Papa
Francesco e gli studenti
Sono
i ragazzi delle scuole che dimostrano di aver voglia di capire, superando
pregiudizi e semplificazioni, sono loro ai quali forse più facilmente possono
arrivare le parole di Papa Francesco
Il
Papa e i suoi “naturali” alleati, gli studenti
Il
Tema dato dal professor Elio Rocchetti nella
classe 5aE del Liceo Artistico Statale “Bruno Munari” di
Vittorio Veneto, sull’esperienza di confronto tra la scuola e
il carcere avvenuta nella
Oggi
Papa Francesco si è schierato contro tutte le pene capitali, inserendo tra
queste anche l’ergastolo che egli ha chiamato “…una pena capitale
differita”. Questa affermazione molto forte solleva la discussione sulla
detenzione come provvedimento, di correzione e di pena. Lo Stato, da quando si
è assunto il compito di togliere al privato la giustizia per assumersela
direttamente,
ha
deciso di punire il criminale, ma anche di correggere il comportamento criminoso
del colpevole per reinserirlo nella società.
Nel
progetto che ti ha coinvolta/o insieme ai detenuti del carcere di Padova, siete
venuti a contatto con alcune persone che hanno commesso dei delitti e che stanno
pagando per questo. Hanno esposto le loro ragioni ed hanno dato la loro versione
sulla detenzione.
In
base alla consegna e alla esperienza acquisita con il progetto, prova ad
elaborare una tua idea sulla detenzione e sul valore di questa sia come pena che
come correzione. Porta a favore della tua tesi anche opinioni e testimonianze
esterne o della tua famiglia.
Il
punto di vista di Sara, studentessa che ha incontrato in carcere la redazione di
Ristretti
di
Sara Posocco,classe
5aE Liceo Artistico Statale
“Bruno
Munari”di Vittorio Veneto
Il
pensiero comune porta le persone a considerare il carcere qualcosa di lontano
dalla loro realtà. Questo è il problema che sta alla base delle opinioni colme
di vendetta contro i detenuti. Sicuramente saranno degli animi che nella loro
vita hanno errato, in modo estremo o non, per essere finiti là dentro. Il punto
è che la galera è una realtà molto vicina a tutti noi. C’è chi sceglie di
fare un certo tipo di vita, consapevole che prima o poi sarà beccato; e chi,
come la maggior parte delle persone che ci hanno raccontato la loro
testimonianza, in quella determinata circostanza ci è “capitato”.
Anche
loro, come noi, non avrebbero mai pensato che succedesse. Dirigente di banca,
operaio, straniero in cerca di una vita migliore, professore, medico… Inutile
ribadire che il carcere ti cambia la vita. Come ci ha detto un detenuto:
”Quando
entri qui vieni spogliato non solo dei vestiti, ma di tutto”.
Il
carcere è duro, purtroppo, anche se qualcuno direbbe “per fortuna”.
Ribadisco il “purtroppo” inteso nel senso che non viene fatto vivere per lo
scopo per il quale è nato. Il carcere ha una funzione di gestione rieducativa
della pena, o almeno dovrebbe. Ciò non accade, almeno nella gran maggioranza
dei casi.
Nel
carcere che abbiamo visitato ci sono più di 800 detenuti ai quali non viene
dedicato del tempo adeguato, con personale specializzato ed attraverso attività
specifiche; quindi la rieducazione del
colpevole
non ha spesso né un inizio, né uno sviluppo organico. Circa 400 guardie, e
solo 2 psicologi.
La
sicurezza, quindi, ha più valore del reale scopo del carcere (?). I Ristretti,
così si chiamano i detenuti nel gergo giuridico carcerario, che non vengono
sottoposti ad una rieducazione, stando dentro una fredda cella senza combinare
nulla, senza pentimento nella maggior parte dei casi, usciranno solo più
incattiviti. A cosa serve quindi la detenzione gestita/ vissuta in tal modo? La
maggior parte delle persone vede il carcere come una vendetta, ma non è di
questo che si ha bisogno. Serve giustizia. Ed essa consiste proprio in questa
rieducazione del detenuto.
E
poi? Un domani diverranno ex detenuti, cammineranno nuovamente fra di noi, come
noi. Il rientro in società di un ex detenuto, anche questo è un bel problema.
Iniziando dalla famiglia. Dal momento che un uomo che ha commesso dei reati e
viene imprigionato, automaticamente si annulla, viene privato di tutto. Può
essere un padre di famiglia, un marito, un figlio. Be’,
da quel momento, perderà anche la sua posizione all’interno del nucleo
famigliare. I contatti con i propri cari vengono limitati a dieci minuti a
settimana di chiamate telefoniche, e sei ore al mese di visite.
Prima
o poi anche quest’uomo uscirà dal carcere
In
un numero del giornale “Ristretti Orizzonti” ho letto un articolo che mi ha
fatto comprendere la differenza tra il nostro Paese ed i Paesi nordici a
proposito di questo argomento. Narrava di un carcerato residente in Belgio con
la famiglia.
Quel
signore venne incarcerato e scontò la prima fase della sua pena in quel
territorio. A Bruxelles aveva la possibilità di chiamare i figli per una buona
parte la giornata, illimitate volte entro l’orario stabilito. Successivamente
venne trasferito in Italia. Qui il contatto telefonico era ed è appunto,
limitato a dieci minuti a settimana. I figli, ben presto, gli dissero che ormai
si sentivano orfani.
Prima
o poi anche quest’uomo uscirà, perché tutti escono dal carcere (eccetto
particolari casi); quindi per quale motivo rendere ancora più difficile la
reintegrazione nella società, quando già di per sé lo è?. Tutto questo
sistema delle carceri in Italia, che funziona male, danneggerà soltanto noi.
Inoltre, non si può togliere il diritto ad un figlio di avere un padre. Non può
pagare un figlio gli errori che ha commesso l’uomo da cui ha preso origine.
Dobbiamo,
inoltre, ricordarci che un domani dietro quelle sbarre ci potremmo essere noi.
Nessuno è immune alla galera. Noi che abbiamo toccato questa realtà da vicino,
ascoltando diverse testimonianze, noi che abbiamo visto i loro volti e i loro
occhi mentre ci raccontavano il peggio di sè, sappiamo che questa è laverità,
che nel 90% dei casi il carcere non è quello che dovrebbe essere. Solo pochi
fortunati hanno il “privilegio” di confrontarsi, di poter scavare dentro di
sé e chiedersi perché hanno fatto un gesto così estremo, capire il proprio
sbaglio, sentire che stanno cambiando, cercando di essere rieducati per un
futuro rientro nella società, nella vita vera.
Questo
mio pensiero potrebbe essere frainteso come una sorta di giustificazione pro
detenuti. Non è così. Sono dell’idea che debbano pagare per i loro errori.
Il fatto è che non è stando dentro in carcere 30 anni senza combinare nulla,
senza confrontarti, senza essere seguito da chi dovrebbe farlo, che tu paghi i
tuoi errori. In questo modo sviluppi ancor di più un odio per le autorità, per
le istituzioni, che ti privano anche dei contatti con i tuoi affetti. Sono
convinta che la via principale per riuscire a pagare per i tuoi errori sia la
presa di coscienza.
Perché
io credo nella giustizia e non nella vendetta.
Giustizia
e vendetta vengono scambiate troppe volte. Dal momento in cui un carcerato vive
una presa di coscienza, discerne le motivazioni per cui ha compiuto il crimine,
capisce di aver sbagliato, dall’avvio di un cammino di pentimento, ripagherà
per i suoi errori. Perché starà male e soffrirà molto, quando sarà lucido
mentalmente. Sarà così poi, pronto a cambiare, a non voler commettere più
l’errore che ha riconosciuto e del quale si è sentito colpevole.
Tutti sbagliamo, e tutti possiamo un giorno fare errori così grandi. A cosa serve, invece, la semplice vendetta, se non a generare altra vendetta?