profitto; se per il protettore centrale è il potere sulle ragazze, per il cliente vitale è il potere sulla prostituta. La perdita di valore della forza lavoro, delle sue prestazioni, del suo lavoro, rassicura l’uno e l’altro, garantisce l’uno nella misura in cui garantisce l’altro. E viceversa. Poche considerazioni, infine, sulla situazione sanitaria. È indubbio che il quadro descritto influenza la condizione di salute. Le prostitute, come abbiamo visto, devono avere un alto numero d’incontri sessuali, ampliando perciò il ventaglio dei rischi. A volte, proprio per strappare ai protettori una quota di reddito per sé, possono accettare prestazioni a rischio, o fare sesso non protetto. Le ambiguità emergono dal comportamento del cliente: perché chiede e, forte del suo potere, impone sesso non protetto? Forse è il senso d’onnipotenza che gli deriva dalla ristrutturazione del mercato ad illuderlo di riuscire a farla franca, in un gioco che ha il sapore di una sfida. Forse è l’estremo tentativo di possedere un corpo che, pur pagando, sa che non gli appartiene. Eliminare il preservativo è, nell’immaginario del cliente, abbattere l’ultima barriera per un possesso nella realtà impossibile. Infine, come conciliare questa linea di condotta con la richiesta di rigidi controlli sociali e sanitari, da parte di un’opinione pubblica costituita anche dai 9.000.000 di “stimati clienti”? Sito del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute: www.luccioleonline.org
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