Indulto
mascherato?
O
magari indulto-insulto, o ancora legge svuotacarceri? tanta fantasia per
definire una legge, che in realtà questi effetti di svuotamento non li avrà
affatto
di
Antonio Floris
La
legge 26 novembre 2010 N° 199 “Disposizioni relative all’esecuzione presso
il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno”, comunemente
conosciuta come Legge svuota-carceri, è stata definita dal giornalista Marco
Travaglio (su Il fatto Quotidiano del 7 dicembre) come indulto mascherato, e
anche indulto-insulto per di più incostituzionale poiché in base all’art. 79
della Costituzione per amnistie e indulti occorrono 2/3 dei voti del Parlamento,
mentre qui hanno votato solo PDL e Lega.
Travaglio
aggiunge “Già i detenuti possono scontare gli ultimi tre anni di pena in
affidamento al servizio sociale, liberi, e con quest’altro anno si sposta di
fatto da tre a quattro anni il periodo di condanna che non viene scontato in
carcere”. Inoltre chi ha commesso il reato prima del 2 maggio 2006, potendo
beneficiare anche di tre anni di indulto, se ne troverà condonati altri tre,
per cui lo sconto di cui beneficerà sarà di ben 7 anni. Sintetizza infine il
suo ragionamento dicendo che sono ben pochi quelli che scontano effettivamente
tutta la pena e per finire dentro e restarci bisogna proprio fare una strage.
In
risposta al Signor Travaglio diciamo innanzitutto che sono ben pochi i detenuti
condannati per strage, visto che quasi tutte le stragi successe in Italia sono
rimaste impunite, mentre sono moltissimi quelli che non sono condannati per
strage, eppure stanno in carcere. Il numero si aggira attorno a 70.000 costretti
a vivere in condizioni degradate in spazi capaci di ospitarne neanche 44000.
In
base ai dati forniti dal DAP il numero dei detenuti che hanno residui pena
inferiori a un anno si aggira attorno ai 9600, ma non tutti però potranno
beneficiare dell’indulto-insulto, poiché ci sono tante esclusioni. Per
esempio sono esclusi tutti i condannati per i reati elencati nell’art.4 bis
dell’Ordinamento Penitenziario.
Per
chi non lo sapesse nell’art.4 bis O.P. c’è tutta una serie di reati che
sono o esclusi dai benefici penitenziari o possono accedervi con moltissime
limitazioni. Di questi Travaglio cita solo mafia, terrorismo e omicidio, ma ce
ne sono molti altri ancora. Ci sono ad esempio: eversione, riduzione e
mantenimento in schiavitù, sfruttamento della prostituzione minorile,
divulgazione di materiale pornografico minorile, tratta di persone, acquisto e
alienazione di schiavi, violenza sessuale in tutte le sue forme (singola o di
gruppo) sequestro di persona, associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti, possesso di ingenti quantità di droga, iniziative
turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, rapina
aggravata, estorsione aggravata, contrabbando, associazione a delinquere, atti
sessuali con minorenni.
Oltre
a quelli che sono stati condannati per taluno di questi reati sono esclusi da
quello che Travaglio chiama l’indulto–insulto anche tutti coloro che sono
stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Sono
esclusi ancora tutti quelli per i quali c’è il concreto pericolo di fuga o di
reiterazione del reato.
Sono
esclusi inoltre tutti quelli che, pur non avendo reati da 4 bis, né essendo
delinquenti abituali o professionali, non hanno dimora, o i familiari non sono
disposti ad accoglierli perché, è bene saperlo, per poter andare agli arresti
domiciliari è indispensabile il consenso dei familiari.
Considerando
tutte le esclusioni del 4 bis, i delinquenti abituali e professionali, tutti
quelli dei quali il magistrato non si fida perché potrebbero scappare e
commettere altri reati, e quelli che non hanno dimora, il numero di quelli che
andranno in detenzione domiciliare si ridurrà probabilmente a non più di
2000-2500 detenuti sparsi in tutt’Italia. Basti pensare che su un totale di
9600 possibili beneficiari del provvedimento intorno alla metà sono stranieri,
e la stragrande maggioranza di loro non ha un posto dove andare.
A
conti fatti quindi non ci sarà una marea di scarcerazioni e la temuta invasione
da parte di feroci delinquenti è piuttosto frutto di fantasia, visto anche che
tutti questi delinquenti non andranno a scorrazzare per le strade facendo
violenze o rapinando onesti commercianti: sconteranno il loro residuo di pena
chiusi in casa.
Il
pericolo semmai sarà quando queste persone avranno espiato del tutto la loro
pena e potranno veramente andare dove vogliono Teniamo presente che 12 mesi
passano in fretta e non tutti quelli che usciranno hanno residui di 12 mesi, ma
ce ne saranno moltissimi che hanno un residuo di appena qualche mese o di
qualche giorno e quindi, indulto mascherato o no, usciranno lo stesso. Ma
usciranno uguali a quando sono entrati, se non peggio, perché il carcere non ha
attuato nei loro confronti il trattamento rieducativo dovuto. Questo è il vero
problema.
Per
tornare ai calcoli fatti dal Signor Travaglio, dove dice che ai tre anni di
affidamento si deve sommare quest’altra misura della detenzione domiciliare,
facendo salire il totale di anni di pena “non scontati” a quattro, c’è da
dire che per quelli che si trovano in affidamento non è previsto di scontare
l’ultimo anno agli arresti domiciliari. La somma non si può fare perché una
cosa esclude l’altra!
E
per quanto riguarda l’indulto del 2006, dal 2006 a oggi sono passati già 4
anni e mezzo, e chi avesse beneficiato dei tre anni di quell’indulto e si
trovasse ancora in carcere avrebbe sicuramente preso una condanna minimo di 7
anni e solitamente condanne di quella portata si danno solo per reati da 4 bis,
che, come detto, sono esclusi dal provvedimento.
La
detenzione domiciliare non è la libertà
di
Mirko Tripodo
Alle
persone che non hanno mai avuto a che fare con il carcere sentir parlare della
possibilità di espiare parte della pena agli arresti domiciliari, a casa
propria, potrebbe dare l’impressione di qualcosa che sia come la libertà. No!
La detenzione domiciliare è senz’altro preferibile alla galera, ma io che ho
vissuto questa esperienza posso garantire che non si tratta affatto di libertà.
Certo quando vengono concessi gli arresti domiciliari a qualche miliardario
nella sua lussuosa villa in Sardegna, lui sicuramente se la passa meglio. Per
me, tuttavia, è stata galera anche quella. Anzi, forse più subdola… Senza
dubbio è meglio tornare a casa con la propria famiglia, ma dopo aver passato 13
mesi agli arresti domiciliari non sono più tanto convinto che questa sia una
delle migliori soluzioni alternative al carcere. Si vive una situazione di
disagio notevole, perché proprio il vivere chiuso in casa ti
“sovradimensiona” i problemi che si vivono normalmente nella vita quotidiana
e, per il 90% dei casi, anche i problemi più banali possono diventare enormi e
difficili da affrontare. Prima di tutto, per i miei arresti domiciliari, la mia
famiglia ha dovuto subire delle pesanti limitazioni nelle relazioni con amici e
parenti. Dal mio punto di vista anche le umiliazioni, del tipo che nel bel mezzo
della notte gli agenti incaricati di verificare se sei in casa, ti entrano a
guardare nelle stanze dei figli che dormono per controllare l’eventuale
presenza di persone che non siano tuoi famigliari. Non puoi invitare nessuno a
casa, neanche un parente, perché il giudice non lo consente, neanche una
amichetta delle figlie o una vicina per un semplice caffè con tua moglie. La
notte non riesci a dormire perche hai sempre la preoccupazione di non sentire il
citofono, come è successo a me. Dopo un temporale si è guastato senza che
nessuno in casa se ne accorgesse, e solo per puro caso, uscendo fuori sul
balcone, ho visto dieci agenti di polizia che già avevano allertato la questura
per una mia probabile fuga. Se non avessi avuto la fortuna di farmi vedere al
balcone, mi avrebbero rinchiuso probabilmente con un’accusa di evasione, e non
avrei più potuto usufruire di altri benefici in futuro. Tutte queste cose, che
possono sembrare anche un po’ banali, con il passare del tempo mi hanno
portato ad uno sfinimento mentale, a tal punto che, per non danneggiare la mia
famiglia, ho chiesto di tornare in carcere, cosa che poi è avvenuta. Ora certo
sto male, posso vedere i miei figli solo una volta alla settimana, ma almeno so
che non li costringo a subire tutti i giorni delle piccole umiliazioni. Sono
convinto perciò che non si debba far credere che la detenzione domiciliare sia
facile da vivere, si tratta di un beneficio che comunque non regala la libertà.
Travaglio,
il ragioniere della galera che non sa fare i conti
E
infatti conta gli anni a modo suo, facendo affermazioni che non ottengono altro
se non di aumentare la sfiducia dei cittadini nella giustizia, anche per colpe
che non ha
di
Elton Kalica
Ho
appena finito di leggere un articolo di Patrizio Gonnella, presidente
dell’associazione Antigone, pubblicato sul Fatto quotidiano, seguito da una
risposta di Travaglio. Nel sottofondo c’era il Tg7, e ora è iniziato
l’approfondimento di Lilly Gruber, che ha in collegamento il sindaco di
Firenze Renzi e il giornalista Travaglio. Una curiosa abbinata, penso: in un
angolo c’è uno che rappresenta un po’ l’uomo che molti trentenni
vorrebbero essere: sveglio nelle risposte, informato, e dall’aspetto talmente
rassicurante che gli hanno affidato le chiavi di una bellissima città; mentre
dall’altro lato, un giornalista che, anche se di grande cultura, con il suo
cinismo e quell’aria apatica, è esattamente l’opposto del giovane sindaco.
Tra
l’altro, ho visto da poco una puntata di Anno Zero in cui si parlava dei
rapporti che la ‘Ndrangheta ha costruito con imprenditori, professionisti e
politici, anche leghisti: un buon servizio di informazione fatto agli italiani
che finalmente vedono quello che molti sapevano già, e cioè che per quasi
vent’anni i politici della Lega hanno accusato i terroni e gli immigrati di
essere brutti, sporchi e cattivi, promettendo legalità, ordine e disciplina,
mentre nella vita di tutti i giorni si comportavano anche loro con tutti i
limiti e le contraddizioni che li distinguono: una classe di imprenditori e
commercianti che, come tale, deve rapportarsi con tutti gli attori economici,
tra i quali anche tutte quelle congregazioni, dai mafiosi ai massoni, che hanno
come obiettivo la massimizzazione del profitto. Solo che verso la fine, c’è
stato il solito monologo di Travaglio che, come sempre, ha voluto sparare a
zero, questa volta, contro quella legge che la Repubblica aveva forse per prima
chiamato “legge svuotacarceri”. Ma smetto per un attimo di ripensare
all’Anno zero perché dallo schermo del televisore sento che, in seguito ad
una affermazione del sindaco di Firenze sulla necessità di avere dei sogni, la
Gruber chiede il parere di Travaglio che risponde: “... i sogni non servono,
la politica di chi fa sognare, del leader carismatico, è finta”.
Di
fronte ad una simile affermazione mi sento confuso. Dato che non è uno di quei
giornalisti contenti di stare dalla parte dei ricchi, mi domando, un giornalista
che denuncia tutto e tutti, se non è spinto dal sogno di riuscire a cambiare le
cose, allora da che cosa è portato a farlo? Certo, si parlava dei sogni nella
politica, ma un giornalista, che secondo me dovrebbe comunque essere un
sognatore per definizione, non può non riconoscere che, non solo in America ma
in tutto il mondo, vedere un nero diventare presidente del Paese che è sempre
stato dei bianchi, è stato la realizzazione di un sogno, soprattutto politico.
E
mi dispiace che una persona di cultura non riesca ad avere quel po’ di
intelligenza che serve per fermarsi a riflettere sulla complessità delle cose e
non dare risposte uguali, nei toni e nei contenuti, a quelle di certi politici
del nord abituati ad affrontare i problemi del Paese come se fossero i problemi
di una osteria padana, senza sforzarsi di ragionare o approfondire, ma con
azioni d’istinto, mossi da quella superficialità e continua semplificazione
della realtà che li rende spesso brutali.
L’articolo
di Gonnella che ho appena letto è una risposta, basata su dati e conoscenze
approfondite del sistema carcerario, ad un precedente articolo di Travaglio che
denunciava la legge sulla detenzione domiciliare definendola un indulto
mascherato. Aveva risposto bene il Presidente di Antigone, spiegandogli che
questa legge “non è un indulto, ma un inefficace, provvisorio e emergenziale
atto di consapevolezza della tragedia in cui versano le prigioni italiane”.
Un
concetto forse inaccettabile da un Travaglio che, ripensando ad Anno Zero, aveva
infarcito il suo monologo di affermazioni talmente forcaiole, che perfino
Castelli era rimasto sbalordito al punto da accusarlo di essere diventato più
forcaiolo dei leghisti stessi. Certo però che, visto attraverso il teleschermo,
tra Castelli e Travaglio, il mondo sembra sempre più nero. E per chi come me
vive le galere da dentro, è davvero triste vedere come giornalisti che si
dichiarano nemici dei potenti, hanno lo stesso atteggiamento intransigente anche
con i più impotenti di questo Paese, che sono tutti quei tossicodipendenti e
quegli immigrati che costituiscono i due terzi della popolazione detenuta.
Mentre oggi, non solo noi, ma tutti gli ultimi di questo Paese hanno bisogno di
politici e di giornalisti che abbiano la capacità di dimostrare un po’ di
umanità e di intelligenza quando devono fare le leggi, e anche quando le leggi
le criticano.
Evitare
di definire “svuotacarceri” una legge che non farà uscire libero nessuno
Intanto
c’è da stabilire che con questa legge nessuno uscirà libero, ma verrà data
la possibilità a pochi di scontare l’ultimo anno in detenzione domiciliare,
per fare un po’ di spazio ai settantamila detenuti che oggi vivono in
condizioni disumane. Inoltre, sappiamo che non saranno poi tanti i posti che si
libereranno, perché abbiamo calcolato che qui al carcere di Padova, a fronte di
circa 850 detenuti presenti, sono 55 i detenuti italiani con meno di un anno da
fare. Sono di più gli stranieri, solo che molti di loro non hanno un domicilio,
e quindi è probabile che saranno in pochi a chiedere questa misura. C’è da
dire poi che, anche per gli italiani, il numero potrebbe restringersi
ulteriormente, dato che la legge ha escluso i condannati per reati gravi che
vanno dalla rapina allo spaccio di stupefacenti in grosse quantità,
all’omicidio, al sequestro di persona, all’associazione mafiosa; così come
sono stati esclusi anche coloro che hanno avuto in condanna alcune aggravanti,
come essere dichiarati delinquenti abituali. Insomma, una legge che ha
selezionato fin troppo chi mandare in detenzione domiciliare.
Ma
cosa significa detenzione domiciliare? Nella mia sezione c’è uno che si
rifiuta di andarci perché non vuole causare alla propria madre tutte quelle
umiliazioni che possono farti subire le pattuglie di poliziotti che suonano al
citofono per verificare la tua presenza in casa. Ma detenzione domiciliare
significa anche avere appesa sulla testa la spada di Damocle dell’evasione,
nel senso che, quando si è costretti a stare in casa per 24 ore al giorno per 7
giorni a settimana, la tentazione di varcare il portone è sempre grande. Solo
che, se lo fai, oltre all’immediato arresto, ti può costare fino a tre anni
di carcere, anche se stavi portando fuori il cane. Pertanto, ci auguriamo di non
vedere altri giornalisti o politici che, pur di dare contro a questo governo più
leghista che liberista, criticano una legge che va, anche se in modo
ridicolmente timido, nella stessa direzione indicata dagli organismi europei,
che è quella dell’ampliamento delle misure alternative e di un uso della
galera solo per i reati gravi.
Una
informazione che alimenta il senso di impunità nei giovani
Potrei
elencare parecchi motivi per cui questa legge non è del tutto inutile, anche se
penso che, in una situazione in cui le carceri esplodono, avrebbero dovuto
essere più coraggiosi ed estendere questa misura a tutti i detenuti, e non solo
a quelli coi reati più lievi, che di solito sono anche quelli che gli ultimi
anni non li fanno in cella, ma in misure alternative, come la semilibertà. Ma
nel frattempo, dal televisore arriva una voce che descrive il giornalista
Travaglio come un modello da far studiare ai nuovi giornalisti per insegnargli
quanto tempo va dedicato alla ricerca, alla documentazione,
all’approfondimento della notizia. Forse ormai sono troppo condizionato, però,
ogni volta che parla di galera e di certezza della pena, mi accorgo che
Travaglio non si documenta affatto, come sicuramente non si è documentato sulla
detenzione domiciliare, e non tiene conto di come questa misura sia usata in
tutti quei Paesi europei che spesso si prendono da esempio di buona
amministrazione della giustizia.
Questa
mancanza di conoscenza emerge anche ogni volta che Travaglio fa i conti degli
anni che un condannato dovrebbe passare dentro, e quelli che passerebbe fuori
dal carcere. La sua denuncia ricorrente è che la certezza della pena in Italia
non esiste, e per dimostrare questo, il ragioniere della galera conta gli anni a
modo suo, facendo affermazioni che altro non ottengono se non di suscitare la
sfiducia dei cittadini nella giustizia.
Travaglio
non è l’unico che spara a zero contro i giudici. Sono quindici anni che si
sente parlare di magistrati che fanno uscire gli stupratori, i mostri, i
terroristi, di giudici comunisti che invece dei criminali si occupano di
politica, di una giustizia troppo buonista e permissiva. Solo che io, che la
galera me la sto facendo fino all’ultimo giorno, mi accorgo non solo di quanto
siano sbagliati i suoi conti, ma di quanto siano pericolosi. E vedo come
l’effetto diretto di questa interminabile campagna di disinformazione è stato
quello di alimentare il senso di impunità non dei criminali, che la legge la
conoscono bene, ma dei giovani, italiani e non, che iniziano percorsi
delinquenziali convinti che, appunto, in carcere non ci finisce nessuno; mentre
poi li vedo arrivare qui, shoccati e sorpresi, perché alla fine i processi si
concludono, e l’esecuzione della pena è assolutamente certa.
Ecco
perché mi domando che bisogno ha un giornalista così bravo di unirsi al coro
di quelli che infangano la giustizia invocando una certezza della pena tutta
sua. Che bisogno c’era che un giornalista che si dice così informato, ad Anno
zero, si mettesse a fare a gara con Castelli su chi è più forcaiolo, mentre
sullo sfondo un pubblico ignorante accoglieva con applausi e cori da stadio il
messaggio conclusivo di Travaglio, che chiedeva quando sarebbero state costruite
le nuove carceri. Certo che si potrebbe dire che è iniziata una nuova era,
quella dei giornalisti carismatici, che incitano le folle nel modo più
primitivo: invocando più galera. Ma è davvero questo il modo migliore di fare
informazione?
Una
legge che nasconde un pericolo
Evasione
dalla detenzione domiciliare: è paradossale che si aumentino le pene per una
presunta emergenza e, finita l’emergenza, non finiscano anche gli aggravi di
pena
di
Bruno Turci
Succede
che il 16 dicembre 2010 è entrata in vigore la legge che noi carcerati stavamo
aspettando come una boccata d’aria per poter realizzare la speranza di vivere
il carcere nel rispetto della dignità umana, dopo tante morti per suicidio,
dopo tanti disastri nella sanità malata della galera. Tutte chiacchiere! In
effetti lo scopo della legge doveva essere funzionale alla vivibilità delle
carceri, per cui, considerando che un buon numero di detenuti (quasi diecimila)
ha da scontare un residuo pena inferiore ad un anno, avrebbero dovuto mandarli
tutti a scontare la pena rimanente a casa loro in detenzione domiciliare.
Riducendo in tal modo di migliaia di unità le presenze in galera e ponendo un
freno alla tragedia del sovraffollamento. Naturalmente il partito della
“sicurezza uguale voti” ha subito alzato le barricate e ovviamente per far
accettare quella legge sono stati limati i requisiti e, lima oggi ... lima
domani, i requisiti si sono ristretti al punto che i possibili fruitori della
legge non saranno molti di più di duemila! E una legge inutile non è mai una
buona legge.
Si
pensi che gli equilibrismi attuati per mettere d’accordo tutta la maggioranza
hanno portato anche ad aumentare in maniera esagerata le pene per coloro che
infrangeranno le prescrizioni, allontanandosi dal luogo della detenzione
domiciliare. Infatti nella legge sono state introdotte delle norme che
modificano il Codice penale, e riguardano alcuni aumenti di pena volti a
scoraggiare i beneficiari della legge dall’approfittare dell’emergenza per
commettere infrazioni.
La
pena per l’evasione semplice prevedeva fino ad oggi una condanna da 6 mesi ad
1 anno ed è aumentata da 1 a 3 anni. La pena per l’evasione commessa mediante
violenza, minaccia o effrazione, da 1 a 3 anni, è stata aumentata, da 2 a 5
anni. Se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone, la pena,
che prima era da 3 a 5 anni, ora è da 3 a 6 anni.
L’applicazione
della legge è valida dal 16 dicembre 2010 fino al 31 dicembre 2013, cioè per
il tempo che il governo ritiene necessario perché l’emergenza del
sovraffollamento sia risolta con l’attuazione del piano carceri, restano però
le pene aumentate per l’evasione. Quello che sconcerta è che nessuno si sia
domandato se questo potrebbe essere motivo di un ricorso alla Corte
Costituzionale per un vizio di legittimità costituzionale. Se infatti viene
instaurata una norma emergenziale, allorché l’emergenza scade, vengono meno
tutti gli atti che hanno costituito la norma. Mentre questo aumento delle pene
per evasione resterà tale anche dopo che sarà passata l’emergenza.
Attenzione, questa è un’abitudine diffusa e radicata da tempo nel nostro
Paese e riguarda diverse stagioni che hanno vissuto emergenze di vario tipo, a
partire dalle emergenze del terrorismo: ogniqualvolta infatti viene registrato
un aumento di reati della stessa tipologia, caratterizzati da campagne di stampa
che li fanno apparire di particolare allarme sociale, la soluzione più facile
sembra stia nell’inasprimento delle pene. A me pare che sia paradossale che si
aumentino le pene per un’emergenza e, finita l’emergenza, rimangano
inalterati gli aggravi di pena.
Nel
testo della legge poi è scritto che se qualcuno si allontana dal domicilio o si
allontana dal luogo di lavoro o si allontana dal luogo in cui è autorizzato a
pranzare… verrà punito con una pena prevista ai sensi dell’art. 385 del
Codice penale che configura la normativa del reato di evasione. Quindi uno
rischia anni di pena se non sente il campanello, o perché è sotto la doccia, o
perché il campanello è guasto. Oppure se si addormenta e non si accorge che
qualcuno chiama per i controlli della Polizia.
È una legge che non credo serva allo scopo per cui era stata approntata. Chi non ne ha (di coraggio)