Piccole storie di ansia e incertezza per la salute

 

Visite specialistiche che saltano perché qualcosa non funziona con le scorte, risultati di analisi che non arrivano, antidolorifici usati per mettere a tacere un dolore, sintomo però di un male che andrebbe diagnosticato

Nelle carceri al centro di tante storie di disagio e di paura per un problema di salute sottovalutato o trascurato, ci sono sempre le stesse carenze, la stessa mancanza di tempestività: visite specialistiche che saltano perché non ci si può andare con le proprie gambe ma si deve aspettare una scorta, che a volte non c’è, tempi eterni anche dove c’è una urgenza reale, ricoveri fatti quando la malattia è andata già troppo oltre. Qualcuno obietterà che anche “fuori”, nel mondo libero, ci sono storie di malasanità, ma non è la stessa cosa: non è la stessa cosa perché alla sofferenza di chi è preoccupato per la propria salute, e non si sente curato con la dovuta attenzione, si aggiunge l’impotenza. Stare “dentro” e stare male significa perdere qualsiasi possibilità di controllo e di tutela della propria vita.

 

 

Un dente senza otturazione, mesi di inutili sofferenze

 

Alessandro P.

 

Circa due mesi fa ho cominciato ad avere problemi per un ascesso in bocca causato da un’otturazione che si è tolta, lasciando il dente scoperto e causando un’infezione che ha generato gonfiore facciale e dolori continui. La prima cosa che ho fatto è stata di segnarmi per la visita medica e chiedere di essere visto dal dentista per poter rifare l’otturazione.

Il medico mi ha prescritto una terapia antibiotica per una settimana, ma a tutt’oggi non sono ancora stato chiamato dal dentista, nonostante lo specialista venga in carcere diverse volte alla settimana, per cui mi trovo costretto, per alleviare il dolore, ad assumere antinfiammatori (Brufen) quotidianamente da circa due mesi… oltre alla terapia antibiotica. Inoltre molto spesso mi capita che di notte il dolore è talmente forte, che sono costretto a chiamare l’infermiere per farmi fare una puntura antidolorifica, e ciò comporta altre discussioni interminabili poiché non me la vogliono fare a causa dei molti medicinali che già prendo...

Questo comporta delle conseguenze tra cui quella di dare adito a scontri verbali con gli agenti che accompagnano l’infermiere durante la distribuzione dei farmaci… è successo per esempio che un giorno alle ore 13, durante la distribuzione delle medicine, l’infermiere non voleva consegnarmi gli antiinfiammatori che il medico mi ha prescritto quotidianamente “al bisogno”. In questo caso l’infermiere non trovava la prescrizione medica (succede spesso) e io, sopraffatto dal dolore, mi sono rivolto all’agente in servizio che accompagnava l’infermiere affinché intervenisse per far rispettare la prescrizione medica, l’agente mi ha risposto bruscamente che per quanto lo riguardava l’infermiere mi aveva dato quello che gli avevo richiesto. Da lì è nata una discussione con l’agente che poteva sfociare in qualcosa di serio.

Simili episodi, per il grado di esasperazione da cui sono generati, dal momento che i problemi di salute ci mettono tutti in uno stato di tensione, possono davvero causare problemi alla sicurezza, perché la salute fisica e mentale dei detenuti è una questione di sicurezza.

Tutto ciò di cui ho scritto risulta sulla mia cartella clinica oltre che nei registri dei medici.

 

 

Nessuno mi ha mai spiegato il motivo del mancato trasporto in ospedale

 

Achille P.

 

Sto vivendo una situazione da incubo. Da parecchio tempo soffro di perdite di sangue dal naso. Non sono mai stato visitato approfonditamente dai medici del carcere, che si sono limitati a somministrarmi degli antibiotici e cortisone. Alle mie ripetute richieste di predisporre dei controlli più approfonditi, adeguati, con lo scopo di chiarire di cosa si trattasse, i medici mi segnavano a visita specialistica dall’otorino. Per l’esattezza sono andato dal medico per richiedere una visita dallo specialista l’11/05/2010, l’8/06/2010, il 30/07/2010, il 31/08/2010, il 7/09/2010, il 14/09/2010, il 25/09/2010. Finché il 9/11/2010 il naso ha preso a sanguinare copiosamente, senza interruzione per tutta la notte e alle 6 del mattino il medico ha disposto l’immediato trasporto al Pronto Soccorso dell’ospedale di Padova.

I medici dell’ospedale hanno accertato la presenza di un polipo che causava il sanguinamento e, nonostante svariati tentativi, non sono riusciti a fermare l’emorragia. Mi hanno tamponato provvisoriamente e sono stato riportato in carcere. Il sabato successivo dovevo tornare in ospedale per un controllo più accurato, ma l’intervento non è stato completato poiché la parte interessata non cessava di sanguinare. Pertanto dovevo tornare martedì 16/11/2010 in ospedale per procedere alla biopsia, ma il martedì non sono stato trasportato in ospedale. Nessuno mi ha mai spiegato il motivo del mancato trasporto in ospedale. Tutto ciò malgrado l’emorragia non si sia fermata, e avendo tappato il naso con dei tamponi il sangue fuoriesce dalla bocca senza interruzione. I medici pare stiano valutando il da farsi.

Io continuo a non sapere perché non mi hanno portato in ospedale e questo mi fa preoccupare. Mi preoccupo per il fatto che non mi hanno ricoverato, giacché qui non mi viene fornita l’assistenza che richiede la mia situazione clinica.

Io sto male e sono in ansia per la mia salute, spero che qualcuno intervenga a salvaguardia della mia salute psicofisica.

 

Notizia dell’ultima ora!

Dopo aver scritto queste lettere, Achille P. è stato finalmente portato in ospedale per fare tutti gli esami clinici necessari, e alla luce della gravità della sua situazione è stato scarcerato nei giorni scorsi dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia.

 

 

Mesi in attesa dell’esito di una risonanza “sparita”

 

Getmir

 

Sono Getmir, e voglio raccontare cosa mi è successo a seguito di un “incidente” di gioco.

Era il mese di gennaio del 2010 e noi detenuti siamo andati al campo sportivo per fare la partitella di pallone settimanale. Da precisare che (tempo permettendo) una volta a settimana ci spetta un’uscita di due ore al campo sportivo. Se non che, durante la partita, ho ricevuto un calcio al ginocchio sinistro che mi ha fatto cadere a terra dal dolore. Immediatamente sono stato portato all’infermeria del carcere per una prima visita. Il dottore che mi ha visitato mi ha detto che, nonostante il ginocchio fosse vistosamente gonfio, secondo lui non era niente di grave. L’unica cura che mi è stata data al momento è un antidolorifico a base di pastiglie e tale terapia è durata per un mese e mezzo. Poiché il ginocchio non accennava a sgonfiarsi, anzi peggiorava, dopo circa tre mesi mi è stata fatta una lastra dalla quale però non è risultata nessuna frattura.

Poiché assieme al gonfiore persisteva anche il dolore, tant’è che a distanza di mesi non riuscivo ancora a camminare bene, mi è stata data una stampella e anche l’autorizzazione a usare l’ascensore, poiché facevo fatica a fare le rampe delle scale.

L’ortopedico che mi ha visitato, poiché dalla lastra non si era evidenziato niente di rotto, ha detto che era necessario fare una risonanza magnetica e mi ha messo in lista d’attesa, così verso metà aprile sono stato portato all’ospedale per fare la risonanza. A seguito della risonanza il medico dell’ospedale mi ha fatto vedere l’immagine del ginocchio al computer dove si evidenziava la presenza di acqua. La spiegazione che mi ha dato è che prima bisognava lasciarlo sgonfiare, e poi fare l’intervento. Dopo qualche giorno mi sono segnato a visita dal medico del carcere per sapere cosa avrei dovuto ancora fare. Il medico si è messo a cercare le lastre della risonanza magnetica ma non le ha trovate. Mi ha detto allora che probabilmente l’ospedale non le aveva spedite ancora. Qualche giorno dopo mi sono risegnato a visita e in quell’occasione mi è stato detto che il medico dell’ospedale non aveva firmato le carte della risonanza e di conseguenza dovevo aspettare per due settimane finché non firmava.

Passate le due settimane mi è stato ripetuto che queste carte non erano state firmate ancora, e lo stesso mi è stato detto nelle successive visite, finché un giorno ho litigato con il medico, dicendogli che qualcuno mi stava prendendo in giro e raccontando bugie. Al che il medico ha telefonato al Dirigente sanitario che, a sua volta, dopo essersi informato presso l’ospedale, mi ha riferito che il nome mio non risultava da nessuna parte e non risultava neanche che io avessi mai fatto nessuna risonanza magnetica.

Morale della favola: mi sembra impossibile che di questa visita ospedaliera non sia rimasta traccia.

A distanza di undici mesi il ginocchio è ancora gonfio e non so più che cosa fare e a chi rivolgermi.

 

 

Prima ho perso la libertà, ora sto perdendo la vista

 

Rachid Salem

 

Io sono in carcere da circa sette anni e da tre sto nella Casa di reclusione di Padova. Dopo un anno che sono arrivato a Padova, ho avuto un problema con un occhio. Sono andato a parlare con il medico e mi ha messo nell’elenco per la visita oculistica. Dopo alcuni mesi ho fatto la visita e hanno scritto che dovevo essere operato. L’estate dell’anno scorso mi hanno portato in ospedale e mi hanno operato, e subito dopo il chirurgo mi ha detto, nel caso avessi avuto male, di farlo sapere subito. I medici dell’ospedale erano consapevoli che l’intervento non era andato perfettamente e mi hanno detto anche che avrei dovuto fare un’altra visita in carcere dall’oculista e che poi dal carcere mi dovevano portare di nuovo all’ospedale per un’altra visita.

Sin da subito ho cominciato a sentire un bruciore nell’occhio che è sempre infiammato. Adesso non posso leggere o guardare la televisione per più di dieci minuti. Ho raccontato queste cose ai medici del carcere, insistendo di essere portato a fare il controllo all’ospedale. Comunque nel frattempo mi hanno fatto visitare dall’oculista in carcere per due volte, e anche lei ha scritto che dovevano mandarmi a fare un altro intervento perché il primo è andato male. Ma fino ad ora non è cambiato nulla e mi sembra che sto rischiando di perdere la vista, dopo aver perso la libertà.

Io capisco che certe operazioni possono andare male anche per i pazienti fuori, perché succede che qualcosa vada storto. Però ormai è più di un anno che il mio occhio è peggiorato e non so se devo rassegnarmi o continuare a insistere con i medici perché mi mandino a fare un altro intervento. La mia paura è che piano piano la vista da quell’occhio peggiorerà.

Io non voglio essere polemico, ma vorrei far presente che qui dentro è molto difficile riuscire a fare un intervento, ma se succede che ci sia bisogno di un secondo, e in tempi brevi, allora un detenuto veramente non sa più cosa fare. Per questo motivo penso che si debbano trovare delle modalità che tengano in considerazione la nostra condizione e favoriscano cure più rapide e certe. Perché una persona detenuta, oltre a perdere la libertà, non deva perdere anche “pezzi” di salute.

 

 

 

Aspettando con ansia una visita di controllo dopo un intervento chirurgico

 

Antonio T.

 

Voglio testimoniare che ho fatto di recente cortese, ma fermo, sollecito affinché sia disposta con urgenza la mia visita di controllo presso l’ospedale civile oppure anche all’interno del carcere, sempre che lo specialista arrivi in tempo utile prima che sia compromessa la mia vista.

Io sono stato sottoposto a intervento chirurgico all’occhio nel luglio scorso presso il Centro Specialistico di Oftalmologia della struttura ospedaliera di Udine. Avrei dovuto effettuare la visita di controllo presso lo stesso Centro per verificare eventuali problematiche, ma il mio trasferimento in questo Istituto di pena ha complicato le cose.

Quando sono arrivato in questo Istituto ho spiegato il problema ai medici, da allora sono passati oltre tre mesi e non ho più saputo nulla. Come segnalo continuamente ai medici, ho dei problemi seri da verificare. Spero di poter essere visitato prima che la mia vista subisca danni.

 

 

Mi sono arreso di fronte a tanto menefreghismo

 

Milan Grgic

 

Ormai ho quasi sessant’anni e da oltre undici mi trovo chiuso nelle carceri italiane dove, e credo di non esagerare, ne ho vissuto e viste di tutti colori riguardo ai miei problemi di salute e al trattamento terapeutico che ho ricevuto. Con questo non vorrei dire che la situazione sia uguale in tutte le carceri, sono stato anche in carceri dove, secondo me, il Servizio sanitario funzionava meglio perché era più veloce, altre in cui funzionava peggio, ma oggi voglio parlare del carcere in cui mi trovo.

Una volta mi sono fatto male a una gamba durante l’attività lavorativa che svolgo nel magazzino del carcere. Sono stato visitato dal medico. Poi ho cominciato a lamentare forti dolori e di conseguenza mi hanno prescritto delle pastiglie. Visto che non facevano effetto mi hanno cambiato la terapia una seconda volta, e poi una terza. Risultato, mi sono trovato con una gamba gonfia e nera fino al ginocchio.

La cosa più strana è che non sapendo che cosa fare mi sono rivolto al Comandante del carcere e che se alla fine sono stato portato in ospedale è stato grazie al suo intervento. Insomma, dopo che il Comandante ha visto lo stato della mia gamba, ha chiamato il dottore e il giorno dopo sono stato portato in ospedale, dove mi hanno fatto gli esami necessari e hanno stabilito che dovevo subire un intervento, che probabilmente si sarebbe potuto anche evitare se si fosse intervenuti tempestivamente e con i medicamenti giusti. Concluso l’intervento mi hanno mandato in carcere e dopo otto giorni sono tornato in ospedale per il controllo. Appena ha visto in quale stato si trovava la gamba, la prima cosa che il medico ha detto è stata “questa gamba non mi piace” e mi ha fatto delle domande su quale terapia postoperatoria mi avessero applicato. Non avendo ricevuto nessuna terapia, ho detto la verità e mi sono accorto che il medico si è arrabbiato, oltre ad essere stupito del comportamento di chi mi aveva “curato”.

 

Anni passati mangiando cibo tritato e brodino

 

Un’altra volta mi è successo un problema con i denti. Durante i tanti anni trascorsi in carcere, ogni volta che avevo mal di denti, la soluzione era l’estrazione dei medesimi. Finché sono arrivato alla situazione di non avere più denti per masticare. Non avendo denaro mi sono rivolto al Ministero della Giustizia con una domanda per avere una protesi dentaria fatta a spese dello stato. Il Ministero, valutando la mia situazione, ha accolto la mia richiesta, solo che poi ho fatto diverse domande al dentista per farmi fare la protesi, ma non sono riuscito ad arrivare a niente.

Così sono trascorsi diversi anni in cui ho mangiato solo cibo tritato e brodino, finché sono stato assunto come lavorante. Facendo risparmi, appena ho avuto la disponibilità di soldi, ho chiesto di farmi fare una protesi a mie spese. Guarda caso la domanda è stata accolta velocemente. La dottoressa ha dato una occhiata alla bocca e, senza nemmeno farmi una radiografia, mi ha proposto due soluzioni a prezzi diversi. Non essendo competente in materia ho scelto la più cara pensando che si trattasse della migliore qualità. Ho pagato quindi i 1.600 euro che ero riuscito a mettere da parte e ho avuto subito la protesi dentaria, solo che non ho risolto affatto il problema.

La protesi mi faceva male, e dopo due controlli la dottoressa mi ha detto che dovevo sopportare e che sarebbe passato presto, era solo questione di abituarmi. È passato più di un anno ormai e nel frattempo si è staccato il ponte sul quale era fissata la dentiera e quindi ho perso anche quei pochi denti che avevo. Ovviamente andrebbe rifatto tutto l’impianto ma, malgrado le mie diverse sollecitazioni fatte con delle lettere, non ho più visto nessuno.

Ora continuo ad aspettare. Potrei fare una denuncia e contestare il lavoro fatto, ma non ho né la voglia, né i soldi per andare di nuovo in tribunale. Sono stanco di processi e ci mancherebbe altro che fossi io a chiedere di farne altri. Mi sono arreso di fronte a così tanto menefreghismo e mangio cibo macinato aspettando di finire la pena, per affrontare fuori il problema dei denti e di altre patologie di cui soffro anche per via dell’età, e che in carcere spesso non prendono nemmeno in considerazione, come i disturbi della prostata. Spero solo che prima o poi le cose cambino, e non debba essere più il Comandante a convincere il dottore che il detenuto ha bisogno di essere ricoverato all’ospedale, come è successo a me. Così come spero che i dentisti facciano il loro lavoro con più cura perché mi verrebbe da chiedere: se hanno fatto male il lavoro a me che ho pagato 1600 euro, cosa fanno a chi non ha soldi?.

 

 

Se la salute non conta più, cosa conta davvero in carcere?

 

di Filippo Filippi

 

Sono dubbioso sul senso del continuare a cercare di far sentire la nostra voce di carcerati, e nel mio caso anche tossicodipendente, su di un giornale, qualsivoglia giornale.

Dubbioso perché ho come la sensazione che di ciò che è stato scritto sulle carceri (dalla Costituzione all’Ordinamento Penitenziario), e sul modo di scontare la condanna comminata, conti in realtà solo la sentenza definitiva e inappellabile ed il periodo da scontare. Non importa il come (in che condizioni), e con che finalità.

Inoltre, cosa anche più importante, non pare importare quasi a nessuno in che modo se ne uscirà (non c’è ancora la pena di morte?!), se con i propri piedi o ”lungo distesi”.

Non conta o non interessa più a nessuno come noi detenuti scontiamo la nostra giusta condanna. Non conta se le galere, in buona maggioranza piene di tutto ciò che la società emargina o vorrebbe nascondere, siano strapiene al punto da rischiare di non lasciare posto proprio per le persone per le quali, da un punto di vista della sicurezza, non ci sarebbe altra soluzione. Non conta se, facendo così, intere categorie (non le singole persone ree), vengono carcerizzate e criminalizzate.

Così, suicidi a parte, visto che sembra divenuto oramai normale che le persone in carcere si suicidino (anche molto giovani ed alla loro prima carcerazione, o con pochi mesi ancora da scontare), in carcere capita anche di morire in modo lento e nelle sofferenze più atroci (come un cane abbandonato), come è successo a Graziano, per un tumore scambiato da qualche medico per simulazione (altro che campagna sulla sensibilizzazione dei maltrattamenti sugli animali!). E solo per l’intervento di agenti penitenziari che si sono messi una mano sul cuore e che, è giusto riconoscerlo, operano in condizioni ben oltre il tollerabile, questa persona viene fatta ricoverare, con il tumore oramai in fase avanzata, e in poche settimane “se ne va”!

Qualcuno, per favore, mi dica chiaramente che a noi non è più riconosciuto lo status di persone (anche se detenute per giusta causa) o altrimenti metta per iscritto come stanno le cose in data odierna, per esempio che una volta entrati nel cortocircuito penitenziario… tutto può accadere, perché ce lo siamo voluti e l’unico dovere sostanziale delle istituzioni sarà quello di far scontare a ognuno di noi la propria condanna, vivo, morente o morto.

 

 

Aspettando il dentista, con tre denti rotti sette mesi fa

 

di Bardhyl Ismaili

 

Era inizio maggio. Stavamo giocando a pallone al campo sportivo e, mentre il mio compagno di cella cercava di colpire il pallone con la testa, qualcun altro tentava una rovesciata, ma invece di colpire il pallone ha preso il suo mento. Il risultato è stato tre denti rotti.

L’agente che stava di servizio al campo gli ha detto di recarsi immediatamente in sezione, dove gli hanno chiesto di firmare una dichiarazione che l’incidente era successo senza che nessuno avesse responsabilità. Una volta firmato il mio compagno di cella ha chiesto di essere visitato, ma ormai era in sezione e la procedura di questo carcere è che per essere visitato dal medico bisogna prenotarsi un giorno prima, così si è dovuto prenotare per il giorno successivo.

Inutile dire che la notte non riusciva a prendere sonno a causa del dolore. Le gengive e la lingua si erano gonfiate così tanto che non ce la faceva neanche a parlare. Il giorno dopo finalmente è stato chiamato dal medico, che gli ha detto di bere solo latte e gli ha prenotato una visita specialistica dal dentista.

Nel frattempo l’infermiera ha iniziato a portargli una pastiglia di antidolorifico ogni sera per dieci giorni. Le pastiglie però non facevano tanto effetto. Finite le pastiglie, è ritornato dal medico che questa volta gli ha prescritto delle punture. Alla richiesta di sollecitare la visita del dentista il medico gli ha consigliato di scrivere al Dirigente Sanitario.

Il giorno stesso lui ha scritto una lettera spiegando in che condizioni si trovava, ma nessuno si è fatto vivo per altre due settimane. Alla fine è stato chiamato dal dentista che, dopo averlo visitato, gli ha detto che la situazione era grave e che era necessario andare urgentemente in ospedale e fare le lastre per poter capire bene le condizioni della ferita.

Era passato quasi un mese per avere la prima visita odontoiatrica, e ha dovuto attendere altri due mesi per andare all’ospedale. Per avere le lastre poi ha dovuto aspettare altre tre settimane.

Era settembre e, dopo l’ennesima volta che si segnava a visita medica, il dottore gli ha detto che erano arrivate le lastre. Adesso doveva essere richiamato dal dentista che, lastre in mano, doveva decidere cosa fare. È passato settembre e poi ottobre. Il dentista non si decideva a chiamarlo e allora il mio compagno di cella ha chiesto di parlare con l’educatrice.

Lei, ascoltando la sua disavventura, l’ha consigliato di scrivere immediatamente al direttore del carcere e al magistrato di Sorveglianza. Ricordo che ci siamo messi subito a scrivere la lettera dove abbiamo spiegato come stavano le cose e cercato di descrivere la sua sofferenza. Spedita la lettera ho cercato di incoraggiarlo dicendogli che uno dei due sarebbe intervenuto. Cosa che probabilmente è avvenuta, dato che a un certo punto è iniziato ad arrivare per lui il pasto adatto alle sue difficoltà di masticazione. Il che andava bene, perché poteva mangiare qualcos’altro oltre il brodino, ma quello che voleva era essere visitato e curato.

Uno dei denti spezzati non era caduto del tutto. La sua radice frantumata era rimasta incastrata nella gengiva e continuava a provocargli dolori lancinanti. Un giorno, esasperato, lui ha preso il tagliaunghie e si è strappato via dalla gengiva i pezzi di dente, solo che la gengiva si è infiammata terribilmente provocandogli ancora più dolore. Il giorno dopo è andato a raccontare tutto al medico, che gli ha prescritto altre pastiglie antinfiammatorie.

Ormai sono passati sette mesi da quando il dentista gli ha detto che aveva bisogno di vedere urgentemente le lastre, sono passati quattro mesi da quando ha fatto le lastre, e ancora oggi sta aspettando che il dentista si decida a chiamarlo e a guardare finalmente queste lastre.

Visto cosa è successo al mio compagno di cella, direi che la prima cosa che servirebbe è istituire una figura di garanzia che venga nelle sezioni, ascolti i problemi e, di fronte a casi simili, possa intervenire con la sua autorevolezza. Insomma, se c’è scritto da qualche parte che un detenuto deve fare le lastre con urgenza, com’è possibile che non ci sia nessuno che controlli se poi c’è stata la necessaria tempestività nelle cure?

 

 

 

Lettere dal carcere

A proposito di salute ...

 

I desideri dei detenuti rispetto alla loro salute sarebbero molto “normali” fuori, ma in carcere non c’è niente di normale, e quindi la lettera che qualcuno di loro ha provato a scrivere al suo medico “ideale” è semplice nelle richieste, elementare nella “pretesa” di essere considerati, almeno nella malattia, solo pazienti, e non detenuti.

 

Caro dottore le scrivo…

Premettendo che nutro la speranza che durante questa mia carcerazione siano rare le occasioni in cui avrò bisogno nuovamente della sua opera, mi urge chiederle scusa in anticipo se la mia condizione di detenuto urta in qualche misura la sua sensibilità.

Forse, esercitare la professione medica a favore delle persone colpevoli dei più svariati reati non è così gratificante. Immagino che curare  persone più distinte sia di gran lunga preferibile. Al giorno d’oggi occuparsi degli ultimi è fuori moda, scarsamente remunerato ed anche fastidioso.

Capisco perfettamente la sua riluttanza nel visitare persone come me, è comprensibile che le poche volte che mi ha visitato si sia guardato bene dal porre le sue mani sul mio corpo, e dopotutto la sua abilità nel capire con il solo sguardo la mia patologia, deve essere sicuramente il frutto di anni di studi e di una certa innata capacità telepatica, che contraddistingue molti medici in servizio nelle carceri.

Le scrivo unicamente per chiederle come sia possibile che il mio mal di schiena non sia assolutamente diminuito. Ho seguito scrupolosamente le sue prescrizioni, e prendo anche regolarmente sonniferi e antidepressivi, ma quando mi sveglio dal torpore, il male c’è e non dà cenno di miglioramento.

Spero che lei voglia perdonare la mia ignoranza e la presunzione di essere un cittadino come tutti gli altri, ma io non ho la possibilità di ascoltare altri pareri medici e perciò, come sempre, fiducioso mi rivolgo a lei. Si figuri che quattro anni fa, quando ero ancora libero, per il mal di schiena si effettuavano raggi e risonanze magnetiche. Fortunatamente da allora la medicina si è evoluta, non avrei mai pensato che la telepatia potesse sostituire questi esami.

Caro dottore io ho piena fiducia in lei, ma sono un uomo antiquato ed ignorante, mi piacerebbe tanto tornare a quella tipologia di medicina che sino a quattro anni fa almeno mi permetteva di curare i miei malanni. Poter essere curati è un privilegio, essere curato da una persona competente e motivata è una fortuna che spetta probabilmente solo alla gente per bene. Detto ciò, non posso far altro che sperare che la fortuna mi assista sempre perché solamente così riu­scirò a sopravvivere a questa carcerazione.

(Andrea)

 

Caro dottore, le scrivo…

Le scrivo perché da quando ho compiuto cinquant’anni ho cominciato ad ammalarmi. Essendo in carcere da molti anni ho anche girato diversi istituti di pena e ho incontrato diversi dottori. Ognuno di loro mi ha curato in modo diverso, mi hanno visitato in modo diverso, e mi hanno ascoltato in modo diverso, e interpretato le mie lamentele ognuno a modo suo. Ho trovato serietà, ma anche molto menefreghismo. Allora con la presente intendo fare una riflessione su come vorrei essere trattato.

Mi piacerebbe che lei mi trattasse come viene trattata una persona che da paziente si rivolge al proprio medico di fiducia, e non essere trattato come detenuto, come un “delinquente”. Vorrei che lei non avesse pregiudizi. Vorrei che le mie lamentele sui dolori che mi accompagnano da anni venissero prese con serietà e con attenzione. Vorrei sentire più umanità quando mi parla o quando mi guarda, e vorrei che lei si impegnasse a curarmi con lo stesso impegno richiesto dal suo codice etico. Vorrei parlare e avere fiducia in lei, che le sue parole mi rassicurino e mi rasserenino, rendendomi meno sospettoso sul suo operato. Vorrei che i tempi dell’attesa per fare un esame specialistico fossero più brevi. Vorrei che i medicinali corrispondessero al tipo di malattia che ho, e non come spesso succede in prigione, che persone con sintomi diversi si ritrovano ad assumere lo stesso tipo di farmaco. Insomma, vorrei che lei considerasse la mia vita come la sua, e curasse la mia salute come curerebbe la sua.

(Milan)

 

 

Una sperimentazione di medicina telematica nel carcere di Livorno

Di questo, ma anche del fatto che “non solo il carcere genera malattia, il carcere è malattia”, abbiamo

parlato con Domenico Tiso, responsabile dell’area penitenziaria della Ulss 6 di Livorno con competenze sulle carceri di Livorno, Porto Azzurro e Gorgona

 

intervista a cura di Maurizio Bertani

 

Domenico Tiso ha esperienza di anni di medicina penitenziaria, e proprio per migliorare qualità e quantità dei servizi che possono essere offerti alle persone detenute, con il passaggio della sanità al Sistema Sanitario Nazionale, si sta occupando di un nuovo progetto per la creazione di una postazione per la telemedicina all’interno di uno degli ambulatori del carcere di Livorno. Lo abbiamo intervistato.

 

Qual è esattamente il suo incarico rispetto al carcere?

Io sono il responsabile per l’ASL per la medicina penitenziaria nella tre strutture penitenziarie che ricadono nella Azienda Usl 6 di Livorno, che sono appunto Livorno, Porto Azzurro e la Gorgona.

Ogni istituto ha un suo responsabile con la sua organizzazione interna e io sono il loro referente per l’azienda in tutti e tre gli istituti. Mi occupo dell’organizzazione della struttura sanitaria nelle tre carceri, del controllo delle linee guida e dei rapporti con le strutture ospedaliere territoriali.

Prima di questo, sono stato per trent’anni il responsabile sanitario del carcere di Livorno. A seguito del DPCM dell’1 aprile 2008, che ha trasferito le competenze al Servizio Sanitario Nazionale, la Regione Toscana si è dotata di una struttura di questo tipo: c’è il direttore del dipartimento regionale che ha poi un referente aziendale e in ogni istituto c’è un responsabile di istituto. Di fatto il referente aziendale è l’interfaccia tra l’istituto e la ASL.

La direzione generale dell’ASL di Livorno ha ritenuto di affidare a me questa funzione di collegamento, in virtù delle competenze che ho acquisito in tanti anni; questo vuol dire che da una parte sono molto legato a quella che è la mia esperienza e quindi cerco di riportarla ai tre istituti, dall’altra parte sono più responsabile dell’applicazione delle linee guida regionali. Il DPCM offre ad ogni singola Regione la possibilità di organizzarsi come ritiene più opportuno, per esempio la Lombardia ha fatto delle scelte di tipo ospedaliero, la regione Toscana ha fatto delle scelte di tipo territoriale, questo dipende dalla struttura stessa del Servizio Sanitario Regionale.

 

Abbiamo letto di una sperimentazione di medicina telematica nel carcere di Livorno, ci può spiegare di cosa si tratta?

Il senso del passaggio al Sistema Sanitario Nazionale è quello del tentativo di migliorare le prestazioni in un’ottica di reale collaborazione con le esigenze del Ministero della Giustizia. Una delle esigenze fondamentali che io ho individuato è l’accesso del detenuto alle prestazioni sanitarie. Negli ultimi anni soprattutto il sovraffollamento ha ostacolato molto l’accesso alle prestazioni. Il numero degli agenti disponibili, come le risorse disponibili sono maledettamente calati, si tenga presente per esempio che noi nel carcere di Livorno, che è un circondariale, siamo passati da 250 a circa 500 detenuti, con un organico di agenti ridotto alla metà di quello di tre anni fa. Ciò significa che se devo far fare una radiografia ad un detenuto, devo passare obbligatoriamente dalla scorta che lo porti in ospedale, e se la scorta non c’è, la prestazione salta.

Allora il tentativo che ci siamo prefissi di portare avanti come ASL parte da una domanda: come facciamo ad eseguire questo numero di prestazioni che hanno difficoltà ad essere eseguite proprio per questi motivi? Allora, se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna, vediamo cioè se riusciamo a potenziare i servizi sanitari interni anche usufruendo della tecnologia moderna. E allora abbiamo provato a proporre un progetto che si realizzerà nei prossimi mesi, che richiede investimenti e anche un nuovo modo di lavorare, per la refertazione di radiografie ed elettrocardiogramma ad esempio, per vedere se si riesce a far sì che lo specialista da remoto provi a controllare quello che succede dentro e aiutare il soddisfacimento dell’esigenza che è emersa, senza correre il rischio che la prestazione salti perché la scorta non c’è. Naturalmente questo non può essere applicato a tutte le branche della medicina, ma sicuramente c’è una possibilità di migliorare l’accesso alla prestazione.

 

Ci viene in mente un caso gravissimo a Padova di una persona che non è stata portata a fare una risonanza magnetica e non gli è stato diagnosticato in tempo un tumore.

L’ho letto su Ristretti Orizzonti, vi seguo da molti anni. La questione è proprio questa, se io riesco ad eliminare tutta la serie delle prestazioni che ingolfano le liste d’attesa, è chiaro che posso concentrare l’attenzione nell’esecuzione esterna di tutti quei casi che per forza devono andare all’esterno e quindi posso usare più razionalmente le scorte. Tenete presente che anche all’esterno nel Sistema Sanitario Nazionale i tempi per le prestazioni sono quelli che sono, ci sono alcune branche in cui si aspettano mesi per un cittadino libero; per un cittadino detenuto, se si aggiungono i tempi per le autorizzazioni della magistratura, se non si tratta di questioni urgenti chiaramente, è chiaro che i tempi possono allungarsi.

A dire la verità comunque nella ASL di Livorno, proprio per l’uso razionale delle scorte e per un rapporto che abbiamo con l’azienda ospedaliera, riusciamo ad avere dei tempi di attesa quasi come per i cittadini liberi.

 

E come vengono trattate le urgenze?

Su questo non transigo, io come gli altri miei colleghi: le urgenze sono disciplinate dall’art. 17 del regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario. Quando il medico ritiene, certifica l’estrema urgenza, così la definisce l’art. 17 (“Quando deve provvedersi con estrema urgenza al trasferimento di un detenuto o di un internato in luogo esterno di cura e non sia possibile ottenere con immediatezza la decisione della competente autorità giudiziaria, il direttore provvede direttamente al trasferimento, dandone contemporanea comunicazione alla predetta autorità”), si mette d’accordo con l’ospedale e la persona viene portata immediatamente fuori, su questo non ci piove. Il problema è: che cosa significa “estrema urgenza”? Se un soggetto deve fare il follow up di una patologia neoplastica, ammesso e non concesso che non sia stato scarcerato per motivi di salute, perché il magistrato così ha deciso, il follow up di una risonanza magnetica di controllo può essere definito “estrema urgenza”? Obiettivamente non c’è un’estrema urgenza, ma sicuramente la non esecuzione della prestazione può compromettere la prosecuzione della terapia o della diagnosi, e lì ci vuole un po’ di sensibilità. Il medico deve farsi carico della necessità e quindi come tale deve prospettare al magistrato la necessità dell’esecuzione della prestazione. Il problema grosso è che i tempi di attesa non dipendono dalle necessità cliniche o sanitarie, ma ci sono una miriade di questioni, i tempi del magistrato, le scorte, il medico che non ritiene sia un’urgenza, l’ospedale dove preferiscono non avere a che fare con il detenuto, tutta una serie di piccole cose che si traducono in un aumento dei tempi.

 

Un altro problema è avere delle risposte su esami che la persona detenuta ha effettuato. Secondo lei la medicina telematica potrebbe accelerare queste attese?

Nella mia esperienza non mi risulta che i risultati di una prestazione non vengano comunicati abbastanza rapidamente.

Qualunque prestazione di tipo sanitario che riguarda il detenuto viene segnata in cartella clinica e il detenuto ha il diritto in qualsiasi momento di prendere visione della sua cartella clinica. Se intendiamo dire che c’è la malafede o la cattiveria, un ritardo di tipo colposo o doloso è un altro discorso, ma per quanto mi concerne tutto quello che viene fatto su un detenuto è scritto in cartella e il detenuto in qualsiasi momento può avere la cartella. Qui a Livorno abbiamo immediatamente adeguato la normativa regionale: prima il detenuto per prendere visione della cartella doveva fare richiesta al direttore, adesso invece funziona come per i cittadini liberi. La ASL toscana chiede al proprio cittadino la cifra di dieci euro per i diritti di segreteria per la cartella clinica quando è ricoverato, e oggi avviene lo stesso per i detenuti: il detenuto versa dieci euro sul conto corrente postale e riceve la fotocopia della cartella. Per quanto riguarda l’esito degli esami, questi gli vengono dati gratis, né più né meno di quello che avviene per i cittadini liberi. Per questo ho grosse difficoltà a capire perché ci siano dei ritardi nelle risposte degli esami, anche perché ci potrebbe rimettere il medico personalmente.

Certo non voglio magnificare la situazione sanitaria livornese, esercitare in carcere la medicina cercando di preservare il diritto alla salute, stretti come siamo tra l’interesse anche di parte del detenuto e l’attenzione del magistrato e l’esercizio puro e semplice secondo scienza e coscienza della medicina, non è facile. Che la medicina in carcere abbia bisogno di essere ristrutturata è un dato di fatto che sta alla base dei criteri che hanno spinto per il passaggio al Sistema Sanitario Nazionale.

 

Tornando alla sperimentazione della medicina telematica, quali potrebbero essere i campi di applicazione nella medicina penitenziaria? E riguardo ai costi? Ha costi alti o permette dei risparmi?

Bisogna capire cosa si intende per costi alti e risparmi. Per me riuscire a eseguire una prestazione che io ritengo importante ha un valore intrinseco enorme, indipendentemente da quanto costa poi in realtà la sua esecuzione. Esempio: devo far fare una radiografia del torace e la devo far fare in tempi ragionevoli perché sospetto una polmonite, a me interessa che venga effettuata il prima possibile. Se io riesco a far venire un tecnico di radiologia che mi fa la radiografia in istituto e il medico dell’ospedale me la referta online, io ho guadagnato del tempo perché tra chiedere l’autorizzazione al magistrato per l’uscita del detenuto, prendere l’appuntamento in ospedale, portare il detenuto fuori, riportarlo dentro, aspettare l’esito, i tempi sarebbero triplicati.

Faccio altri esempi: l’esecuzione online dell’elettrocardiogramma con refertazione immediata per evitare che si rimanga nel dubbio di un sospetto infarto, l’esecuzione di tutta una serie di visite dermatologiche, se non ho il dermatologo che venga dentro, ad esempio via webcam. Chiaro che poi queste sono cose tecnologiche che non possono non aver bisogno del medico sul posto, chiaramente, il rapporto umano rimane comunque alla base, a prescindere da quale sia la tecnologia applicata.

Qui a Livorno, che è un carcere di 500 persone con un turn over di 2.500 persone all’anno, io faccio eseguire circa 500 visite annue all’esterno, per la stragrande maggioranza per una carenza strumentale, (risonanze, tac, endoscopie). Io conto che almeno un terzo di queste non si riesce ad eseguirle per difficoltà di traduzione del detenuto in ospedale, se io riesco a risolvere questo 30% di casi, perché questi accertamenti riesco a farli in quest’altra maniera, io non solo ho migliorato la quantità, ma anche la qualità di quello che faccio. Poi certo se c’è un medico incompetente, o un detenuto che è un simulatore, quello rimane comunque.

 

Noi pensiamo però che il detenuto che simula per il medico dev’essere l’ultimo problema

Io ho imparato che io medico che lavoro in carcere mi devo sempre porre il problema del detenuto che simula, perché in carcere viene eseguito un numero di prestazioni esagerato rispetto a quella che è la necessità, e poi anche perché il magistrato vuole sapere se la patologia c’è o non c’è.

La simulazione o anche la dissimulazione, se il medico ci pensa è la garanzia per la salute del detenuto. Io non ho mai scritto che il detenuto simula, ma il problema che ci possa essere un interesse diverso dalla tutela della salute io me lo devo comunque porre. Prendiamo un esempio molto attuale, il numero dei tentativi dei suicidi cosa mi comunica, se non un’espressione della difficoltà di vita dentro ad un carcere, un tentativo di attirare l’attenzione su di sé? e questo dipende dal clima che c’è in carcere. Io medico devo pormi la domanda se questo è un tentativo di suicidio perché il detenuto ha litigato con gli agenti in sezione o perché c’è una patologia, in quel senso io parlo di simulazione e dissimulazione, non parlo del soggetto che simula perché vuole un beneficio.

 

Certo, ma allora bisogna riflettere su questo in modo meno superficiale di come si fa di solito, perché altrimenti c’è il rischio di immaginare che il detenuto simuli sempre e di lasciarsi condizionare nell’esercizio della professione.

Il medico che pensa così si mette in una situazione di rischio professionale enorme, diventa corresponsabile della mancata assistenza.

Io ho avuto purtroppo dei soggetti che si sono rivelati dei simulatori, ma io questo l’ho detto dopo che avevo fatto il quadruplo delle cose che avrei fatto per un altro detenuto per cui non avevo questo sospetto. Come faccio a sapere che un detenuto non simula? Devo fargli il doppio, il quadruplo degli accertamenti, per verificarlo davvero.

È esattamente questo il punto, bisogna garantirgli il doppio di prestazioni, dopodiché puoi anche dire che il detenuto mente.

Dopodiché io dirò anche che non ho capito nulla, piuttosto che dire che è un simulatore, io personalmente. Per questo ho messo sullo stesso piano chi imbroglia e chi non fa quello che deve fare. Il problema grosso è la questione della compatibilità con la carcerazione, un principio giuridico presente in poche strutture giuridiche nel mondo, e l’Italia è all’avanguardia da questo punto di vista, cioè io purtroppo dico che dalla galera si esce fondamentalmente quando si è scarcerati o quando si è morti o perché si è malati, e il magistrato vuole essere ben sicuro della situazione sanitaria. Posso dire che negli ultimi anni motivi validi per uscire dal carcere ce ne sono sempre di più, non solo il carcere genera malattia, il carcere è malattia. Non si possono curare le persone quando c’è un sovraffollamento come quello di oggi.

La tecnologia potrà aiutare riducendo i tempi delle liste d’attesa, ma ciò che resta fondamentale è la mentalità degli operatori, è la “sanità mentale” degli operatori. Puoi avere la tecnologia più avanzata, ma se non la usi con razionalità e non sei un medico attento, è come se non l’avessi.