Papa
Francesco e l’informazione
“Viviamo
in tempi nei quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di
alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta,
pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso
delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di
aver infranto la legge”.
“Non
si cercano soltanto capri espiatori che paghino con la loro libertà e con la
loro vita per tutti i mali sociali, come era tipico nelle società primitive, ma
oltre a ciò talvolta c’è la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici:
figure stereotipate, che concentrano in se stesse tutte le caratteristiche che
la società percepisce o interpreta come minacciose. I meccanismi di formazione
di queste immagini sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione
delle idee razziste”.
“Si
è affievolita la concezione del diritto penale come ultima ratio, come ultimo
ricorso alla sanzione, limitato ai fatti più gravi contro gli interessi
individuali e collettivi più degni di protezione. Si è anche affievolito il
dibattito sulla sostituzione del carcere con altre sanzioni penali alternative.
In
questo contesto, la missione dei giuristi non può essere altra che quella di
limitare e di contenere tali tendenze. È un compito difficile, in tempi nei
quali molti giudici e operatori del sistema penale devono svolgere la loro
mansione sotto la pressione dei mezzi di comunicazione di massa, di alcuni
politici senza scrupoli e delle pulsioni di vendetta che serpeggiano nella
società”.
a
cura della Redazione
Il
mondo dell’informazione ha paura delle parole del Papa?
di
Bruno Turci, Ristretti
Orizzonti
Papa
Francesco ha fatto un discorso che è un autentico programma politico sui temi
della giustizia, delle pene e del carcere. Ha parlato in maniera articolata di
ogni singolo argomento,
trattando
in particolare questi punti:
ha
posto due premesse di natura sociologica che riguardano: a) l’incitazione
alla vendetta; b) il populismo penale.
ha
affrontato la complessità dei sistemi penali fuori controllo. a) la pena di
morte; b) l’ergastolo è una pena di morte nascosta c) le condizioni della
carcerazione; d) la tortura e altre misure e pene crudeli, inumane e
degradanti; e) l’abuso della carcerazione preventiva; e) la necessità di
pensare a sanzioni alternative.
Di
fronte alla forza dei richiami e delle accuse rivolti alle istituzioni di tutti
i Paesi del pianeta, non abbiamo ascoltato nessuna risposta. Non dai cristiani.
Non dagli uomini di buona volontà. L’informazione si è per lo più defilata.
Ma perché nessuna testata giornalistica, a oltre un mese dell’appello
lanciato dal Papa, ha denunciato il silenzio assordante della comunità
cristiana e della politica? Nessuno vuole parlare di questi argomenti scomodi.
Sono scomodi perché tutti (fatta eccezione per i soliti pochissimi) sono
corresponsabili della desertificazione socioculturale attuata nel nostro Paese
da oltre vent’anni di politiche tese alla creazione del diverso, del nemico.
Una strategia tesa soprattutto a identificare i nemici della società nelle
categorie sociali più deboli, allo scopo di raccogliere voti facili da una
società, in verità, maltrattata da questa stessa politica.
Noi
detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti ci occupiamo di sensibilizzare
la società su questi temi e conosciamo bene l’argomento trattato da Papa
Francesco. E abbiamo accolto le parole del Papa con un ritrovato entusiasmo.
Quando incontriamo, più volte alla settimana, gli studenti delle scuole
superiori di Padova e di tutto il Veneto, con loro affrontiamo le tematiche
sociali a partire dalle nostre esperienze e ci adoperiamo per una sorta di
prevenzione, come un esercizio a “pensarci prima”. Per noi, questa è una
forma di restituzione che ci riscatta da un passato critico. Tuttavia, ci
rendiamo conto che i giovani studenti, la maggior parte appena maggiorenni,
hanno una formazione sui temi della giustizia completamente lontana dalla realtà
e loro stessi se ne rendono conto durante i nostri incontri. Da tutto ciò ne
ricavo che hanno ricevuto un’informazione davvero distorta rispetto a ciò che
accade nella società.
Esiste
infatti un’informazione che tende a fornire una sorta di messaggio
tranquillizzante alla cosiddetta società civile, facendo credere che nelle
galere ci finiscono i “mostri”, i “diversi”, gli “stranieri” tutti
quelli che non ci piacciono. Così la società si sente al sicuro, pensando che
a loro non accadrà mai di finire qui dentro o di avere problemi di quel tipo in
famiglia. Per questo motivo l’atteggiamento più diffuso è quello che pensa
che i problemi di sicurezza si risolvono con una serie di stereotipi del tipo:
“facciamoli marcire in galera”, “buttiamo via le chiavi”. Nessuno pensa
che potrebbe capitare a loro stessi o a qualche loro amico, o parente, a figli o
fratelli. A sostegno di queste affermazioni posso citare i reati legati al
consumo degli stupefacenti o i reati in famiglia, come del resto i reati legati
al Codice della strada. Qui dentro, in carcere, sono rappresentati tutti i ceti
sociali, tuttavia la legge non è sempre uguale per tutti.
Un’informazione
corretta potrebbe essere davvero utile affinché la cosiddetta società civile
riesca a considerare questi temi più vicini e a capire che comunque la
riguardano e non le sono estranei.
Questa
sarebbe un’ottima maniera per realizzare finalmente una concreta riforma delle
pene, rivolta a prevenire il disagio sociale piuttosto che doverlo curare quando
è troppo tardi.
“C’è
la tendenza a costruire deliberatamente dei nemici”
Prima
c’erano i terroni, a seguire gli albanesi, poi gli zingari, i romeni, e così
via
di
Çlirim Bitri, Ristretti
Orizzonti
Nella
discussione che abbiamo fatto nella nostra redazione su chi era il personaggio
dell’anno rispetto ai temi della giustizia in Italia, la scelta è caduta su
Papa Francesco e sul suo discorso alla delegazione dell’Associazione
Internazionale di Diritto Penale.
Leggendolo
sembrava che Papa Francesco avesse partecipato alle nostre riunioni e fosse
diventato il nostro messaggero.
Da
molti anni la redazione di Ristretti Orizzonti cerca di far riflettere sul fatto
che una giustizia mite sarebbe più efficace, ma ho sempre pensato che se detto
da noi (persone condannate), il messaggio fosse recepito con molta diffidenza.
Questo
ho creduto fino a quando ho visto che anche il discorso del Papa sulla pena e la
giustizia ha avuto poco spazio nei mass media nazionali, rispetto invece allo
spazio che il Papa ha avuto quando ha scomunicato delle persone che conducono un
certo stile di vita (i mafiosi).
Papa
Francesco, per me sei l’Uomo dell’anno perché dici “viviamo in tempi nei
quali, tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di
comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta”. Io sono
albanese e non è un segreto che in certe zone del mio Paese esistano le faide
che sono delle vecchie regole per cui “occhio per occhio, dente per dente”.
Dico questo perché mi viene in mente che ogni volta che succede qualche reato
di particolare importanza, ci sono sempre alcuni giornalisti che chiedono a chi
ha appena subito un lutto “cosa faresti al colpevole?”.
Trovano
il “colpevole” e trovano le cause, molte volte sconosciute anche a chi
realmente ha commesso il delitto, e credetemi in questi casi è “fortunato”
l’indiziato che è veramente colpevole. Alcuni settori della politica che
hanno a cuore più la rielezione al Parlamento che il bene della comunità, a
furia di vendetta approvano nuovi provvedimenti che diverse volte sono stati
dichiarati anticostituzionali.
Sei
l’Uomo dell’anno perché dici “negli ultimi decenni si è diffusa la
convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più
disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse
raccomandata la medesima medicina”. Mettiamo tutti in galera, mettiamo in
galera i tossici perché fumano uno spinello, mettiamo in galera lo straniero
perché è diverso, mettiamo in galera chi guida ubriaco… e così via, leggi
più severe, più carcere e tutto è risolto. Non è così! il tossico dev’essere
curato perché è malato (circa il 30% dei detenuti è tossicodipendente), lo
straniero dev’essere identificato e aiutato a mettersi in regola almeno per
poter pagare le tasse, perché se lo si lascia in stato di clandestinità o in
carcere è più facile che prenda la
strada sbagliata.
Chi
guida ubriaco o commette un incidente cosa può imparare in carcere? Non sarebbe
meglio e più rieducativo mandarlo a svolgere lavori di pubblica utilità in un
Pronto Soccorso dove vedrebbe gli effetti drammatici degli incidenti stradali
spesso causati da leggerezze e irresponsabilità? Raccomandando il carcere per
queste categorie di persone ed altre ancora, l’effetto rieducativo è quasi
zero, anzi a volte è addirittura controproducente. Quindi più carcere e più
pena NON è la soluzione.
Sei
l’Uomo dell’anno perché dici “talvolta c’è la tendenza a costruire
deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in se stesse
tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come
minacciose”. Prima c’erano i terroni, a seguire gli albanesi, poi gli
zingari, i romeni, e così via. Tutte categorie classificate come pericolose in
un determinato tempo. Credo che all’inizio gli “adulti” abbiano usato
queste categorie per spaventare i bambini, ma glielo hanno ripetuto così spesso
che ci hanno creduto anche loro. Questo ha portato ad avere nella società una
paura percepita sempre maggiore, anche quando nel tempo i reati sono diminuiti.
Per
il Tuo discorso, fatto in un tempo dove si gareggia a chi è più “cattivo”
con i “cattivi”, e con la speranza che “tutti i cristiani e gli uomini di
buona volontà” accolgano il Tuo appello per una giustizia più mite, per noi,
Papa Francesco, sei l’Uomo dell’anno. Non possiamo offrirti chissà che cosa
come premio ma quello che è certo è che nella nostra Redazione hai sempre una
sedia libera che ti aspetta.
Una
trasmissione di approfondimento sul messaggio del Papa?
E
chi l’ha vista? Forse più che ricordare le sue parole si vorrebbe
dimenticarle in fretta
di
Giovanni Donatiello,
Sezione Alta Sicurezza Casa di reclusione di Padova
Papa
Francesco, nel discorso tenuto davanti all’associazione internazionale di
diritto penale, ha messo al centro del suo intervento il rispetto della dignità
umana e i diritti della persona.
In
questa sede, e in particolare, condannando chi pratica la pena di morte in tutte
le sue forme, non ha mancato di denunciare che l’ergastolo è una pena di
morte nascosta e come la pena di morte
deve
essere abolito!
Che
l’ergastolo sia una vera e propria condanna a morte lo sanno tutti, ma quasi
nessuno prima aveva mai avuto il coraggio di asserirlo pubblicamente. Se si
parla di carcere e carcerati, il giustizialismo viene spesso fuori in pompa
magna, a volte adducendo argomentazioni paradossali.
L’intervento
di Papa Francesco è stato tanto forte quanto inatteso, c’è voluto un Papa,
un Papa “rivoluzionario” per denunciare che l’ergastolo è una pena di
morte nascosta.
Mi
sono chiesto quale sarà il seguito di questo discorso del Papa.
Ammetto
che per un attimo mi sono entusiasmato, poi col trascorrere dei giorni il mio
pessimismo-realismo ha prevalso, in quanto i mezzi di comunicazione, proprio gli
stessi che il Papa ha individuato come responsabili dell’incitazione alla
vendetta, hanno limitato lo spazio della notizia, mi pare non ci sia stata una
sola emittente che abbia promosso un programma di approfondimento, un dibattito,
un incontro, nulla di tutto questo. “All’opinione pubblica questo messaggio
non deve passare”: questa mi pare essere stata la parola d’ordine!
Nello
stesso giorno, in altra sede, Berlusconi apriva al riconoscimento dell‘unioni
civili per persone dello stesso sesso. La notizia è balzata su tutti i titoli
dei giornali e nelle aperture di tutti i telegiornali, inoltre tutte le reti
televisive nei vari talk show hanno approfondito il tema, se n’è parlato per
giorni e tuttora vi è una dialettica aperta tra le varie posizioni politiche.
Il
raffronto tra le due notizie e lo spazio ricevuto è sconfortante, voglio solo
augurarmi che nei Palazzi e nelle sedi di discussioni politiche questo rapporto
sia sovvertito e che una volta per tutte la classe politica italiana abbia il
coraggio di fare scelte impopolari, ma di grande civiltà, discostandosi una
volta tanto da quel populismo che gli è stato finora tanto caro.
Vorrei
tanto crederci e spero di essere smentito nel più breve tempo possibile sul mio
pessimismo, ma… non c’è da scandalizzarsi, in questa Italia, se la ricerca
del consenso prevale anche sull’importanza della vita umana!
Il
Papa non ha chiesto un atto di clemenza “eccezionale”
No!
il Papa ha invece voluto affrontare il tema del senso che la pena deve avere
di
Sofiane Madsiss,
Ristretti Orizzonti
Non
è la prima volta che un Papa parla di giustizia e dei problemi legati al
carcere, ma l’intervento davanti all’Associazione Internazionale di Diritto
Penale è stato speciale, perché in tutto il suo discorso il Papa non ha mai
pronunciato la parola “clemenza” ed è questo che lo rende speciale. Quello
che mi è piaciuto di Papa Francesco è che ha cercato di spiegare il
significato della giustizia e della pena come cerchiamo di fare anche noi della
redazione di Ristretti Orizzonti con il progetto “Il carcere entra a scuola. Le
scuole entrano in carcere”, incontrando gli studenti e confrontandoci con
loro, cercando di fargli capire che la giustizia non è vendetta e il carcere
non è il posto dove consumarla, e che è importante invece evitare ogni pena
che possa comportare maggiore sofferenza di quella che la pena stessa intende
riparare.
È
un piacere sentire una persona come il Papa che manifesta propriamente il suo
pensiero sulla giustizia umana e non su quella divina, perché tutti possiamo
sbagliare, ma quando una persona sbaglia e viene giudicata e condannata a
scontare una pena, la pena deve essere giusta, rispettando i diritti della
persona, perché la dignità umana viene prima di tutto, indipendentemente dalla
gravità del reato.
Il
Papa non ha chiesto un atto di clemenza “eccezionale” per sanare il problema
attuale del sovraffollamento carcerario e la condizione disumana in cui vivono i
detenuti; ha invece voluto affrontare il tema del senso che la pena deve avere,
ribadendo che il carcere non deve essere solo una misura punitiva, ma un posto
di riabilitazione e recupero, e dovrebbe essere un punto di partenza per chi ha
sbagliato e ha commesso dei reati.
Mi
permetto di aggiungere un’altra cosa, la parola “penitenziario” viene da
penitenza, vuol dire riflessione, pentimento e dolore per il male commesso,
allora io credo che il carcere sia fatto non per torturare la persona che ha
sbagliato ma per farla riflettere, allo scopo preciso di educare e aiutare le
persone in un percorso di reinserimento nella società, perché la vera
giustizia è la giustizia che s’interessa di quello che può diventare un uomo
colpevole, perché un detenuto cambiato e reinserito è un bene per sé, ma
soprattutto può diventare una risorsa utile per la società.
Spero
che il messaggio del Papa continui a risuonare nella testa di chi si occupa dei
problemi della giustizia e delle carceri, e mi auguro che abbia fatto breccia
nell’anima, nel cuore e nei pensieri di tutti quelli che credono in una
giustizia giusta, non nella vendetta e nella tortura fisica e psichica, come sta
invece succedendo in Italia con il sovraffollamento e con il carcere duro.
Un
Papa che potrebbe dare a tutti lezioni di “comunicazione”
di
Lorenzo Sciacca,
Ristretti Orizzonti
È
strabiliante la capacità che ha l’essere umano di non voler vedere le cose
che lo circondano.
Non
volerle vedere per paura di aprire un vaso di Pandora che non lo lascerebbe
indifferente a tutte quelle sofferenze che esso contiene.
Il
Papa,
Papa
Francesco ha un dono, che gli è stato riconosciuto da tutti quelli che hanno
“ascoltato” e non solo sentito le sue parole. Dico che ha un dono perché so
quanto è difficile la comunicazione, ancora di più nel caso di persone come
me, che sono, per alcuni, solo un detenuto recluso al carcere di Padova, e
fatico a comunicare che posso essere qualcosa di diverso dal mio reato. È per
questo che dico che il Papa ha un grande dono, la sua straordinaria capacità
comunicativa anche su temi spinosi come il carcere. Una comunicazione che arriva
a tutti, in un linguaggio chiaro e senza equivoci, senza quelle frasi che a
volte possono lasciarti indifferente per la loro mancanza di profondità.
Mi
chiamo Lorenzo Sciacca e faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti. È
stata una forte emozione sentire dal Papa le stesse frasi che noi della
redazione pronunciamo molto spesso: “l’ergastolo è una pena di
morte nascosta”.
Io
non ritengo di essere un buon fedele. Lo ero. Io sono uno di quei ragazzi che
sono cresciuti in una famiglia molto cattolica, una famiglia del sud. La mia era
una famiglia che vedeva sempre mia madre darmi delle monetine alla domenica per
andare ad accendere le candele alla Madonna. Poi la vita mi ha portato a
“dimenticarla”, la fede. Diciamo che ho iniziato a farmi delle domande più
profonde senza trovare mai risposte, e io oggi ho bisogno di risposte. Oggi ho
bisogno di cose reali.
Ecco
l’ergastolo è una realtà! Una realtà che vede, ancora oggi, gente convinta
che l’ergastolo non se lo fa nessuno, che tutti prima o poi escono. No!
L’ergastolo significa morire in quella tomba che ti hanno consegnato in
anticipo anche anni e anni prima.
Questo
significa che l’essere umano detenuto vivrà con questa consapevolezza i suoi
anni a venire.
Ammiro
molto Papa Francesco e credo che sia stupefacente come abbia saputo usare le
parole.
Lui
è stato in grado di unire due parole importantissime “passione” e
“crudeltà” cit.: “Sulla tortura e altre misure e pene crudeli,
inumane e degradanti. - L’aggettivo “crudele”; sotto queste figure che ho
menzionato, c’è sempre quella radice: la capacità umana di crudeltà.
Quella è una passione, una vera passione!”
Io
ho sempre pensato alla passione come una cosa bella. Mi viene più facile
associare una parola bella al termine passione. Invece Papa Francesco
l’associa anche alla crudeltà. Allora questo mi fa riflettere un attimo…
inizio a pensare a tutta la bontà che ho messo sempre dietro alla parola
passione. Rimango sconcertato immaginando quanto può essere dannosa, quanto
male può fare una persona che nutre una passione così “povera” come è
quella citata dal Papa, la “capacità umana di crudeltà”. Cavolo la
passione deve essere nutrita per le cose belle della vita. Mi chiedo
costantemente cosa succederebbe se le persone si fermassero a riflettere
sull’ergastolo, invece di appassionarsi a questa parola, con l’idea che una
pena come l’ergastolo può rendere più sicura la società. Se riflettessero
anche per pochi minuti, credo che questo aiuterebbe tutti a comprendere il
dolore che reca un fine pena mai. È un dolore che si protrae per anni e che
coinvolge anche la famiglia.
“La
famiglia” … ma Dio protegge le famiglie. Lo so che a volte si mette tutto in
discussione nella vita, anche la fede può essere oggetto di discussione, ma la
famiglia è la cosa più importante per qualsiasi essere umano. La nostra
famiglia può essere la cura dei nostri animi.
Papa
Francesco, con il suo messaggio, ha cercato di aprire gli occhi delle persone
che non vogliono vedere che la pena di morte è una realtà.
È
stato un messaggio forte, un messaggio chiaro e senza equivoci.
Mi
chiedo in quanti saranno in grado di non far finta di avere ascoltato le sue
parole, ma di ascoltarle davvero in profondità. In me nutro la speranza che
tutte quelle persone che hanno il potere di decidere, di emanare leggi capiscano
che nel nostro Paese, che definiamo civile, esiste la pena di morte, solamente
che la si nasconde dietro a un fine pena mostruosamente assurdo: 9999.
Il
Papa che ci salverà dai codardi della politica
E
soprattutto il Papa di tutti, dei buoni e dei cattivi
di
Marsel Hoxha,
Ristretti Orizzonti
Mi
chiamo Marsel, sono un ragazzo di 26 anni nato in Albania. Da tre anni sono
rinchiuso in carcere, da due anni mi trovo a Padova. Da anni frequento il
carcere, ho cominciato dal minorile e fino a oggi ho fatto varie detenzioni
nelle carceri italiane, ho sempre commesso furti e ora mi trovo a essere
processato per tutte le denunce che negli anni si sono accumulate. Insomma
ho incominciato presto a conoscere questi luoghi e ne ho anche vissute tante, di
ingiustizie.
In
questi ultimi anni si parla molto delle pessime condizioni di vita all’interno
delle carceri, ma le leggi che sono state fatte non sono servite a nulla, anzi
hanno peggiorato la situazione, proprio perché quelle leggi erano come dare
un’aspirina a un malato grave. Appena il Governo decideva di approntare una
riforma o una legge per migliorare la vita ai reclusi i giornali cominciavano a
scrivere che si stava preparando una legge svuota carceri.
Con questi chiari di luna c’è poco da sperare. I politici non hanno mai avuto
il coraggio di prendersi le responsabilità necessarie per dare una risposta
concreta al problema, perché questo non porterebbe voti. Con la propaganda che
imperversa da anni sui temi della sicurezza, l’opinione pubblica si è
orientata a individuare nel carcerato, italiano o straniero, il colpevole di
tutti i problemi dell’Italia.
Adesso
sono rinchiuso dal 2011 e sento che tutti parlano delle carceri che sono
invivibili e dicono che ora siamo di meno, certo un po’ siamo diminuiti, ma di
poche migliaia, non perché siano usciti tanti detenuti, ma perché ne sono
entrati di meno. Se non si decidono a eliminare quelle leggi come la ex Cirielli
e il 4 bis, il problema non si risolverà mai.
Non
hanno ascoltato gli appelli del Presidente della Repubblica, delle associazioni
di volontariato e del Partito Radicale che hanno mandato messaggi forti al
parlamento. Hanno dimenticato che pure noi siamo persone umane anche se abbiamo
sbagliato. Ma in questi giorni ha parlato Papa Francesco. Con parole semplici e
sincere ha parlato del dramma che stanno ancora vivendo i detenuti. Ha parlato
della macchina della Giustizia che travolge tutti, innocenti e colpevoli. Il
Papa ha anche cancellato l‘ergastolo dal Codice penale del Vaticano e ha
lanciato un appello richiamando i cristiani di tutto il mondo a considerare che
l’ergastolo è una pena di morte nascosta e bisogna abolirlo dai codici. Ha
“messo all’indice” la custodia cautelare che spesso non rispetta i diritti
dei tanti innocenti che devono aspettare anni per vedersi riconoscere
l’estraneità alle accuse.
Si
tenga presente che circa il 50 per cento delle persone indagate e incarcerate in
Italia alla fine viene assolto. Immaginiamo quanti altri vengono, invece,
condannati ingiustamente perché non hanno risorse per pagarsi gli avvocati
migliori. Questa ingiustizia la conoscono tutti, ma mi rendo conto che la gente
comune ha così tanti problemi che non gli viene nemmeno in mente di pensare ai
disagi e alle ingiustizie che travolgono i più sfortunati.
Le
famiglie dei detenuti sono anch’esse vittime, in parte per responsabilità
nostra e in parte perché le leggi non le tutelano, oltre che vittime
dell’ignoranza e della miseria umana che attraversa in maniera trasversale una
società malata con un’informazione malata, e una politica che non riesce a
mettersi d’accordo per trovare la maniera di rimettere in piedi questo Paese
martoriato da tutti questi guasti.
Doveva
arrivare un UOMO che si è rivelato un Papa semplice, il Papa di tutti: dei
buoni e dei cattivi. Speriamo che i Cattolici italiani lo abbiano ascoltato…
per ora si sente un silenzio assordante come un’esplosione nucleare.
La
paranoia, l’ansietà, la depressione provocati dalla galera
di
Ulderico Galassini,
Ristretti Orizzonti
“La
mancanza di stimoli sensoriali, la completa impossibilità di comunicazione e la
mancanza di contatti con altri esseri umani, provocano sofferenze psichiche e
fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso e
incrementano sensibilmente la tendenza al suicidio” (Papa Francesco).
Ogni
cittadino dovrebbe ascoltare le parole del Papa sulle pene e sulle carceri e
porsi alcune domande utili a sviluppare delle riflessioni, che
potrebbero avvicinare due parti spesso contrapposte: chi vive nella
“società libera”, e chi sta scontando una pena e quindi è rinchiuso dentro
delle mura, solitamente lontane dalla città, dove non ti vedono e non ti
sentono.
Con
la detenzione si interrompe ogni dialogo con il mondo esterno, e viene così a
mancare la conoscenza da parte della società di quella che è davvero la
privazione della libertà, del sovraffollamento nelle carceri, del tempo vuoto,
trascorso senza essere impegnati, senza un lavoro, senza alcuna possibilità di
prendere anche la minima decisione. E se ti viene tolta anche ogni responsabilità,
che tipo di persona ne uscirà a fine pena? Un disadattato, uno che si troverà
sbattuto in un mondo che per molti aspetti non riconoscerà più, perché da
detenuti si rimane fermi al momento del reato, e solo su questo si viene
giudicati. E chi vive fuori, nel “mondo libero”, non percepisce più che chi
ha sbagliato resta comunque una “persona”, e si lascia facilmente
condizionare da un’informazione che spesso è costruita in modo ossessivo
attorno al tema della sicurezza.
Nessuno
di noi pensa che chi sbaglia non debba pagare, ma la pena non dovrebbe
condannare anche
i
famigliari, è un “di più” di dolore che si aggiunge ai mali della
detenzione.
Infatti
quando la persona è privata della libertà non solo è isolata dalla società,
ma anche dal proprio nucleo familiare, di per sé quasi sempre già abbandonato
dalla società e dalle istituzioni che invece
dovrebbero
tutelare il mantenimento dei contatti.
Non
chiediamo molto, la pena la stiamo scontando, ma vorremmo che fosse dignitosa,
quella prevista dalla Costituzione e dall’Ordinamento Penitenziario. Il
sovraffollamento oggi invece la dignità la distrugge, ed è la causa prima
dell’illegalità del carcere italiano, nonostante i tanti provvedimenti
cosiddetti “svuota carceri”, presentati dall’informazione come “tutti
fuori”.
Per
questo siamo stati condannati dall’Europa e addirittura certi Paesi non
accettano di estradare in Italia alcuni detenuti, perché le condizioni delle
nostre galere non sono considerate umane.
Sarebbe
auspicabile che almeno si prendesse posizione su alcuni interventi a costo
“zero”, che potrebbero ridurre la situazioni di tensione che vive molta
parte dei detenuti.
Noi
detenuti in tanti stiamo chiedendo un diverso approccio al tema degli affetti,
che si potrebbe concretizzare con due iniziative:
Colloqui
riservati, che significa trovare adeguati spazi di incontro con il proprio
nucleo familiare per potersi riunire, abbracciare, colloquiare, provare a
gestire assieme la vita della famiglia, giocare con i nostri figli. Altri
paesi, europei e non, già lo prevedono. Questo permetterebbe di non
sentirsi addosso la presenza di altri gruppi familiari riuniti in sale
comuni, non essere controllati e richiamati se ci si abbraccia, o si hanno
altre manifestazioni di semplice tenerezza, sentirsi insomma un po’ più
liberi;.
Liberalizzare
le telefonate: dieci minuti alla settimana sono veramente nulla, un semplice
saluto, magari ripetuto ai figli, alla moglie, ai genitori senza poter
parlare di altro.
Sono
due semplici interventi che renderebbero la situazione meno tesa, meno pesante e
ci aiuterebbero a continuare una carcerazione in modo dignitoso. Forse calerebbe
anche il numero dei suicidi. Basta poco, ma è un poco che da anni non trova
soluzioni. Più proposte parlamentari si sono dimostrate vane; fuori, nel mondo
“libero”, l’informazione, se parli di intimità per i detenuti, riduce
tutto a “celle a luci rosse”.
È
necessario che il cittadino abbia la possibilità di confrontarsi con i
detenuti, capire, saper ascoltare e quindi conoscere. Nella redazione di
Ristretti Orizzonti, da anni riusciamo a incontrare migliaia di ragazzi di
scuole superiori (circa 6.000 ogni anno) e con loro ci confrontiamo, cerchiamo
di fare prevenzione attraverso le testimonianze di alcuni di noi detenuti, c’è
dialogo, curiosità e alle loro domande, anche cattive, ci sentiamo in obbligo
di rispondere con sincerità, è come rispondere ai nostri figli. Loro hanno la
possibilità di parlare con noi e non vedono più solo “il detenuto”, ma una
persona che ha sbagliato e che sta cercando di fare qualcosa per loro, loro che
saranno il futuro, la nuova società. Dopo questi incontri, dopo le loro domande
che a volte sono dure, sembrano cattive, ma a cui noi dobbiamo rispondere,
alcuni loro pregiudizi crollano.
Forse
grazie a questi incontri, in futuro si arriverà ad una detenzione come quella
di cui parla il Papa e ad un vero recupero della persona privata della libertà.
Il carcere potrebbe così essere garanzia di reinserimento effettivo, in un
percorso che includa le famiglie proprio per rafforzare il rientro nella società
delle persone detenute, che a loro volta si devono sentire persone responsabili
e coinvolte.
Un
grazie a Papa Francesco che ci sta sostenendo, speriamo che parte della politica
lo ascolti e possa fare propria la nostra campagna per cambiare la legge sugli
affetti delle persone private della libertà.