Basta la salute…

Solo che, con il sovraffollamento, anche la salute dei detenuti è sempre più a rischio, e non tutte le Regioni sembrano aver chiaro che se ne devono occupare loro, e che devono definire i servizi e la qualità dell’assistenza che sono in grado di offrire

 

a cura della Redazione

 

La riforma della sanità penitenziaria è durata praticamente dieci anni, ma si può dire tutt’altro che conclusa: se a questo si aggiungono i tagli di risorse e il numero enorme di detenuti stipati nelle celle, si capisce che dire che la situazione è drammatica è dir poco. Ne abbiamo parlato in redazione, anche perché la storia di Graziano Scialpi, le sue sofferenze davvero inutili, il fatto di essere stato ritenuto spesso un simulatore quando stava male hanno posto al centro della nostra attenzione temi come i tempi lunghissimi della medicina penitenziaria, le attese sfibranti di una visita, la difficoltà che ha spesso un detenuto solo perché gli credano.

 

Ornella Favero: Partiamo da quello che potremmo fare noi dal punto di vista dell’informazione. Io credo che noi dobbiamo cercare di fare due cose: da una parte sensibilizzare “fuori” sui temi della salute in carcere, dall’altra sensibilizzare “dentro” perché le persone detenute siano anche in grado di capire che diritti hanno e farli valere.

La situazione dell’applicazione della riforma è ancora piuttosto caotica: ci sono Regioni come la Toscana che hanno preso la cosa molto seriamente, hanno fatto una legge ad hoc per la salute in carcere e danno dei servizi abbastanza efficienti. Ci sono invece altre Regioni in cui ancora non sono chiare le direttive e nemmeno ci sono dei responsabili del rapporto tra Ulss e area sanitaria nelle carceri.

Un primo problema da affrontare è proprio quello che emerge a partire da alcuni casi di malasanità, in particolare quello di Graziano Scialpi, che è stato mesi con dei dolori atroci, e non lo mandavano mai a fare una risonanza magnetica, poi l’hanno portato e hanno sbagliato giorno, doveva andarci il giorno dopo però la scorta non lo ha più portato. Allora per esempio io penso di fare una prima campagna di informazione sulle visite specialistiche, per le quali secondo me devono togliere la scorta ai detenuti che già vanno in permesso, tanto per cominciare, in modo che non debba più succedere che un detenuto non vada a fare una visita importante perché non c’è la scorta, non deve più succedere. Bisogna ridurre al massimo l’uso della scorta, che va mantenuto per il detenuto che è ancora pericoloso, che non esce in permesso, ma se uno già esce in permesso, o se è comunque nei termini, non dovrebbe più aver bisogno della scorta, al massimo potrebbe essere accompagnato da un famigliare o da un volontario.

Se poi succedono questi disastri, molto spesso la persona non ha neppure il coraggio di denunciare, perché teme sempre di perdere qualcosa, anche Graziano diceva: “Io sì vorrei fare la denuncia, però dopo ho paura che me la facciano pagare e mi facciano andare via da qui, dove comunque almeno il magistrato mi conosce…”. Insomma, in carcere per quanto male si stia c’è sempre la paura di finire in un posto peggiore.

Franco Garaffoni: Sì, però in questi casi bisognerebbe convincersi che potrebbe servire agli altri denunciare, potrebbe impedire che certi comportamenti, certe negligenze si ripetano. Perché quello che bisogna sapere è che quando tu sei tacciato di simulazione, diventi in un certo senso incompatibile non solo con la galera, ma anche e soprattutto con la vita, perché devi arrivare agli estremi, come ci è arrivato Graziano, per poter dimostrare qualcosa, e nel frattempo però ti giochi la vita, dal momento che l’accusa di simulazione non te la togli se non con un ricovero di urgenza e rischiando appunto la vita, come è successo a lui.

Maurizio Bertani: Credo che il rischio lui lo vedesse anche sotto un altro aspetto, cioè: va bene, io faccio la denuncia, però rischio di essere sbattuto in un altro carcere, perché denunciando di non essere stato curato adeguatamente in questo carcere, mi troverei in una situazione di incompatibilità proprio con questo carcere, dal momento che comunque la posizione dei medici rimane quella che è anche se interviene una denuncia, almeno finché non si chiariscono i fatti.

Quindi da lì rischi di essere spostato in un altro istituto perché, non potendo spostare l’equipe medica in conseguenza del fatto che c’è una denuncia in corso, si preferisce spostare il detenuto. Questa forse è la paura che ha avuto Graziano, non tanto della denuncia in sé, perché se tu medico per la tua smania di accusare tutti di simulazione rischi di farmi morire, se permetti ti denuncio. Ma poi? Allora il problema è proprio questo, in che posizione mi metto? noi sappiamo che chiunque da qui venga trasferito in un altro carcere, si trova in un altro mondo, ricomincia tutto da zero, non è che sul territorio nazionale le situazioni siano tutte uguali, equiparate ad uno stesso sistema penitenziario. Oggi sei qui dove hai magari una serie di benefici, ti prendono e ti sbattono in un altro carcere, e tu mantieni tutte le condizioni che hai a Padova? No, perché appunto i penitenziari del territorio nazionale non sono tutti uguali, ma ognuno ha le sue regole, quindi ricominci da zero. Allora qual è il rischio a cui vado incontro se denuncio? quello di un trasferimento, dopo anni di faticoso adattamento al carcere in cui mi trovo. Ecco forse è questa la paura che impedisce di denunciare.

Bruno Turci: Comunque qui c’è da dire una cosa, io sono stato testimone di un fatto banale, se vogliamo, rispetto a quello di Graziano. C’era un ragazzo in sezione da noi che soffre di asma, c’è stato un giorno che chiedeva degli antistaminici e non glieli volevano dare, come non gli volevano dare gli spray. Lui si è messo a gridare e ha fatto un disastro, non voleva rientrare nella cella. Lì c’era il medico sul piano per le visite, io sono stato il primo ad entrare da lui, e gli ho chiesto: “Ma cos’è successo con questo ragazzo, come mai grida così?“. “Ma simula, è uno che simula”. Allora comunque l’ho sentita anche in altre occasione questa fobia della simulazione, tanto più che quel detenuto ha chiesto un antistaminico, non una droga. Un antistaminico per una persona che ha l’asma è fondamentale quando ha delle difficoltà respiratorie, insomma se non ti danno qualcosa vai in sbattimento perché non respiri. Comunque è vero, questa della simulazione è una specie di psicosi.

Ornella Favero: Ecco, io metto al primo punto l’obiettivo di fare una campagna di informazione proprio sulla simulazione, perché questo timore della simulazione deve scomparire dalla testa dei medici, io credo. Un medico non si può permettere di far prevalere la paura della simulazione sull’idea della cura, non se lo può permettere.

Bruno Turci: Anche perché in base a questo ragionamento loro chiudono la porta, capisci? simuli quindi stop, tu non hai nessuna possibilità, e gli agenti di fronte a questo fatto dicono: ma se lo dice il dottore…

Ornella Favero: Ma gli agenti a volte sono loro a spingere perché i medici intervengano, pensate alla storia di Graziano, gli agenti lo hanno messo su di una carrozzella, l’hanno portato giù e hanno detto: “Adesso dovete ricoverarlo”, erano tre giorni che non urinava, che aveva le gambe quasi paralizzate, cioè un disastro, per cui questo discorso della simulazione tiriamolo fuori con tutto il risalto possibile.

Maurizio Bertani: Il problema secondo me è sempre lo stesso: chi è che controlla l’operato, ma anche le “dichiarazioni di simulazione” di un medico? Se noi non abbiamo un referente a cui rivolgerci, adesso ipoteticamente io dico che deve essere proprio la Direzione a denunciare i medici, perché è vero che oggi la sanità in carcere e i medici non sono più alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, quindi la responsabilità della salute è della Ulss, ma la responsabilità della vita dell’individuo è anche della Direzione, che dovrebbe denunciare il medico che abbia dimostrato di aver messo il rischio simulazione prima della salute di un detenuto. Noi sappiamo che l’equipe medica è sempre quella di prima della riforma, per cui i difetti che c’erano prima rischiano di esserci anche oggi, per esempio ci sono a volte degli inadempimenti sulla questione dei trasferimenti in ospedale per le visite specialistiche e le risonanze magnetiche, come è successo con Graziano, quindi siamo in una situazione in cui non è chiaro di chi siano le responsabilità e si rischia che uno copra l’altro e viceversa. Ma allora, se non c’è un referente, uno che abbia un ruolo di coordinamento e di controllo, a cui io detenuto ammalato possa rivolgermi, posso anche fare tutte le denunce che voglio, ma non cambia niente. Se non c’è qualcuno a cui rivolgersi che abbia la possibilità di inoltrare per iscritto richieste alle autorità competenti, medici in primo luogo, l’Ulss, la Direzione dell’Istituto, il magistrato di Sorveglianza, se non c’è un Garante a cui io detenuto ammalato possa rivolgermi per avere le cure necessarie senza paura di essere tacciato di simulazione, se non riusciamo a costruire questo, noi saremo sempre in queste condizioni.

Elton Kalica: È il magistrato di Sorveglianza che dovrebbe tutelarci rispetto all’Amministrazione penitenziaria, ma i detenuti si rivolgono al magistrato quando hanno in ballo permessi o una misura alternativa, difficile trovare quello che scrive perché non gli stanno facendo la visita specialistica.

Io ho visto che è molto più facile che i detenuti si rivolgano al direttore, io stesso ho scritto due volte al direttore quando aspettavo la visita di un dentista, dopo aver aspettato sei mesi perché mi completasse una otturazione ho scritto al Direttore, andando anche un po’ sul pesante sul fatto che era inaccettabile avere un trattamento di questo tipo, cioè che un dentista ti iniziasse un lavoro e poi te lo lasciasse in quelle condizioni per sei mesi senza fare nulla, ma il direttore ha semplicemente girato la lettera ai responsabili sanitari.

Così poi sono sceso giù perché mi ha chiamato il dirigente sanitario, che mi ha detto: “Guarda che avresti potuto anche fare a meno di scrivere queste cose, bastava che ci facessi chiamare dall’agente”. Gli ho fatto notare che erano sei mesi che mi lamentavo tutti i giorni dall’agente e l’agente aveva anche litigato con i medici davanti a me, dicendo che stavo davvero male. È finita lì, il dentista mi ha chiamato dopo una settimana. Poi c’è stato un periodo che io non riuscivo nemmeno a star seduto per le vertigini, e mi avevano detto che dovevo fare una TAC alla cervicale. Sono andato anche dal dirigente sanitario, che non a caso mi ha detto: “Kalica, sempre lei…”, poi si sono interessati in tanti, il direttore, la psicologa, l’educatrice, ma nonostante siano passati quattro anni non mi hanno mai mandato a farla, per fortuna poi le vertigini un po’ alla volta sono sparite.

Io ho semplicemente l’impressione che sia difficile, con la situazione che c’è adesso, riuscire ad avere non dico giustizia, ma un po’ di attenzione, rivolgendosi alle autorità preposte, quindi al magistrato e al direttore. Perché è così di solito, se tu scrivi una lettera a qualche autorità, loro rinviano la lettera al dirigente sanitario e se hai scritto qualche lamentela di troppo, sei segnato, e hai chiuso.

Tu quindi non riesci ad avere giustizia in questo modo, ecco perché è fondamentale individuare sia degli organi di monitoraggio, che di controllo.

Ornella Favero: È per questo che in carcere, rispetto a fuori, ci dovrebbero essere degli strumenti di controllo del funzionamento della sanità molto più efficaci che fuori, perché fuori il cittadino alla minima stupidaggine può cambiare medico e può denunciare, può fare qualcosa, qui dentro la denuncia ti “costa” troppo, c’è il rischio trasferimento, il rischio di peggiorare le cose.

Ci vuole effettivamente qualcuno, un Garante, qualcuno che non sia in nessun modo invischiato con la tua situazione di detenuto. Perché se tu fai un esposto alla Direzione hai paura di un trasferimento, se lo fai al magistrato, poi hai il timore che venga girato al carcere, per cui questi strumenti non funzionano. Secondo me bisogna pensare a degli strumenti diversi, per esempio che ci sia una figura che possa fare i colloqui con il detenuto e possa indagare su qualcosa che non funziona, senza il bisogno di una denuncia. Cioè tu ti devi poter rivolgere a un Garante, il quale può indagare su questo fatto e darti delle risposte, anche se tu non fai una denuncia scritta perché non ti vuoi esporre, ma anche perché hai bisogno di tempi rapidi di risposta, il problema salute ha sempre una tale urgenza, che gli strumenti che devi avere per far valere i tuoi diritti in questo ambito devono essere il più possibile rapidi ed efficaci. Perché io sarei curiosa di conoscere un dato che non credo ci sia, cioè vorrei analizzare le indagini che sono state fatte su casi di cosiddetta malasanità in carcere, ho l’impressione che le uniche indagini sono quelle che si fanno quando qualcuno muore, e questo la dice lunga, perché se invece fuori uno ha dei problemi per malasanità, è lui stesso che protesta, in carcere se muori viene fatta un’indagine, altrimenti si blocca tutto perché nessuno si espone per fare una protesta.

La salute ha dei risvolti tragici, mentre su altre cose tu puoi dire: “Sto male, mi trattano male, mi danno da mangiare male”, e si tratta senz’altro di condizioni pesanti della detenzione, che fanno vivere male, e che però non mettono a rischio il detenuto, sulla sanità si ha a che fare con la vita, e le implicazioni sono molto più pesanti.       

Sandro Calderoni: A me viene in mente un’altra cosa: quando qualche volta diciamo che i detenuti sono omertosi, io però mi sono reso conto che nella vita, in qualsiasi posto in cui ti trovi, quando tu tocchi una corporazione, si sviluppa la stessa identica dinamica che si sviluppa nelle carceri, la stessa cosa. C’è omertà, c’è insabbiamento, anche tra i medici.

Ornella Favero: Questo discorso è parzialmente vero, quando hai a che fare con una corporazione, con i medici ma anche con qualsiasi altra, con gli avvocati per esempio, è facile che si coprano a vicenda. Mi ricordo quando è venuto qui Gianrico Carofiglio, lo scrittore magistrato, lui diceva che non è mai successo che un collega denunci un altro collega, quindi questo delle corporazioni è un dato di fatto, ma il problema è che se tu sei un cittadino comune, c’è un momento in cui te ne freghi delle corporazioni, e trovi tutti gli strumenti possibili per denunciare che non ti hanno curato, qui dentro invece non lo puoi fare, quindi è molto diverso perché ci sono degli “utenti deboli”, cioè il detenuto di per sé è un utente che non ha nessuna capacità di far valere i suoi diritti.

Sandro Calderoni: Fondamentalmente se ci fosse la figura del Garante, certi problemi, non dico che si risolverebbero, però magari sarebbero un po’ più approfonditi, questo mi sembra il punto.

Probabilmente la campagna per la qualità della salute e anche per avere degli strumenti di controllo, deve essere accompagnata da una campagna per il Garante, e non a caso ci si muove sui casi di malasanità prima che il detenuto muoia solo dove hanno il Garante, perché è una figura terza, è una figura che fondamentalmente non ha problemi di conflitti con le altre parti, proprio perché garante di quell’applicazione dei diritti che oggi non sempre vengono riconosciuti.

Dritan Iberisha: Secondo me questo problema è complicato, perché io sono stato in tante carceri, e di solito succedeva che se uno stava male tutta la sezione faceva casino, qui neanche se uno muore c’è qualcuno che si alza a fare casino per te. Però io credo che ci siano anche detenuti che denunciano se subiscono un torto, per esempio oggi non picchiano più nella maggior parte delle carceri, proprio perché i detenuti hanno cominciato a fare le denunce quando venivano picchiati, e così oggi succede molto più raramente.

Rachid Salem: Io so che ancora sono in tanti a usare metodi “particolari” per far rispettare i propri diritti, c’e un detenuto al terzo piano che da molto tempo aveva mal di denti e ogni giorno si segnava per la visita medica, ma non l’hanno mai chiamato. Allora lui cos’ha fatto? Ogni due o tre giorni prendeva una pila e la mangiava e lo portavano all’ospedale, così ha rotto le scatole agli agenti per un mese, adesso lo hanno chiamato dal dentista e gli hanno tolto il dente, insomma per farsi togliere un dente ha dovuto andare avanti così sette, otto mesi.

Ornella Favero: Questo sarebbe un titolo perfetto nella sua assurdità: Quante pile deve mangiare un detenuto per farsi curare un dente?

Franco Garaffoni: Io però non ho mai visto un dottore prendere posizione contro un dirigente sanitario, come dovrebbe fare in certi casi. C’è il medico più disponibile, più affabile, se gli chiedi una pastiglia in più te la dà, ecco dove viene confusa la questione, questa è disponibilità a stare più tranquillo e ad ascoltarti di più, ma non è ancora un modo diverso, “più sano”, di considerare il paziente detenuto. Il discorso è che l’Ulss, dopo che ha avuto la gestione della sanità in carcere, doveva prendere una posizione netta rispetto alle cose che non vanno, invece mi pare che quasi tutti si adeguino automaticamente a quello che trovano qui dentro. Io non ho visto nessuno che prenda di sua iniziativa un detenuto e lo faccia ricoverare se non viene portato a fare una Tac o una risonanza al momento giusto, che denunci i ritardi, che visiti davvero scrupolosamente, nessuno si mette contro quello che è già prestabilito.

Ma io mi domando chi e come possa capire se sto simulando. Tra le morti che avvengono nelle carceri, sappiamo che ci sono morti su cui nessuno è andato a indagare davvero su cosa significhi “morte naturale”, nessuno o quasi verifica se quella “morte naturale” è avvenuta però perché magari non è stato fatto un accertamento al momento giusto, non è stata diagnosticata in tempo la patologia, nessuno si prende la briga di vedere se il detenuto è stato creduto subito o si è aspettato troppo, pensando che simulasse, nessuno o quasi va a verificare come mai gente dichiarata incompatibile con il carcere, dal carcere non è mai uscita perché in questo caso sono stati i magistrati a non credergli. Di questo ha parlato recentemente Francesco Ceraudo, il direttore del Centro clinico del carcere di Pisa che ora è anche responsabile della sanità penitenziaria in Toscana.

Ornella Favero: La critica che faceva il dottor Ceraudo era nei confronti dei magistrati, però qui a Padova la magistratura ha spesso concesso delle sospensioni della pena per motivi di salute, mentre in altre carceri è diverso, per esempio mi ha chiamato la Garante della Campania dicendo che da loro è il contrario, ci sono parecchi casi in cui i medici sollecitano le sospensioni e sono i magistrati a non concederle.

Elton Kalica: Qui forse mi viene da dire che bisognerebbe ragionare su cosa fare per responsabilizzare i nostri medici, perché va bene che vogliono responsabilizzare i detenuti con i percorsi di reinserimento e tutto il resto, adesso siamo noi che stiamo cercando di responsabilizzarci ragionando su come far funzionare meglio il servizio sanitario, però diciamo: “ci responsabilizziamo, ma responsabilizzate anche chi si prende cura di noi”.

Questo anche perché, sì ci sono i medici bravi, ma ho visto che c’è qualcuno poco responsabile tra il personale sanitario. Ad esempio, quando vai in infermeria a volte l’aria che respiri non è delle migliori, vedi questi camici bianchi e verdi che ti guardano in modo strano, e quando provi a parlare a uno di loro, l’impressione è che ti vedano come un alieno.

Ornella Favero: Mi ricordo che, 14 anni fa, per uno dei primi numeri di Ristretti abbiamo invitato i medici e anche allora traspariva sempre la fissazione della simulazione, “Il detenuto finge”, tra l’altro penso che, paradossalmente, nel dire che uno simula ci si assume una bella responsabilità.

Anche con il suicidio di Giuseppe Sorrentino qui a Padova, mi pare che di lui sia stato detto che fingeva di star male.

Bruno Turci: Ma veramente se stai male e hai la sensazione che non ti credano, questo ti butta a terra, sei condannato inesorabilmente, sei ammalato e già condannato.

Andrea B.: Oggi però i medici non fanno più parte dell’Amministrazione penitenziaria, ma dipendono dall’Ulss, sono gli stessi da cui puoi andare anche quando vai fuori, ma fuori non ho mai sentito nessun medico dire che uno sta simulando, qui invece mi sembra che abbiano preso una “mentalità penitenziaria”.

Elton Kalica: Quando facevo il portavitto, mentre ero lì che aspettavo che mi aprissero per andare a prendere il carrello, mi sono ritrovato più di una volta ad ascoltare le telefonate degli agenti all’infermeria “Guarda che c’è tizio che si lamenta perché…”, e più di una volta ho sentito il capoposto o l’agente dire: “A me non interessa cosa succede lì, dovete mandare qualcuno perché il detenuto sta male”. Ed era chiaro che dall’altra parte del telefono non avevano tanta voglia di intervenire, e quello che si interessava di più perché il detenuto ricevesse le cure era l’agente e non il medico, magari perché gli rompeva le scatole, o magari no, ma le cose a volte vanno così, paradossalmente spesso dimostrano più responsabilità gli agenti che certi medici nel fornire le cure.

Andrea B.: Vi insegno un trucco, qui non bisogna mai segnarsi dal medico, ma riservarsi le poche volte ”a disposizione” quando stai proprio male. Così il medico pensa: ”Non l’ho mai visto, se viene deve avere qualcosa di veramente serio, degno di attenzione. È l’unica tecnica possibile, riservarsi le chiamate proprio quando senti che sei “vicino al trapasso”.

Ornella Favero: Sì, e come fai ad accorgerti che è giunto veramente il momento, ti fai l’autodiagnosi? Per esempio, oggi sto malino, abbastanza da non sembrare un simulatore?

Filippo Filippi: Sicuramente chi tratta le persone detenute come figli di un Dio minore o forse neanche come figli, ma semplicemente appartenenti ad un’altra specie, più primitiva, esercita la professione medica contravvenendo al giuramento d’Ippocrate. Ma noi spesso siamo considerati come esseri che, se anche soffrono, è giusto così, ben gli sta, come coloro che hanno l’unico obiettivo di simulare malesseri, come esseri che non hanno sentimenti umani.

È buffo, perché adesso ti mettono in galera se tratti male le bestie. Si continua a tutt’oggi a fare servizi sui maltrattamenti e salvataggi dei vari animali di turno, i gattini piccoli rimasti dentro il cofano di un’automobile, i cani che vengono maltrattati o abbandonati, però ricordiamogli che ci sono anche le persone carcerate, forse giustamente detenute, questo noi dobbiamo sottolinearlo perché altrimenti diamo l’impressione che siamo qui per sbaglio, però siamo persone, anche se l’opinione prevalente delle persone libere è che noi abbiamo fatto i reati e dobbiamo stare in galera e anche senza diritti.

Ornella Favero: Qualche tempo fa mentre discutevamo qui sul trattamento riservato agli animali, sia per la salute che per il sovraffollamento, mi ricordo che Andrea aveva fatto una osservazione molto realistica. Diceva che però l’animale non ha fatto del male a nessuno, l’animale non ha fatto rea­ti, mentre il detenuto ha fatto del male ed in quel momento è come se avesse perso tutti i diritti. Questa è la logica dominante fuori, non in tutti però è molto diffusa.

La logica è che chi commette un rea­to non va punito solo con il carcere, ma anche con la perdita dei diritti fondamentali, quindi non dico che pensino di non dover curare le persone, però sicuramente che la galera te la sei meritata e adesso devi subirne tutte le conseguenze, oltre alla privazione della libertà. Questa mentalità sappiamo che esiste ed è anche diffusa. Tornando ai medici, è un altro problema legato anche a questa mentalità. Alcuni medici che vengono a lavorare in carcere non hanno idea del rapporto medico/paziente, ma pensano a un rapporto medico/detenuto.

Siccome il detenuto è quello che vuole uscire, cerca la libertà, la logica di questo tipo di medici è quella di pensare che il detenuto lo vuole fare fesso per avere la possibilità di uscire.

Allora attenzione, intendo dire che per esempio mio padre era medico, ha fatto anche per un certo periodo il medico qui in carcere per sostituire un suo amico, e mi ricordo che fuori era considerato un medico un po’ severo perché non gli piaceva fare i certificati facili. Perché anche fuori c’è un problema reale di gente che finge di stare male perché vuole avere più ferie, mettersi in malattia e riposarsi.

Quindi noi dobbiamo essere abbastanza intelligenti da non fare semplificazioni e da non ragionare a senso unico. Esiste un problema di quello che vuole fingersi malato fuori per non andare a lavorare e dentro per uscire, questa è un po’ la questione. Il punto è che il medico qui dentro deve porsi di fronte al paziente e non al detenuto, e quindi in coscienza fare di tutto per curarlo. Se poi il detenuto lo frega, è da mettere in conto anche quello.

Invece la mentalità dominante è l’altra, è quella di dire che il detenuto ti frega a priori. Perché? Perché vuole uscire, vuole la sospensione della pena, perché vuole avere qualche piccolo vantaggio, oppure semplicemente perché qui dentro l’unico modo per attirare l’attenzione da parte del detenuto è quello di dire di stare male. E ci sono medici che rispondono in questa maniera, privilegiando la loro paura di essere passati per fessi, Invece credo che in carcere bisogna accettare di esser passati per fessi, credo sia un segno di intelligenza non aver paura di passare per fesso, di essere fregato.

Filippo Filippi: Tu parli di simulazione e la simulazione da parte di un detenuto dovrebbe presupporre almeno una sommaria conoscenza da parte del medico “giudicante” del suo stato di salute. Mi spiego, prima che il medico riesca a stabilire se il carcerato-paziente sta simulando o no bisognerebbe che almeno lo visitasse non ”telepaticamente” o solo con l’ascolto breve. Lo visita, lo tocca, lo ausculta, magari si mette i guanti perché potrebbe infettarsi anche di “carcerite”, ma comunque almeno lo visita prima di decidere che è un simulatore. Nel carcere da dove provengo io ad un certo momento al medico del Sert sono arrivato al punto di dovergli chiedere: “Ma lei che cosa è, che funzione primaria ricopre qui ora ed in questo momento?” E lui mi ha risposto di essere un medico, ma anche un pubblico ufficiale. E allora l’ho invitato a svolgere la sua funzione primaria in quel momento, e che cioè mi visitasse come se fossi una persona. Io sicuramente sono stato un po’ troppo brusco e diretto, ma in quel momento ho come avuto l’impressione che dovevo affermare un mio diritto, anche perché non è che avrei potuto prendere ed andare da un altro medico. Ho chiesto se per favore poteva visitarmi, quindi indipendentemente dai soldi che paiono non esserci più, dal detenuto che potrebbe simulare, dai farmaci che scarseggiano e che son centellinati, quantomeno mi visiti, faccia quello che è in suo potere come medico per darmi una mano. Invece sono pochi quelli per cui, anche se non ti fanno nulla di trascendentale, poi esci dall’ambulatorio con la sensazione di aver parlato con un medico sapiente ed esperto, ma soprattutto disponibile, già quando ti capita stai un po’ meglio solo per questo.

Ornella Favero: Dobbiamo anche chiedere che la Regione, che ora ha la competenza sulla salute in carcere, dia indicazioni chiare e presenti la Carta dei Servizi, di modo che la persona detenuta sappia su che servizi può contare. E poi bisognerà confrontarsi su questo.

Ho sentito per esempio dirigenti dell’Amministrazione penitenziaria dire che quando era l’Amministrazione penitenziaria la responsabile della sanità, le cose andavano meglio. Faccio un piccolo esempio che riguarda le protesi dentali. Ci sono dei detenuti che hanno l’autorizzazione del Ministero della Giustizia ad avere la protesi dentale gratuita, poi è subentrata la Regione e sono state sospese le autorizzazioni, la Regione non fornisce più le protesi. È chiaro che, anche se io sono convinta che il passaggio al Sistema sanitario nazionale andasse fatto, ci sono dei problemi, perché è vero che fuori non ti passano tutti i farmaci o le protesi dentarie, però da libero hai la possibilità di rivolgerti ad altri, di muoverti, di farti aiutare, di cercare delle risorse. Qui dentro ci sono detenuti che risorse non ne hanno, e quindi è molto difficile la condizione di chi sta dentro.

È questo il punto sul quale ci dobbiamo battere, certi servizi, i farmaci, le protesi, il Sistema sanitario non li fornirà a tutti i cittadini fuori, ma al detenuto che non ha una famiglia alle spalle, non ha nessuno che lo possa aiutare, glieli dovrebbe fornire.

Questi sono alcuni dei problemi che dobbiamo mettere a fuoco, anche per riuscire poi a monitorare la situazione e chiedere delle risposte.

 

 

Intervista a Leda Colombini

I detenuti protagonisti del cambiamento che riguarda la loro salute

Questo dovrebbe essere l’effetto del passaggio della sanità penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale. Ne abbiamo parlato con Leda Colombini, presidente dell’associazione A Roma insieme, testa e cuore del Forum per la tutela della salute delle persone private della libertà personale

 

a cura di Ornella Favero e Maurizio Bertani

 

I primi passi in carcere Leda Colombini li ha fatti nel 1976, quando era assessore agli Enti locali e ai Servizi sociali della Regione Lazio. Erano da poco state varate la riforma dell’Ordinamento penitenziario e la legge sul decentramento amministrativo, e lei si occupava di traghettare le competenze dalle Regioni agli Enti locali nell’ambito dell’assistenza sanitaria all’infanzia, agli anziani, ai portatori di handicap e a tutta l’area della marginalità, carcere compreso. Il carcere da allora resta al centro dei suoi interessi, nel 1991 Leda costituisce insieme ad altri l’associazione “A Roma insieme”, e poi continua ad occuparsi con passione e determinazione di bambini in carcere, e di salute, è lei a guidare un ampio movimento d’opinione che ha sostenuto per anni l’importanza della riforma della sanità penitenziaria, lei che, una volta attuata la riforma, ha promosso la costituzione del Forum per la tutela della salute delle persone private della libertà personale, che fin dalla sua nascita “tallona” le istituzioni perché portino a compimento la riforma. Del Forum è stata presidente fino a pochi mesi fa, quando ha deciso di “farsi un po’ da parte”, e al suo posto è stata eletta Livia Turco. In realtà, nessuno permette a Leda di farsi davvero da parte, nonostante lei rivendichi un po’ di pace per i suoi 82 anni. L’abbiamo intervistata perché pensiamo che in realtà sia lei ancora l’anima appassionata del Forum.

 

A proposito della sanità in carcere, sentiamo dire sempre più spesso la solita frase “Era quasi meglio prima”. Ci sono un sacco di cose che non funzionano, non funzionavano prima e adesso, con quasi 70.000 detenuti, ovviamente è ancora peggio, ma cosa risponderesti a queste persone, fra le quali ci sono anche molti detenuti?

Intanto la riforma non è conosciuta, nemmeno tra i detenuti. Il governo poi non ha ancora completato il trasferimento delle competenze in tutto il Paese, ci sono Regioni che sono ancora fuori, come quelle a statuto speciale; non sono ancora stati nominati i rappresentanti del governo nelle commissioni regionali per i trasferimenti delle competenze, quindi ci rendiamo conto come sia complicato e difficile questo percorso. Non dimentichiamoci che la situazione peggiora non per la riforma, che io credo sia stata un passo importante, ma soprattutto perché oggi c’è un sovraffollamento impensabile fino a pochi anni fa, ed è l’intero sistema che non regge. Poi tutta la campagna che c’è stata sulla sicurezza ha messo in discussione molte delle aperture previste dalla riforma, e anche questo spostamento di attenzione, che dovrebbe essere centrale, dalla sicurezza alla salute.

 

Quindi c’è anche una informazione scadente su questi temi?

Io sostengo che la riforma dovrebbe essere un’occasione anche di un maggior coordinamento e di unità di tutto il fronte composto da chi si occupa della tutela dei diritti delle persone private della libertà, quindi del volontariato, delle associazioni, dei sindacati, che dovrebbero lavorare insieme proprio per far conoscere la riforma, perché su una questione come questa l’informazione è decisiva, e i detenuti tra l’altro dovrebbero essere protagonisti di questo cambiamento che riguarda la loro salute, le loro condizioni di vita.

 

Quali sono le Regioni che stanno lavorando meglio secondo te?

Naturalmente in primis c’è la Toscana, che è una delle Regioni che tra l’altro ha promulgato la legge di recepimento della riforma ancora prima che ci fosse il decreto, naturalmente con i limiti che questo comportava; poi c’è la Regione Piemonte, che adesso ha una battuta di arresto, e secondo me questo è collegato veramente al nuovo quadro politico, perché prima stava lavorando bene anche con il personale. Ma l’applicazione della riforma è andata e va avanti a macchia di leopardo, le cinque Regioni a statuto speciale sono ancora fuori dal trasferimento della sanità al Sistema Sanitario Nazionale, portano avanti l’assistenza sanitaria nello stesso modo in cui la portavano avanti prima, quindi è chiaro che il trattamento dei detenuti non migliora. Poi c’è il fatto che soprattutto le Regioni meridionali fanno molta fatica a farsi carico di questo problema, il Sistema Sanitario è in difficoltà già di per sé per gli utenti “liberi”, intanto perché con una crisi finanziaria come questa i finanziamenti fanno fatica ad arrivare e una riforma come questa non ha i finanziamenti che dovrebbe avere. Il costo della sanità in carcere è sempre stato sottostimato e ha visto negli ultimi anni un progressivo taglio di risorse.

La legge parla della Carta dei servizi che dovrebbe riguardare i servizi sanitari per i detenuti, ma ancora molte Asl questa Carta dei servizi non l’hanno approntata. Ci sono dei servizi che non vengono dati ai cittadini liberi, per esempio le protesi dentarie. In questo caso, quando si parla della Carta dei servizi bisognerebbe anche dire che ci sono dei casi in cui la persona detenuta ha bisogno di alcuni servizi che forse per il cittadino libero non sono così vitali, perché se uno è libero può darsi da fare, cercare le risorse. In carcere il problema delle protesi dentali sta diventando drammatico, se il detenuto non ha i soldi. I servizi riservati alle persone detenute dovrebbero tener conto delle condizioni in cui uno si trova, dell’impossibilità di lavorare che esiste in tantissime carceri e della povertà di tanti detenuti.

Credo che bisogna abbattere un pregiudizio diffuso all’esterno del carcere, e anche comprensibile, per cui in tanti ritengono che queste cose non debbano venir garantite ai cittadini detenuti, quando poi non vengono garantite ai normali cittadini liberi.

Ma i cittadini che sono fuori hanno almeno la possibilità di scegliere, mentre il detenuto no e questo vale per le protesi, per le visite specialistiche, per tutta una serie di cose, allora la Carta dei servizi dovrebbe mettere insieme queste priorità, perché ad un certo punto, specialmente in un periodo di crisi, le priorità sono fondamentali e anche le scelte che si compiono, e la scelta è che il detenuto deve avere quello per cui non può in alcun modo sostenere lui direttamente la spesa.

 

Un’altra questione che noi riteniamo sia ancora in alto mare è quella della tempestività delle cure, noi lo abbiamo visto nel caso di Graziano Scialpi, non riu­scire ad avere una risonanza magnetica con urgenza è stata una tragedia. Si può fare qualcosa affinché non succeda più che il detenuto debba aspettare mesi per una visita che può essere determinante per la sua vita? Parlo di urgenze, non parlo della visita normale per cui anche il cittadino fuori a volte aspetta dei mesi.

Qui si torna ad un nodo difficoltoso che è quello del rapporto tra le priorità del carcere, che sono condizionate dalla sicurezza nell’esecuzione della pena, e il diritto alla salute e il ruolo dell’ASL: questi due poteri non hanno avuto, per tutto il periodo della riforma ma anche e soprattutto quello della sua applicazione, una direzione politica, tu non puoi fare un decreto e poi lasciarlo lì, devi governarlo. Noi avevamo chiesto una sorta di cabina di regia tra i due poteri della giustizia e della sanità e il coordinamento delle Regioni, proprio per dare applicazione al decreto, dove tra l’altro sono previsti una serie di criteri e di modalità attraverso i quali, nel momento in cui c’è un’urgenza, si è sicuri di certi servizi, come per esempio che ci sia un’ambulanza che porta immediatamente il detenuto in ospedale.

Quindi salute e sicurezza entrano ancora spesso in collisione, in concreto l’ho visto recentemente nella storia di un bambino del nido di Rebibbia che doveva essere ricoverato, abbiamo dovuto addirittura organizzare noi le modalità per assisterlo, perché i responsabili della sanità dicevano una cosa, il carcere ne diceva un’altra, quindi se non si rivedono alcune delle norme che regolano proprio l’organizzazione interna, diventa veramente complicato garantire tempestivamente le cure necessarie, soprattutto in un momento come questo, dove i soldi sono meno e dove non riesci ad utilizzare al meglio le poche risorse, ma neanche le persone, dato che i direttori lamentano una carenza di personale del 30-40 per cento.

È chiaro che quello che non ha funzionato e non sta funzionando è il fatto che per realizzare una riforma che mette insieme due realtà come quella della Sanità e della Giustizia serviva appunto una cosa come quella che hai chiamato cabina di regia.

Sì, questa riforma doveva essere accompagnata fino alla fine del suo percorso, alla sua messa a regime. Perché con il passaggio della sanità al Sistema Sanitario Nazionale l’Amministrazione penitenziaria ha praticamente mollato tutto, ma dall’altro lato il Ministero della Salute doveva offrire tutti i suoi servizi al carcere, e anche questo per ora non succede.

 

Purtroppo ci sembra che siamo ancora lontani da uno standard accettabile, qui in Veneto in tante carceri per esempio non c’è un responsabile dell’Ussl, non si sa a chi fare riferimento per chiedere il rispetto della riforma, e poi la prevenzione non si fa, quanti sono i dipartimenti di igiene pubblica che entrano nelle carceri? E quanti vi hanno introdotto la medicina preventiva?

Sì certo se questa scelta di stabilire dei responsabili fosse stata fatta razionalmente subito tramite le Regioni nei singoli istituti, sicuramente sarebbe stata molto utile. Qualche giorno fa, quando siamo stati ad un incontro con il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, si è proprio discusso di questo. Abbiamo chiesto che ci sia questa cabina di regia, questo coordinamento, e che si riprenda a parlare della riforma. Ionta ha riconosciuto che ci sono dei problemi che vanno affrontati e risolti e che c’è bisogno di un completamento della riforma, in modo che ci sia in tutto il Paese una uniformità nella sua applicazione. Come Forum abbiamo richiesto che ci sia una verifica delle risorse, e una trattativa per poter avere anche un aumento di queste risorse, che sono rimaste le stesse di quando c’erano meno di cinquantamila detenuti, oggi ce ne sono ventimila in più ed è un disastro.

La crisi obbliga a fare delle scelte, e secondo me la salute deve essere considerata come prioritaria.

A Ionta abbiamo posto anche la questione di una formazione congiunta degli operatori, sia del carcere sia dell’Ussl.

 

C’è il rischio di trovarsi in questa situazione assurda, che non cambia niente perché spesso i medici sono gli stessi di prima, e non c’è nessuna “linfa vitale” che arrivi dall’esterno, quindi non si fanno passi avanti. Forse se fossero tutti obbligati ad una formazione sarebbe meglio, no?

È quello che stiamo tentando di fare, e pare che siamo a buon punto nell’elaborazione di un progetto che verrebbe sempre portato avanti come Forum, ma con tutte la associazioni che vi aderiscono, mantenendo questo fronte ampio, perché secondo me una delle questioni grosse che in questa fase di stallo è sempre più urgente è che le associazioni trovino quella forza che abbiamo avuto per ottenere questa riforma, per realizzarla, quindi metterci d’accordo tutti sulle modalità con cui bisogna portarla avanti, sulle misure per far fronte al sovraffollamento, sulle battaglie per avere più fondi e più personale.

Non sempre questa unità che prima c’era c’è anche adesso, io sono convinta che un passo avanti in questa direzione ci può aiutare, il progetto di formazione congiunta ci può aiutare, e l’altra cosa in cui io credo è che bisogna essere protagonisti di questa riforma anche attraverso il sistema delle autonomie locali, con al centro le Regioni, che adesso si sta cercando di sostenere come Forum, ma anche con i sindacati e le varie associazioni per avere una iniziativa nazionale forte, che affronti le questioni della salute in carcere con un progetto comune di conoscenza e di valutazione di tutta la situazione.

 

 

Intervista a Fabio Gui, segretario del Forum per la salute dei detenuti

Un carcere sano fa bene a tutti

I Forum regionali per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale hanno un senso perché gli occhi e le orecchie della riforma della sanità penitenziaria, a diversi livelli, sono i volontari, le associazioni, i sindacati, che devono tenere attentamente sotto controllo la sua applicazione

 

a cura della Redazione

 

Fabio Gui lavora all’Ufficio del Garante dei detenuti della Regione Lazio ed è segretario del Forum nazionale per il diritto alla salute delle persone private della libertà personale. Si occupa da anni di questioni riguardanti la salute dei detenuti, fin da quando associazioni, sindacati, tante realtà del Terzo settore hanno deciso di mettersi insieme per tenere sotto controllo e monitorare il passaggio della Sanità penitenziaria al Sistema Sanitario Nazionale. Lo abbiamo incontrato in redazione, per ragionare insieme sulla costituzione di Forum regionali. Un passo sempre più urgente anche nel Veneto, in un momento in cui la riforma sta in una specie di limbo, particolarmente pericoloso in una situazione pesante come quella attuale, con un sovraffollamento che moltiplica, inevitabilmente, tutti i problemi riguardanti salute, prevenzione, continuità delle cure.

 

Ci puoi raccontare perché la storia di questa riforma è stata così sofferta?

Vorrei partire dal principio che si afferma nel primo articolo della Riforma sulla sanità in carcere (DLGS 230/99). L’articolo ribadisce che i cittadini privati della libertà hanno lo stesso diritto di avere prestazioni efficaci in materia di prevenzione, diagnosi e cura. Affermazione su cui è difficile non essere d’accordo, non mi sembra una rivoluzione o un discorso particolarmente complesso. È vero però che dal 2000 questa riforma è stata fortemente osteggiata, ha avuto grosse resistenze, per diversi motivi: economici (riforma fatta a costo zero, anzi le Regioni hanno avuto pochissimi soldi, la complessa gestione del personale..) culturali e professionali (perché fuori, anche nelle Aziende sanitarie locali, non si accetta molto facilmente che ci deve essere una sanità per tutto il territorio e che il carcere fa parte di questo territorio).

Da subito poi ci è stato chiaro che si trattava di governare una riforma nata in un contesto politico che era quello del Centrosinistra (fine anni 90), e che si sta realizzando oggi in un contesto politico, sociale diverso, e in una fase di oggettiva crisi economica difficile. Insomma una riforma complessa, che è sembrata capitata all’improvviso, come se non ci fossero stati anni di sperimentazione in diverse Regioni d’Italia. Riforma resa irreversibile del DPCM del 2008.

Da quella data è iniziato un percorso a ostacoli che ci vede, come Forum nazionale, consapevoli delle difficoltà di questo periodo di transizione, ma vigili nel sostenere il diritto alla salute esistente per le persone detenute.

Come opera il Forum per la tutela della salute delle persone private della libertà personale?

Noi del Forum abbiamo ritenuto da subito di dover sostenere questa riforma, lo abbiamo fatto con iniziative politiche pubbliche aperte a tutti. A Roma per esempio già nel ‘99 ci fu un’assemblea indetta dalla Lega delle autonomie locali con la presenza di 700 persone, c’erano esponenti del terzo settore, del volontariato, delle organizzazioni sindacali, professionisti nel campo della salute. Perché questo possiamo fare come Forum, tenere alta la tensione, l’attenzione per la Riforma nelle sedi più opportune, e quindi coinvolgere i ministeri interessati, il DAP e le associazioni, cioè cercare di creare una rete di sensibilità e di cultura su questo argomento specifico.

Del carcere si parla molto quando avvengono episodi tragici, ed è giusto, ma a noi interessa far capire anche la realtà più generalizzata di un carcere, che non è sano, una delle prime cose che vorrei dire è come questa riforma abbia scoperchiato il vaso di Pandora sulla sanità in carcere.

Quello che prima sembrava funzionasse perfettamente, non era proprio così, noi avevamo un sistema a macchia di leopardo con alcune Regioni che magari avevano un approccio più efficace, in altre un’esperienza molto più negativa.

Invece il decreto disegna un sistema omogeneo, un sistema che stabilisce dei livelli nazionali di prestazioni per assicurare a TUTTE le persone detenute una adeguata tutela del diritto alla salute.

 

E qui è importante fare un’altra premessa: quale eredità, quali e quante attrezzature dedicate alla sanità (riuniti odontoiatrici, sale raggi x, attrezzature sanitarie, locali…), hanno trovato le ASL? In che condizioni erano e come sono state inventariate? che cosa ha trovato questa riforma? una situazione disastrosa, lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria dice che il 70-80% delle macchine e dei locali che si utilizzavano in carcere, non avevano i requisiti per essere a norma con le “leggi vigenti” (per esempio la 626, o sale a raggi x chiuse perché dannose anche per gli operatori ).

Oggi questa riforma attraversa una fase delicata, perché c’è il rischio che alcune Regioni più virtuose, con dei modelli organizzativi più efficienti o con una sensibilità maggiore, anche economica, possano affrontare e dare delle risposte diverse da situazione a situazione.

Ed è per questo che il Forum dal 2008 ha cercato di intraprendere una strada regionale, a questo punto il gioco si svolge nelle Regioni, la cabina di regia, le responsabilità passano alle Regioni, mentre prima il nostro interlocutore era il governo, ora il nostro interlocutore è il sistema regionale.

È per questo che da una struttura nazionale abbiamo cercato di crea­re l’occasione nelle Regioni per attivare dei Forum che in qualche modo siano il segno della società, il segno del volontariato e degli enti locali.

Forum regionali che devono essere occhi e orecchie dell’applicazione della Riforma, la voce dei detenuti e delle loro famiglie, in un meccanismo di dialogo e di confronto con le istituzioni locali per affermare e sostenere i diritti, sanciti nella riforma.

I Forum regionali hanno un senso perché gli occhi e le orecchie di questa riforma, a diversi livelli, sono i volontari, le associazioni, i sindacati, che devono in qualche modo chiedere quello che c’è scritto nel DPCM. Il DPCM alcune cose le dice, dice per esempio che ci deve essere un osservatorio regionale, quel luogo preposto a verifica di quello che succede nelle realtà penitenziarie.

 

Perché tante Regioni faticano ad assumersi la responsabilità della salute in carcere?

Questa legge è nata in un contesto politico odierno difficile, la riforma è come una cornice che rimandava all’applicazione, e alla contestualizzazione nelle realtà delle singole Regioni, e qui viene il punto dolente, l’argomento è scomodo, l’argomento è imbarazzante, molte Regioni per tirarsi indietro ne hanno fatto un discorso economico, le risorse economiche che sono transitate dal Ministero della Giustizia a quello della Salute erano insufficienti, perché erano calcolate su 40.000 detenuti, adesso siamo arrivati a 69.000.

È tutto vero, però le responsabilità ora sono delle Aziende sanitarie regionali, sta a noi chiedere alle Aziende di fare quello che bisogna fare in carcere, ma sta anche a noi spiegare che cos’è la realtà sanitaria all’interno di un carcere. Perché noi abbiamo incontrato diversi operatori regionali, che davanti a questa riforma si sono trovati impreparati, e qui c’è un secondo aspetto che mi piace sottolineare della riforma, la riforma è anche un percorso culturale, è un pensiero nuovo sulla medicina, è un pensiero che va dalla presa in carico della persona, alla continuità terapeutica per eccellenza.

Paradossalmente in carcere possono nascere approcci a una condizione sanitaria che forse fuori non si può affrontare con tanta cura e attenzione, penso a tutta l’importanza che si dovrebbe dare al nuovo giunto, o al rischio suicidario, serve proprio un approccio del sistema sanitario pubblico in vista di una autentica prevenzione.

Questo implica una conoscenza della riforma, ma anche una conoscenza delle modalità operative del Sistema Sanitario Nazionale, per cui noi assistiamo al fatto che molti medici, che prima erano nell’amministrazione penitenziaria, si trovano paradossalmente a gestire lo stesso ruolo, cambiando semplicemente la giacca o il camice, la medicina e l’organizzazione dei servizi dedicati a rispondere alle domande di salute dei detenuti e degli operatori che ci lavorano (Ser.T., DSM, prevenzione e profilassi …).

Allora c’è il rischio di cambiare tutto per non cambiare niente. Anche perché la riforma affronta in modo nuovo il nodo salute e sicurezza, precedentemente il rapporto lavorativo dei medici era incardinato in una struttura, quella penitenziaria, che è una struttura in qualche modo autoreferenziale, una struttura che privilegia la sicurezza.

Noi vogliamo invece dire che il concetto di salute è un concetto che ha pari dignità della sicurezza, quindi l’Azienda sanitaria non entra in carcere in punta di piedi, ma entra con una dignità e responsabilità, tale e quale a quella del sistema penitenziario, non è un caso che si parli di leale collaborazione fra il Ministero della Giustizia e il Ministero della Salute, questo è importante.

Oggi è giusto chiedere alle Aziende sanitarie, ma anche ai Comuni, di assumersi le loro responsabilità, ricordo soltanto che il sindaco di Montelupo Fiorentino, davanti ad una situazione di sovraffollamento dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario presente sul suo territorio, ha fatto il suo mestiere, ha detto: queste stanze, queste celle non sono agibili. Ne è nato un putiferio: come può il sindaco di Montelupo Fiorentino interfacciarsi con l’Amministrazione penitenziaria? lo può fare, perché il sindaco è il rappresentante del bene e della salute di quel territorio.

Ricordo che la prevenzione, come per le tossicodipendenze, già dal 2000 è transitata alle Regioni, teoricamente è dal 2000 che le Aziende sanitarie dovrebbero avere una mappatura dei rischi degli ambienti penitenziari.

Allora la verità è questa, che il carcere ha una sua comodità se è isolato e se è messo da parte, reso invisibile, ha una sua comodità se se ne parla in alcuni contesti, ma quando bisogna fare una presa in carico delle persone, è lì che nascono le difficoltà, che noi come Forum vogliamo in qualche modo affrontare, dicendo anche agli operatori, alla polizia, agli educatori, che un carcere sano fa bene a tutti.

 

Le Regioni spesso sanno ancora poco di Sanità penitenziaria, chi si occupa oggi di formazione del personale?

È anche per questo che abbiamo fatto un protocollo con l’Istituto nazionale per la lotta alla Povertà, insieme al professor Aldo Morrone, perché crediamo di dover sostenere la riforma anche con la formazione, anche con dei percorsi che entrano nel merito delle competenze che le Regioni devono assumersi.

Il DPCM individua alcune aree, la prevenzione, la specificità della salute delle donne, il benessere inteso non come assenza di malattia, ma come equilibrio psicofisico. Bene, crediamo che le Regioni di fatto non siano del tutto attrezzate a questo passaggio. Non è un caso che della riforma non si parla quasi più, la riforma nell’agenda dei politici è un argomento spinoso, noi siamo invece un po’ controtendenza, vogliamo parlarne, anche perché, conoscendo la realtà delle carceri, abbiamo la responsabilità civile, quando sentiamo che la vita in carcere si fa disumana, di non essere complici di chi ha provocato questa situazione, facendo leggi che stanno riempiendo le celle oltre ogni limite, ma di lavorare perché chi deve rispondere della salute dei detenuti lo faccia davvero.

È per questo che è importante partire al più presto possibile con i Forum regionali, che diano voce ai detenuti, perché sono loro i primi che devono dare dei segnali di un cambiamento, “riprendendosi” in mano la loro vita.

 

Ma come si rapporta il Forum nazionale con i Forum regionali?

Per prima cosa possiamo dire che i forum regionali costituiti sono attualmente 4: sono i Forum del Piemonte, della Toscana, del Lazio e della Campania.

Ogni Forum in ogni Regione ha una storia a sé, per esempio in Piemonte c’è stata una persona, Anna Greco, educatrice all’interno del carcere torinese, che ci ha cercato, ci ha contattato e in qualche modo, utilizzando quella rete che andava da Antigone, al Garante, al Terzo Settore, con lei e con il sostegno operativo della CGIL, abbiamo organizzato una riunione presso la Camera del lavoro regionale, da lì siamo partiti con il Forum del Piemonte. È stato il primo forum regionale ad organizzarsi.

Noi chiediamo ai Forum regionali di identificarsi in questo statuto, che sottolinea semplicemente alcuni punti-chiave, a partire dal fatto di essere apolitici, apartitici e di fare queste attività da volontari in modo del tutto gratuito, questo discorso per noi è fondamentale.

In Campania sono stati dei volontari cattolici a cercarci. Allora con la comunità di Sant’Egidio, con i cappellani, con la Garante regionale, diverse associazioni di volontariato, medici siamo partiti. Dopo la fondazione e l’applicazione dello statuto, il Forum della Campania ha organizzato una giornata di lavoro e di approfondimento regionale sull’applicazione della riforma in carcere a Secondigliano a luglio 2010. Alla presenza del Provveditore regionale, dei direttori dei carceri, di diversi consiglieri regionali, della referente dell’osservatorio Regionale, di diversi operatori sanitari, hanno fatto il punto o la fotografia dello stato d’arte del passaggio e delle diverse criticità emerse.

In Toscana a partire sono state la Fondazione Basaglia con Bruno Benigni e la Fondazione Michelucci con Alessandro Margara, con loro il Terzo Settore, e le associazioni che fanno parte delle Conferenze Regionali del Volontariato Giustizia.

Nella Regione Lazio, il Forum regionale ha sostenuto l’organizzazione di un convegno che si è svolto nella prima rotonda all’interno di Regina Coeli. Alla presenza dei detenuti, attraverso le loro domande , le istituzioni preposte (DAP, Regione, politici, sindacati…) hanno dialogato e risposto a domande dirette spesso non facili.

L’occasione del convegno era di dare voce ai detenuti e alle loro famiglie che in questa riforma sono i grandi assenti.

Stiamo inoltre lavorando per attivare forum in Umbria, Sicilia e naturalmente in Veneto.

Forum regionali che lo ripeto servono anche per porre alcune domande, prima fra tutte: come si fa a parlare di salute in un contesto di sovraffollamento? oppure per chiarire alcuni aspetti; tanto per cominciare vorremmo che le Aziende sanitarie alcune cose le chiarissero. Guardate per esempio che il DPCM spesso è stato utilizzato per far pagare le medicine ai detenuti. Sono cittadini equiparati agli altri, dicono, perciò devono pagare i farmaci in fascia “C””. Ma il DPCM dice un’altra cosa, il DPCM dice che il medico, se è consapevole dell’opportunità e dell’importanza della prestazione, la segna a carico dell’azienda sanitaria. Allora sta a noi chiedere quello che nel DPCM è scritto, quindi che i farmaci in fascia C presenti nel prontuario ospedaliero territoriale, possano essere erogati gratuitamente.

Altre questioni importanti: avviare screening sulla popolazione detenuta (monitoraggio della TBC, epatiti, HIV, salute mentale…), oppure la questione delle cure odontoiatriche. Se queste questioni non le affrontano e se nessuno glielo ricorda, questa forse è anche una nostra responsabilità.

 

C’è da essere preoccupati sullo stato della riforma o comunque le cose stanno andando nella direzione di un cambiamento anche culturale importante?

Certo se vogliamo fare il punto sullo stato della riforma della sanità, c’è da essere preoccupati, ma in qualche modo non vogliamo essere rassegnati o schiacciati da tutte queste difficoltà, che quasi fanno dire a molti operatori e a molti detenuti che si stava meglio prima.

Ma prima non si poteva parlare, sicuramente il sistema era più autoreferenziale.

Prima tante difficoltà potevano essere celate con improvvisi trasferimenti da un carcere all’altro, prima non si conosceva o non si era cercato di dare un sistema di risposta il più possibile omogeneo alla diffusione di tante malattie che in carcere ci sono, e non penso soltanto al disagio mentale che è in aumento, penso a tutta la diffusione di quelle malattie legate alla promiscuità, agli ambienti malsani, al sovraffollamento. Non è un caso che non esista un dato omogeneo, prima del 2008, sulla condizione di salute dei detenuti.

Io ritengo che il passaggio al Sistema Sanitario Nazionale, a una medicina del territorio, sia stato giusto, importante. È una tappa di civiltà, perché in qualche modo ha svelato un sistema che ha sicuramente garantito la salute, ma con dei limiti troppo pesanti.

Il Servizio Sanitario Nazionale in qualche modo è un’occasione, una chance in più per far sì che tutti capiscano questo concetto, che un carcere sano è meglio per tutti, e non si disinteressino dello stato delle galere, e di chi ci vive dentro.

Anche qui sta a noi chiedere, per la nostra parte, quello che la legge ha già scritto.

E poi ci sono delle battaglie di libertà da fare comunque, anche se siamo in questo momento una minoranza. Io credo che la battaglia per il diritto alla salute di chi è privato della libertà personale, e quindi anche della possibilità di occuparsi direttamente delle proprie condizioni di vita quotidiana, è una battaglia importante da fare, e con i Forum regionali possiamo coinvolgere tanti altri operatori che lavorano ed operano nel “sistema carcere” .