Discorso
di Papa Francesco alla delegazione dell’Associazione internazionale di diritto
penale
Sala
dei Papi,
23 ottobre 2014
Illustri
Signori e Signore! Vi saluto tutti cordialmente e desidero esprimervi il mio
ringraziamento personale per il vostro servizio alla società e il prezioso
contributo che rendete allo sviluppo di una giustizia che rispetti la dignità e
i diritti della persona umana, senza discriminazioni. Vorrei condividere con voi
alcuni spunti su certe questioni che, pur essendo in parte opinabili – in
parte! – toccano direttamente la dignità della persona umana e dunque
interpellano la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione, di promozione
umana, di servizio alla giustizia e alla pace. Lo farò in forma riassuntiva e
per capitoli, con uno stile piuttosto espositivo e sintetico.
Introduzione
Prima
di tutto vorrei porre due premesse di natura sociologica che riguardano
l’incitazione alla vendetta e il populismo penale.
a)
Incitazione alla vendetta
Nella
mitologia, come nelle società primitive, la folla scopre i poteri malefici
delle sue vittime sacrificali, accusati delle disgrazie che colpiscono la
comunità. Questa dinamica non è assente nemmeno nelle società moderne. La
realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad
affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che
alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti.
La
vita in comune, strutturata intorno a comunità organizzate, ha bisogno di
regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata.
Tuttavia, viviamo in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica
come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza
e alla vendetta, pubblica e privata,
non solo contro quanti sono responsabili di aver
commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto,
fondato o meno, di aver infranto la legge.
b)
Populismo penale
In
questo contesto, negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che
attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi
sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la
medesima medicina. Non si tratta di fiducia in qualche funzione sociale
tradizionalmente attribuita alla pena pubblica, quanto piuttosto della credenza
che mediante tale pena si possano ottenere quei benefici che richiederebbero
l’implementazione di un altro tipo di politica sociale, economica e di
inclusione sociale.
Non
si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la
loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma
oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici:
figure stereotipate, che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che
la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione
di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione
delle idee razziste.
I.
Sistemi penali fuori controllo e la missione dei giuristi.
Il
principio guida della cautela in poenam Stando così le cose, il sistema penale
va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle
libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in
nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto
verificare, neppure per le pene più gravi, come la pena di morte. C’è il
rischio di non conservare neppure la proporzionalità delle pene, che
storicamente riflette la scala di valori tutelati dallo Stato. Si è affievolita
la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo ricorso alla
sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi individuali e
collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il dibattito sulla
sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative.
In
questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di
limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei
quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro
mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni
politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella
società.
Coloro
che hanno una così grande responsabilità sono chiamati a compiere il loro
dovere, dal momento che il non farlo pone in pericolo vite umane, che hanno
bisogno di essere curate con maggior impegno di quanto a volte non si faccia
nell’espletamento delle proprie funzioni.
II.
Circa il primato della vita e la dignità della persona umana. Primatus
principii pro homine
a)
Circa la pena di morte
È
impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo
che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di
altre persone.
San
Giovanni Paolo II ha condannato la pena di morte (cfr Lett. enc. Evangelium
vitae, 56), come fa anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (N. 2267).
Tuttavia,
può verificarsi che gli Stati tolgano la vita non solo con la pena di morte e
con le guerre, ma anche quando pubblici ufficiali si rifugiano all’ombra delle
potestà statali per giustificare i loro crimini. Le cosiddette esecuzioni
extragiudiziali o extralegali sono omicidi deliberati commessi da alcuni Stati e
dai loro agenti, spesso fatti passare come scontri con delinquenti o presentati
come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionale
della forza per far applicare la legge. In questo modo, anche se tra i 60 Paesi
che mantengono la pena di morte, 35 non l’hanno applicata negli ultimi dieci
anni, la pena di morte, illegalmente e in diversi gradi, si applica in tutto il
pianeta.
Le
stesse esecuzioni extragiudiziali vengono perpetrate in forma sistematica non
solamente dagli Stati della comunità internazionale, ma anche da entità non
riconosciute come tali, e rappresentano autentici crimini.
Gli
argomenti contrari alla pena di morte sono molti e ben conosciuti. La Chiesa ne
ha opportunamente sottolineato alcuni, come la possibilità dell’esistenza
dell’errore giudiziale e l’uso che ne fanno i regimi totalitari e
dittatoriali, che la utilizzano come strumento di soppressione della dissidenza
politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali, tutte vittime
che per le loro rispettive legislazioni sono “delinquenti”.
Tutti
i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare
non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in
tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel
rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io
lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del
Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte
nascosta.
b)
Sulle condizioni della carcerazione, i carcerati senza condanna e i condannati
senza giudizio
Queste
non sono favole: voi lo sapete bene - La carcerazione preventiva – quando in
forma abusiva procura un anticipo della pena, previa alla condanna, o come
misura che si applica di fronte al sospetto più o meno fondato di un delitto
commesso – costituisce un’altra forma contemporanea di pena illecita
occulta, al di là di una patina di legalità.
Questa
situazione è particolarmente grave in alcuni Paesi e regioni del mondo, dove il
numero dei detenuti senza condanna supera il 50% del totale. Questo fenomeno
contribuisce al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive,
situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal
momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere
inaugurato. Inoltre è causa di un uso indebito di stazioni di polizia e
militari come luoghi di detenzione. Il problema dei detenuti senza condanna va
affrontato con la debita cautela, dal momento che si corre il rischio di creare
un altro problema tanto grave quanto il primo se non peggiore: quello dei
reclusi senza giudizio, condannati senza che si rispettino le regole del
processo.
Le
deplorevoli condizioni detentive che si verificano
in diverse parti del pianeta, costituiscono spesso un autentico tratto inumano e
degradante, molte volte prodotto delle deficienze del sistema penale, altre
volte della carenza di infrastrutture e di pianificazione, mentre in non pochi
casi non sono altro che il risultato dell’esercizio arbitrario e spietato del
potere sulle persone private della libertà.
c)
Sulla tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e degradanti.
L’aggettivo
“crudele”; sotto queste figure che ho menzionato, c’è sempre quella
radice: la capacità umana di crudeltà. Quella è una passione, una vera
passione! - Una forma di tortura è a volte quella che si applica mediante la
reclusione in carceri di massima sicurezza. Con il motivo di offrire una
maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie
di detenuti, la sua principale caratteristica non è altro che l’isolamento
esterno. Come dimostrano gli studi realizzati da diversi organismi di difesa dei
diritti umani, la mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di
comunicazione e la mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano
sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e
la perdita di peso e incrementano
sensibilmente la tendenza al suicidio.
Questo
fenomeno, caratteristico delle carceri di massima sicurezza, si verifica anche
in altri generi di penitenziari, insieme ad altre forme di tortura fisica e
psichica la cui pratica si è diffusa. Le torture ormai
non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere un determinato
fine, come la confessione o la delazione – pratiche caratteristiche della
dottrina della sicurezza nazionale – ma costituiscono un autentico plus di
dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione. In questo modo, si
tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di
concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici,
commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena. La stessa
dottrina penale ha un’importante responsabilità in questo, con l’aver
consentito in certi casi la legittimazione della tortura a certi presupposti,
aprendo la via ad ulteriori e più estesi abusi.
Molti
Stati sono anche responsabili per aver praticato o tollerato il sequestro di
persona nel proprio territorio, incluso quello di cittadini dei loro rispettivi
Paesi, o per aver autorizzato l’uso del loro spazio aereo per un trasporto
illegale verso centri di detenzione in cui si pratica la tortura.
Questi
abusi si potranno fermare unicamente con il fermo impegno della comunità
internazionale a riconoscere il primato del principio pro homine, vale a dire
della dignità della persona umana sopra ogni cosa.
d)
Sull’applicazione delle sanzioni penali a bambini e vecchi e nei confronti di
altre persone specialmente vulnerabili
Gli
Stati devono astenersi dal castigare penalmente i bambini, che ancora non hanno
completato il loro sviluppo verso la maturità e per tale motivo non possono
essere imputabili. Essi invece devono essere i destinatari di tutti i privilegi
che lo Stato è in grado di offrire, tanto per quanto riguarda politiche di
inclusione quanto per pratiche orientate a far crescere in loro il rispetto per
la vita e per i diritti degli altri.
Gli
anziani, per parte loro, sono coloro che a partire dai propri errori possono
offrire insegnamenti al resto della società. Non si apprende unicamente dalle
virtù dei santi, ma anche dalle mancanze e dagli errori dei peccatori e, tra di
essi, di coloro che, per qualsiasi ragione, siano caduti e abbiano commesso
delitti. Inoltre, ragioni umanitarie impongono che, come si deve escludere o
limitare il castigo di chi patisce infermità gravi
terminali, di donne incinte, di persone handicappate, di madri e padri
che siano gli unici responsabili di minori o di disabili, così trattamenti
particolari meritano gli adulti ormai avanzati in età.
III.
Considerazioni su alcune forme di criminalità che ledono gravemente la dignità
della persona e il bene comune
Alcune
forme di criminalità, perpetrate da privati, ledono gravemente la dignità
delle persone e il bene comune. Molte di tali forme di criminalità non
potrebbero mai essere commesse senza la complicità, attiva od omissiva, delle
pubbliche autorità.
a)
Sul delitto della tratta delle persone
La
schiavitù, inclusa la tratta delle persone, è riconosciuta come crimine contro
l’umanità e come crimine di guerra, tanto dal diritto internazionale quanto
da molte legislazioni nazionali. È un reato di lesa umanità. E, dal momento
che non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle
persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati, è evidente
che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono
sufficienti, siamo di nuovo davanti ad un crimine contro l’umanità. Più
ancora, se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la
loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di
esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro
cittadini e di fronte alla comunità internazionale.
Si
può parlare di un miliardo di persone intrappolate nella povertà assoluta. Un
miliardo e mezzo non hanno accesso ai servizi igienici, all’acqua potabile,
all’elettricità, all’educazione elementare o al sistema sanitario e devono
sopportare privazioni economiche incompatibili con una vita degna (2014 Human
Development Report, UNPD).
Anche
se il numero totale di persone in questa situazione è diminuito in questi
ultimi anni, si è incrementata la loro vulnerabilità, a causa delle
accresciute difficoltà che devono affrontare per uscire da tale situazione. Ciò
è dovuto alla sempre crescente quantità di persone che vivono in Paesi in
conflitto. Quarantacinque milioni di persone sono state costrette a fuggire a
causa di situazioni di violenza o persecuzione solo nel 2012; di queste,
quindici milioni sono rifugiati, la cifra più alta in diciotto anni. Il 70% di
queste persone sono donne. Inoltre, si stima che nel mondo, sette su dieci tra
coloro che muoiono di fame, sono donne e bambine (Fondo delle Nazioni Unite per
le Donne, UNIFEM).
b)
Circa il delitto di corruzione
La
scandalosa concentrazione della ricchezza globale è possibile a causa
della connivenza di responsabili della cosa pubblica con i poteri forti.
La corruzione è essa stessa anche un processo di morte: quando la vita muore,
c’è corruzione.
Ci
sono poche cose più difficili che aprire una breccia in un cuore corrotto: «Così
è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (Lc 12,21).
Quando la situazione personale del corrotto diventa complicata, egli conosce
tutte le scappatoie per sfuggirvi come fece l’amministratore disonesto del
Vangelo (cfr Lc 16,1-8).
Il
corrotto attraversa la vita con le scorciatoie dell’opportunismo, con l’aria
di chi dice: “Non sono stato io”, arrivando a interiorizzare la sua maschera
di uomo onesto.
E’
un processo di interiorizzazione. Il corrotto non può accettare la critica,
squalifica chi la fa, cerca di sminuire qualsiasi autorità morale che possa
metterlo in discussione, non valorizza gli altri e attacca con l’insulto
chiunque pensa in modo diverso. Se i rapporti di forza lo permettono, perseguita
chiunque lo contraddica.
La
corruzione si esprime in un’atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si
crede un vincitore. In
quell’ambiente si pavoneggia per sminuire gli altri. Il corrotto non conosce
la fraternità o l’amicizia, ma la complicità e l’inimicizia. Il corrotto
non percepisce la sua corruzione. Accade un po’ quello che succede con
l’alito cattivo: difficilmente chi lo ha se ne accorge; sono gli altri ad
accorgersene e glielo devono dire. Per tale motivo difficilmente il corrotto
potrà uscire dal suo stato per interno rimorso della coscienza.
La
corruzione è un male più grande del peccato. Più
che perdonato, questo male deve essere curato. La corruzione è diventata
naturale, al punto da arrivare a costituire uno stato personale e sociale legato
al costume, una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie,
negli appalti pubblici, in ogni negoziazione che coinvolga agenti dello Stato.
È la vittoria delle apparenze sulla realtà e della sfacciataggine impudica
sulla discrezione onorevole.
Tuttavia,
il Signore non si stanca di bussare alle porte dei corrotti. La corruzione non
può nulla contro la speranza.
Che
cosa può fare il diritto penale contro la corruzione? Sono ormai molte le
convenzioni e i trattati internazionali in materia e hanno proliferato le
ipotesi di reato orientate a proteggere non tanto i cittadini, che in definitiva
sono le vittime ultime – in particolare i più vulnerabili – quanto a
proteggere gli interessi degli operatori dei mercati economici e finanziari.
La
sanzione penale è selettiva. È come una rete che cattura solo i pesci piccoli,
mentre lascia i grandi liberi nel mare.
Le
forme di corruzione che bisogna perseguire con la maggior severità sono quelle
che causano gravi danni sociali, sia in materia economica e sociale come per
esempio gravi frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale
dell’amministrazione come in
qualsiasi sorta di ostacolo frapposto al funzionamento della giustizia con
l’intenzione di procurare l’impunità per le proprie malefatte o per quelle
di terzi.
Conclusione
La
cautela nell’applicazione della pena dev’essere il principio che regge i
sistemi penali, e la piena vigenza e operatività del principio pro homine deve
garantire che gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto,
a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi altra
finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche sorta di utilità
sociale. Il rispetto della dignità umana non solo deve operare come limite
all’arbitrarietà e agli eccessi degli agenti dello Stato, ma come criterio di
orientamento per il perseguimento e la repressione di quelle condotte che
rappresentano i più gravi attacchi alla dignità e integrità della persona
umana.
Cari
amici, vi ringrazio nuovamente per questo incontro, e vi assicuro che continuerò
ad essere vicino al vostro impegnativo lavoro al servizio dell’uomo nel campo
della giustizia. Non c’è dubbio che, per quanti tra voi sono chiamati a
vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo è un campo
privilegiato di animazione evangelica del mondo. Per tutti, anche quelli tra voi
che non sono cristiani, in ogni caso, c’è bisogno dell’aiuto di Dio, fonte
di ogni ragione e giustizia. Invoco pertanto per ciascuno di voi, con
l’intercessione della Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo.
Vi benedico di cuore e per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.
“La
dignità della persona umana sopra ogni cosa”
È
di questo che ha parlato il Papa a proposito delle pene e del carcere, e noi
vogliamo dedicare un numero di Ristretti Orizzonti alla sua idea di Giustizia,
perché nessuno se ne dimentichi
Parliamone
a
cura della Redazione
Leggere
quel discorso che Papa Francesco ha fatto alla delegazione dell’Associazione
internazionale di diritto penale è stato come quando, in un luogo estraneo e
ostile, improvvisamente si incontra un amico e ci si sente rassicurati.
Ecco,
le sue parole, in una società sempre più incattivita e più tentata dal
desiderio di “costruire deliberatamente dei nemici”, sono una boccata di
ossigeno, che noi vogliamo continuare a respirare a lungo: per questo, per far
durare di più le sue parole, abbiamo discusso in redazione del perché ha un
senso dedicargli un numero del nostro giornale.
Ornella
Favero
(volontaria, direttore di Ristretti): Partiamo
allora dal perché ha senso dedicare un numero di Ristretti Orizzonti al Papa.
Per me l’idea di dedicare quest’ultimo
numero dell’anno a Papa Francesco è nata per due motivi.
Il
primo è perché quello del Papa non è stato semplicemente un discorso in cui
ha parlato dell’ergastolo e delle carceri, no! è stato un programma politico
come non ne sentivamo da anni sulla giustizia, su come dovrebbe essere la
giustizia, quindi è molto più che un discorso sul carcere o un pietoso
intervento di un Papa sulla condizione delle carceri, è veramente il manifesto
di una giustizia diversa, che poi è l’idea di giustizia su cui da anni
lavoriamo noi, la giustizia non cattiva, mite, una “giustizia dolce”. Il
secondo motivo che ci spinge è che quando il Papa parla, tutti i cattolici
danno sempre grande risalto e attenzione alle sue parole, ma quando ha parlato
della giustizia e delle carceri, credo che ci sia stato, come dire?, un leggero
fastidio, il suo è stato un discorso che la gente non ha apprezzato cosi tanto,
perché è esattamente il contrario di quello che pensa una certa politica, e di
quello che pensano tanti cittadini incattiviti: che la giustizia deve essere più
cattiva, i detenuti devono “marcire in galera” e le pene devono essere più
dure.
Le
parole del Papa hanno rovesciato le carte in tavola, quindi dedicare un numero
interamente al suo intervento significa fare in modo che sia ricordato, e non
dimenticato in fretta come forse in tanti vorrebbero.
Giorgio
Fontana:
Prima di questo discorso del Papa,
anche molti credenti vedevano negativamente il sistema della pena che ha come
finalità principale quella di redimere, ora non dico che tutti abbiano
accettato il discorso del Papa, però secondo me molti ci hanno creduto e
sicuramente cambieranno idea sul sistema delle pene e del carcere.
Sandro
Calderoni:
Io credo che sia molto importante quello che ha dettocil Papa perché spiazza. E
perché nessuno si immaginava una cosa del genere dalla chiesa, e secondo me
bisognerebbe proprio fare risaltare questo, cioè far pesare nella coscienza del
cristiano che le parole del Papa sono parole umane che dovrebbe dire ogni
cristiano, perché la religione cristiana ammette questo, ammette la fallacità
e l’errore dell’uomo, e per questo c’è il perdono e c’è l’attenzione
a chi sbaglia. Ma come vi ponete voi cristiani, di fronte al capo della chiesa,
che vi fa vedere effettivamente come dovrebbe essere un vero cristiano? In realtà
si preferisce non dargli molto risalto, proprio perché sconvolge tutto il modo
di pensare e la cultura che dominano in questo momento. All’informazione poi
non piace questa idea di giustizia, perché certa informazione ci marcia, nel
dolore e nel torbido. Allora noi dobbiamo cercare di far risaltare questo, tirar
fuori la vergogna che tanti dovrebbero sentire nei comportamenti che magari
hanno avuto fino ad oggi.
Erion
Celaj:
Secondo me noi non dovremmo limitarci a dire sì alle parole del Papa per
convenienza, perché ha detto delle carceri quello che volevamo sentir dire. Il
nostro è un sì al Papa per l’uomo che è Bergoglio, perché ha detto no ai
pedofili, perché ha detto “chi sono io per giudicare gli omosessuali”, Papa
si per tante cose, e anche alla faccia di tutti quelli che hanno fatto il muso
lungo quando ha detto: “I mafiosi non hanno posto in chiesa, sono
scomunicati”.
Perché
non dimentichiamoci che un mese prima delle sue parole sulle pene e
sull’ergastolo Papa Bergoglio aveva detto che i mafiosi sono scomunicati!, e
tanti detenuti hanno fatto il muso lungo, poi è stato spiegato che essere
scomunicato significa che uno che continua su quella via, non può essere
accolto dal Signore, che però le porte della chiesa sono aperte per tutti,
quello era il significato, e nessuno lo può negare. Papa Bergoglio si, perché
veramente è un uomo avanti nei tempi.
Marcel
Hoxa:
Io sono d’accordo con il messaggio che ha lanciato il Papa sul carcere e sulla
giustizia, ma vorrei sapere quei politici che fino ad oggi dicevano che
l’ergastolo deve esistere, il carcere duro anche, quelli della Lega Nord che
sono molto credenti, cosa ne pensano loro?
Clirim
Bitri:
Il Papa ha detto più o meno le cose che noi sosteniamo da sempre, però noi non
ci ascoltano quasi mai. Lui ha detto in pratica che “non bisogna buttar via
nessuno”, lui ha detto che bisogna imparare anche dagli errori e non si impara
solo dai santi, ma si parla di errori dei peccatori, in questo caso i peccatori
è chi è in galera, i peccatori siamo noi, e se non ci fossimo noi non si
capirebbe chiè il buono, se non ci sono i cattivi come fai a capire qual è la
buona azione? Poi lui sostiene il principio che noi abbiamo sostenuto sempre,
che non si educa trattando male una persona, insomma che le carceri devono
essere più umane e con la violenza non si rieduca nessuno, perché,
dall’esperienza che abbiamo, la violenza porta altra violenza, non porta alla
rieducazione.
Secondo
me, il Papa ha fatto un discorso di giustizia umana più che giustizia dello
Stato.
Roverto
Cobertera:
Io penso che questo Papa è un po’ particolare, perché sta aprendo le
orecchie alle persone che ce le hanno chiuse e non vogliono sentire niente, sta
tentando di sensibilizzare e coinvolgere il mondo su questioni complicate come
le pene e il carcere.
Sofiane
Madsiss:
Io credo che il bello di questo intervento del Papa è che non ha chiesto una
clemenza per i detenuti, ha chiesto di aprire una buona strada per quello che ha
sbagliato, anche se uno ha peccato non è la fine, una persona può sbagliare ma
è giusto darle una possibilità di reintegrarsi e poter rientrare nella società.
Per questo anch’io dico “Papa si”!
Andrea
Donaglio:
Allora, in 50 anni della mia vita è cresciuta in me la convinzione che la
chiesa fosse un centro di potere, che amministrasse più che le anime, il
percorso delle anime sulla terra, masse economiche e finanziarie molto grandi.
Io
mi ritengo credente, religioso a modo mio, non pratico i sacramenti, però
comunque mi ritengo credente di una fede che mi ha dato la possibilità di
superare delle avversità come l’esperienza del
carcere
che sto affrontando ora. Per me tutti i messaggi dei Papi, per quanto abbia
potuto ascoltarli, avevano sempre un certo fascino, ma non ho mai colto degli
elementi particolarmente innovatori, degli elementi tali da scardinare un
sistema che stava crescendo in un certo modo.
Le
parole di questo Papa ho avvertite che si avvicinano molto al messaggio
originale che Cristo dava, Cristo che anche lui ai suoi tempi è stato uno che
ha veramente rivoluzionato il mondo.
La
forza morale di questo Papa è stata, a costo di perdere anche consensi, o
comunque dare quel senso di fastidio che abbiamo rilevato in più interventi di
commento alle sue parole, quella di riallinearsi a un pensiero originario dei
cristiani.
Io
provengo da una famiglia che è stata religiosa a modo suo, ma non sono stati
mai cattolici praticanti, e apprezzo moltissimo le parole del Papa. Forse si può
vedere una forma di convenienza da parte mia, perché sono dalla parte delle
persone che dovrebbero da queste parole beneficiare, ma questo messaggio è
molto importante perché va al di la del carcere, e spinge a riflettere su come
intendere il senso di giustizia, perché davvero se c’è una giustizia di un
certo livello ne guadagna moltissimo la qualità della vita della società che
fa proprio quel tipo di principio.
Carmelo
Musumeci:
Io credo che un Papa non è un politico, ma Papa Francesco forse incredibilmente
è un politico di primo piano e che fa la differenza.
Adesso
dopo il suo intervento, quello che fa sorridere è che nessuno può dire “Io
non lo sapevo”, lui è stato chiaro su molti punti, questo dà una possibilità
a noi in generale che combattiamo sui diritti dei detenuti, di stanare quei
politici che sulle scelte religiose si sono fatti eleggere. Ma perché adesso
stanno tutti tacendo? Questo loro silenzio è un silenzio che fa rumore, perché
aspettano che passi l’uragano delle parole che ha detto questo Papa. Adesso il
compito spetta a noi di non farlo passare, dobbiamo ricordarcelo sempre. Vi
rendete conto, quasi nessun politico ha commentato, ha fatto un semplice
commento in rete o su qualche quotidiano, tutti zitti! Perché sono in grande
difficoltà, perché questo Papa, fatemelo chiamare Francesco perché non sono
un credente, questo Francesco è un capo popolo, cioè si prende le simpatie
anche di chi non crede, ha carisma, con la sua semplicità. Per il nostro numero
speciale, sarebbe interessante avere il parere di altri capi di altre religioni,
dire cosa ne pensano loro, non ci sono in Italia solo cristiani, ci sono altre
minoranze, sentire anche loro e capire se concordano anche loro, perché in
carcere non ci sono solo i detenuti cristiani o cattolici, ci sono persone che
appartengono ad altre religioni, che bene o male vorrebbero sapere dai loro
referenti religiosi cosa ne pensano.
Donatella
Erlati
(volontaria, psicologa): Il Papa non ha detto “vogliamoci bene tutti”.
Lui
in Argentina, quando non era Papa e aveva decisamente meno potere, frequentava
tantissimo il carcere, e le idee che lui ha, non è che lui le abbia raccattate
sui libri, lui parla con cognizione di causa perché nelle carceri
dell’Argentina, lui è sempre andato di persona, di persona andava a dire
messa, andava ad ascoltare ed era dentro, c’era dentro, quindi è anche un
esperto, e il suo messaggio è un messaggio che ha una base, non è solo così,
di una persona buona, ha una base secondo me di grande conoscenza.
Giorgio
Fontana:
Io sto pensando che se il messaggio di Napolitano sulle carceri buona parte del
mondo politico lo ha cestinato, il messaggio del Papa farà la stessa fine se
non peggio. Secondo me il discorso da fare è come procedere, come fare una
“guerra” per portarle avanti, le parole del Papa, più che parlare del Papa
come uomo e come persona, perché se noi stiamo qui dieci giorni a parlare del
Papa, tutti quanti ne parliamo bene, ci tiene in vita con i suoi discorsi,
invece noi dobbiamo trovare una soluzione che vada oltre l’apprezzamento e che
in qualche modo garantisca che quelle parole non vadano dimenticate, tanto più
che il suo discorso è molto più “pesante” di quello di Napolitano, pesante
nel senso che parlare di abolizione dell’ergastolo significa toccare uno dei
temi più duri e spinosi, quindi la riflessione che dobbiamo fare è come far
“durare” quelle parole nel tempo.
Ornella
Favero:
Il discorso del Papa poi non risparmia nessuno. Ai magistrati per esempio chiede
la “cautela in poenam”, cioè il loro principio guida deve essere la cautela
nel comminare le pene. Mi viene in mente che quando sono andata a fare una
lezione alla Scuola della magistratura e ho detto che anche i magistrati a volte
subiscono la pressione dell’informazione, ho trovato forti resistenze e la
convinzione, troppo rigida a mio parere, che loro giudicano senza subire nessun
condizionamento. Ma il Papa glielo ha detto molto chiaro: spesso giudici ed
operatori del sistema penale devono svolgere le proprie mansioni sotto la
pressione dei mezzi di informazione di massa. E ha parlato molto severamente
anche del ruolo dell’informazione, questo è molto più di un discorso di un
Papa in difesa di una categoria debole, come possono essere in certi momenti le
persone detenute, le famiglie delle persone detenute, no questo va oltre, questo
è veramente un programma per una giustizia diversa.
A
noi che portiamo avanti le stesse battaglie, ha dato una grande forza, anche
perché noi per certe nostre battaglie siamo considerati radicali, radicali nel
senso che, per esempio, la nostra proposta rispetto all’abolizione
dell’ergastolo è molto forte, ma il Papa ha dimostrato invece che queste sono
delle proposte realiste per un’idea diversa di giustizia.
Poi
ha detto altre cose molto significative: “C’è la tendenza a costruire
deliberatamente dei nemici”, anche questo è un concetto importante, perché
quello che noi rimproveriamo alla politica in questi anni è di aver costruito
dei nemici, i nemici sono gli ALTRI, quindi contro questi nemici è lecito
tutto, le pene senza speranza, il 41 Bis. La prima cosa che dobbiamo fare è
rivolgere delle domande pubbliche ai politici cattolici: perché non rispondono
a quello che ha detto il Papa?
Questo
discorso dei cattolici è interessante da capire, perché viene fuori una cosa
che a me ha sempre dato fastidio, che è la doppia morale di un certo
cattolicesimo.
Io
sarei curiosa di fare un sondaggio nel mondo cattolico su cosa condividono delle
parole del Papa, perché sarebbe ora di “stanarli” i veri credenti, così
come vanno stanati i detenuti che si sono scandalizzati quando il Papa ha
scomunicato i mafiosi, sentendosi come la pecorella che è stata cacciata. Il
Papa non ha detto “Tu mafioso sei fuori ed io non mi curerò di te per
niente”, ha detto che non puoi pensare di restare mafioso e poi venire a
prendere la comunione e fingere di essere un sincero credente.
A
me, non credente, piace questo Papa perché fa emergere proprio le ipocrisie,
quindi le ipocrisie del mafioso, come le ipocrisie del bravo credente o del
cattolico, come quelle del politico. È questa secondo me la cosa più
dirompente di questo messaggio, che non c’è spazio per le ipocrisie, perché
non è un appello ai buoni sentimenti del bravo cattolico, no! È proprio un
appello sui principii di cos’è la giustizia terrena e cos’è la giustizia
divina, per cui anche per un non credente come me, questa è la forza di questo
messaggio.
Roverto
Cobertera:
Credo che il Papa se la prenda con certe persone che vanno a messa, prendono
l’ostia, magari danno mille euro di offerta e poi appena escono vanno a fare
degli omicidi.
Io
penso che il discorso del Papa sia rivoluzionario, tanti politici hanno sentito
il discorso e hanno fatto finta di non aver sentito niente, ma invece noi lo
abbiamo sentito bene e vorremmo fargli le domande proprio a loro, Giovanardi,
Alfano, perché dobbiamo sempre tacere?
Io
poi credo che con questo discorso il Papa ci abbia anche detto: vedete dovete
avere coraggio, noi tutti dobbiamo avere il coraggio di dire le cose come
stanno.
Carmelo
Musumeci:
Io penso comunque che sia inutile fare dei complimenti al Papa, non ci
interessano tanto, né farli né riceverli.
Come
costringere piuttosto i politici a uscire allo scoperto? Allora, io direi
innanzitutto di fare delle lettere da pubblicare sulla nostra Rassegna stampa,
dove cominciare a porre una serie di domande tutti noi della redazione ai
politici del mondo cattolico per inchiodarli alla loro responsabilità.
Ornella
Favero:
C’è un punto poi per cui secondo me bisognerebbe prendere i politici che
hanno fatto certe leggi e chiedergliene ragione. È quando il Papa parlando dei
regimi speciali afferma che “una forma di tortura è a volte quella che
si applica mediante la reclusione in carcere di massima sicurezza, con
il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società”, questo
forse bisognerebbe dirlo ad Alfano che ha proposto di inasprire il 41 Bis.
Ma
voglio sottolineare un altro concetto espresso da Papa Francesco che secondo me
è veramente rivoluzionario: “La cautela nell’applicazione della
pena dev’essere il principio che regge i sistemi penali, e la
piena vigenza e operatività del principio pro homine deve garantire che
gli Stati non vengano abilitati, giuridicamente o in via di fatto,
a subordinare il rispetto della dignità della persona umana a qualsiasi
altra finalità, anche quando si riesca a raggiungere una qualche
sorta di utilità sociale”, quindi il Papa ribadisce che, se anche
questi sistemi garantissero per esempio il successo della lotta alla mafia,
anche se garantissero una utilità sociale, non basterebbe, perché se questo
tipo di pena va contro l’uomo e subordina il rispetto della dignità della
persona umana ad altre finalità, allora bisogna fermarsi.
Questo
è un concetto rivoluzionario, perché sempre si è giustificato l’ergastolo,
o il regime del 41 Bis, dicendo che servono alla lotta al terrorismo e alla
lotta alla mafia. Il Papa invece ammonisce:
“Se voi violate la dignità della persona, voi state comunque compiendo un atto indifendibile”.