Lettere:
anno fine coraggio... mai
Giulia,
una studentessa universitaria, incontra Carmelo Musumeci nel carcere di Padova e
dopo l’incontro scrive questa lettera
di
Giulia Duca
Caro
Carmelo, mi chiamo Giulia, se ti ricordi ci siamo incontrati la settimana
scorsa, quando sono venuta in visita al Polo Universitario per il mio progetto
di tesi.
È’
difficile spiegare cosa ho provato a conoscerti e a conoscervi. Credevo
di arrivare libera da ogni pregiudizio, invece mi sono stupita del clima
che ho trovato, delle piacevoli conversazioni che ho avuto, dell’acutezza e
profondità delle cose che mi avete raccontato.
Mentre
guidavo per tornare a casa ho capito che questo mio stupore era figlio di un
pregiudizio che non sapevo di avere.
Quindi
innanzitutto ti ringrazio e vi ringrazio perché mi avete ricordato che il
pericolo dello stereotipo è sempre in agguato, la nostra mente tende a
semplificare il mondo che ci circonda se non la teniamo allenata a ricercare
sempre la profondità e la complessità delle cose.
Grazie
ancora per la disponibilità con cui mi avete accolta, trovare l’apertura
proprio in un carcere era l’ultima cosa che mi aspettavo. Se
puoi ti prego di estendere il ringraziamento a tutti i tuoi colleghi.
La
seconda parte di quello che ti vorrei dire è più difficile per me da esprimere
perché tocca le corde più profonde del mio cuore. Sono rimasta colpita, tra le
tante cose che mi hai detto, da una tua frase: “Studiare ti fa sentire
molto di più il dolore della pena”.
Ho
pensato tanto a questa frase, è stata per me una chiave che ha aperto un mondo
al quale non avevo mai dedicato la giusta attenzione. Mi ha fatto cambiare
totalmente la prospettiva con la quale voglio scrivere la mia tesi, che non sarà
di sicuro un trattato a livello internazionale, ma è mia, e anche se non la
leggerà nessuno, voglio che tratti il tema dalla giusta prospettiva: la vostra.
La
sera stessa avevo una cena con alcune mie amiche, non potevo smettere di parlare
di te. Del modo in cui ti sei raccontato. Ancora una volta parlando con loro ho
scoperto il pericolo del pregiudizio, attaccato, incrostato dentro di me.
Mentre
mi parlavi non ho mai maimai visto, neanche per un secondo, un criminale. Chi
credevo di trovare? Hannibal Lecter? Davanti a me ho visto un papà, un nonno,
una persona colta ed intelligente, un uomo dotato di grande empatia e doti
comunicative. Ho visto il mio papà, che è anche nonno, e che è anche uomo
intelligente, me lo hai ricordato tanto. Sarà
che lui è il papà più bravo del mondo, ma in te ho rivisto il papà più
bravo del mondo.
Insieme
alle mie amiche quella sera abbiamo letto tante cose su di te, la tua storia, la
tua famiglia, il tuo percorso. Io inizialmente non volevo sapere per quale reato
fossi stato condannato. Avevo paura di poter cambiare idea su di te, di
spaventarmi delle emozioni che ho provato ascoltandoti. Ho avuto paura di non
riuscire più a vederti come uomo ma solo come delinquente. E invece no,
conoscere la tua storia mi fa essere ancora più vicina a te come persona e alla
tua causa. Anzi è proprio la tua storia a dare il vero senso alla tua lotta.
Mi
indigno con te di vivere in una società che non offre un’altra possibilità
ad un uomo, papà, nonno come te. E a tanti altri come te. Mi indigno di un
sistema penale che mette anno di fine pena 9999, una grottesca ironia, una
sadica dicitura, una presa in giro.
Mi
chiedo dove sarei adesso se quando ho sbagliato nessuno mi avesse perdonato.
Ti
ringrazio per il coraggio e la forza che metti nel cercare di cambiare le cose.
Non solo per te, ma in nome di un senso di giustizia più grande. Forse non
conterà molto, ma conoscerti, leggere ciò che scrivi, ascoltare le tue
interviste, mi ha fatto cambiare idea, mi ha tenuto il pensiero e il cuore
impegnati per giorni. Ho riflettuto tanto sul significato delle parole che
usiamo superficialmente tutti i giorni: colpa, colpevole, criminale, pena,
buoni, cattivi.
Il
tuo definirti “cattivo” , in contrapposizione ai “ buoni” che ti
condannano ad una punizione senza vie d’uscita, è un contrasto così forte
che ci costringe a rimettere in discussione la nozione stessa di bene e di male.
La parola “cattivo” non sta bene con i tuoi occhi, con i tuoi modi, con la
tua umanità, è un po’ come il calzino con i sandali dei tedeschi per
capirci, non ci sta.
Ho
parlato di te al mio amore, alla mia famiglia, ai miei amici e anche alla mia
nipotina, che come sempre, con i suoi 4 anni ha più ragionevolezza della
maggior parte degli adulti. Forse non conterà molto ma come disse Madre Teresa,
se non mettessimo la nostra piccola goccia, l’oceano sarebbe un po’ più
vuoto. Forse non conterà molto ma se posso fare qualcosa, ci sono.
Grazie per la tua forza, per il messaggio che passi ai più giovani, per l’impegno, per non fermarti mai di dire, scrivere, raccontare. Anno fine coraggio: mai