Immigrato vuol dire delinquente?

Una discussione in redazione sul concetto di responsabilità, dove abbiamo voluto abolire qualsiasi vittimismo per spiegare con franchezza, agli studenti delle scuole che incontriamo ogni giorno, da dove arrivano tanti ragazzi immigrati, che famiglie hanno, come finiscono in carcere

 

a cura della Redazione

 

“Detenuti stranieri” oggi equivale a dire persone a cui viene negato anche il diritto di sperare. La situazione è davvero molto più che drammatica, è l’assenza di qualsiasi prospettiva, la mancanza del conforto degli affetti, l’incertezza più totale, di fronte a notizie sempre più “nere” che arrivano dal mondo esterno. Eppure in redazione abbiamo voluto ugualmente discutere della condizione di migranti, dei reati, delle responsabilità, senza indulgere in facili vittimismi: è una discussione importante perché ci aiuta a capire, e a spiegare ai ragazzi delle scuole che incontriamo ogni giorno, da dove arrivano tanti ragazzi immigrati, che famiglie hanno, come finiscono in carcere.

 

Ornella Favero: Parliamo allora delle cause per le quali tanti immigrati finiscono in carcere. Vorrei capire qual è il passaggio tra il darsi da fare per sopravvivere e il decidere di commettere reati, e in particolare se sono tentati di entrare in questa logica della vita più “facile” attraverso l’illegalità tutti, anche quelli che hanno il permesso di soggiorno e un lavoro, magari faticoso e poco gratificante, ma ce l’hanno. Perché se noi vogliamo parlare di immigrazione e cercare di ragionare fuori con la gente, non è che possiamo dirgli solo “ogni storia è soggettiva”, dobbiamo anche cercare di ragionare, dentro a un fenomeno così massiccio come l’immigrazione, su quali sono le componenti di rischio.

Gentian G.: Io mi sono domandato perché si fa questa scelta di commettere reati, quando si ha il permesso di soggiorno e si ha tutto, anche la casa. Credo che succeda perché, quando si frequenta un determinato tipo di persona, o ci caschi e gli vai dietro, oppure devi smettere di frequentarla, devi essere molto deciso.

Ornella Favero: Insomma se io frequento qualcuno e scopro che è dentro un traffico di droga, non lo frequento più anche se è il mio migliore amico!

Gentian G.: Ma questo richiede una grande forza di volontà, significa girare le spalle ad una persona con cui magari sei cresciuto insieme in Albania, poi la incontri qui e scopri che fa un’altra cosa, tu non puoi dirgli di andarsene, questo per la nostra cultura è difficile. Sono un po’ i nostri principi famigliari in discussione, e i doveri parentali che l’immigrazione accentua: se mio cugino arriva da me, ed io non vado a Bari ad aspettarlo e non lo ospito a casa mia finché non si sistema, in Albania succede il finimondo, cioè: questo è arrivato e non lo hai aiutato? E anche se non ha trovato lavoro per due o tre mesi, io l’ho dovuto tenere a casa mia, dargli da mangiare, i vestiti. É così, sarà anche assurda questa mentalità, ma è così.

Marco Libietti: Nella mia sezione vivo in un microcosmo, ci sono se non sbaglio 10/11 tra marocchini e tunisini, io sono in cella con un marocchino ed ho verificato che in parecchi sono regolari, con il permesso di soggiorno da anni, tutti lavoravano regolarmente, ma spacciavano di sera per un motivo molto semplice: volevano fare i soldi. Questo me l’hanno raccontato loro, non me lo sono inventato io. Uno di loro prendeva 2.000 euro al mese facendo il lattoniere, lavorava 4 giorni alla settimana e mi diceva che non gli bastavano i soldi, viveva in mezzo a determinate persone, voleva permettersi dei lussi, e quando cominciano a non bastarti 2.000 euro al mese già c’è qualcosa che non funziona.

Il ragazzo in cella con me sono 14 anni che è in Italia, ha lavorato regolarmente fino all’ultimo giorno ed è stato preso tre volte per spaccio, l’ultima volta si è beccato sei anni e mezzo. Il fatto è che c’è una mancanza di forza di volontà nel fare uno sforzo ad alzarsi regolarmente tutte le mattine alle sei e non riuscire a vedere qualcosa in più.

Tutti dicono la stessa cosa: “Alla fine noi volevamo fare soldi, non ci bastava questo lavoro e vedevamo chi stava meglio, quell’altro che viaggiava sempre con belle macchine”. E non volendo fare altri sacrifici, mangiare solamente in casa e non andar fuori mai, alcuni si son messi a spacciare.

Milan Grgic: Io ho visto tanta gente onesta che lavora a cui fan gola i soldi, e a chi di noi non piacciono? Io considero naturale che uno cerchi più soldi, poi se sono “facili” ancora meglio, sarebbe una bugia dire che mi fanno schifo i soldi facili. Io ho misurato il mio rischio, è andata male perché ho preso il doppio degli anni di galera che pensavo di prendere.

Maher Gdoura: Il discorso dei soldi è vero, a tutti piace girare con le macchine belle, le moto, i giubbotti costosi, però una cosa mi fa riflettere. Siamo più o meno quasi tutti giovani e a 17, 18 anni eravamo già immigrati, uno a questa età non è consapevole di quello che sta facendo, delle conseguenze, non sa esattamente dove lo può portare questo suo comportamento, guadagna dei soldi e la fa franca per un po’ di tempo, poi però gli arriva il conto da pagare tutto assieme, magari avrebbe potuto fare un passo indietro se avesse saputo meglio i rischi che correva.

Marino Occhipinti: Adesso io non so se i tunisini e i marocchini partano tutti con l’intenzione di fare reati, ma non credo neanche che partano tutti con l’intenzione assoluta di lavorare, quindi già abbiamo tagliato a metà. Secondo te a 17/18 anni se vai a spacciare in via Anelli lo sai quello che rischi oppure perché hai 17 anni non lo sai? magari a 17 anni forse ti senti un po’ un eroe e quindi sicuramente non dai al rischio il peso che gli daresti a 30 anni, quando magari hai dei figli.

Ovvio che le valutazioni e la maturità sono cose diverse, però non possiamo neanche dire, davanti a degli studenti di 17/18 anni, che a quell’età non sappiamo quello che facciamo, attenzione che ci facciamo ridere dietro.

Elvin Pupi: A 18 anni sanno bene quello che fanno, però si credono furbi, pensano di farcela. Invece volevo aggiungere qualcosa sul discorso di Gentian, sono d’accordo con quello che ha detto lui, sono molti gli immigrati coinvolti nello spaccio che non si rendevano conto che, anche se non tocchi la droga, ma ospiti uno che traffica, finisci in carcere ugualmente. Poi qui in Italia, se uno è albanese, anche se fa solo una telefonata o ha un legame con spacciatori, rischia di essere arrestato.

Dritan Iberisha: Uno se vuole spacciare spaccia per sua volontà, non è che è obbligato a commettere un reato per vivere. Voglio dire che tanti di noi hanno scelto di seguire la strada più corta, da noi c’è un detto popolare che dice “prendi la strada più lunga che arrivi prima”. Noi invece abbiamo preso la strada più corta, facciamoci la galera per quello che abbiamo fatto e basta, senza lamentarci. Ora dobbiamo pensare a come possiamo recuperare, come possiamo insegnare ai figli, ai nipoti che sono cose che non si fanno, che non è questa la vita.

Ornella Favero: Da tutti questi ragionamenti viene fuori che ci vuole onestà nell’affrontare il problema. È inutile andare a raccontare che tutti voi siete immigrati perché stavate male nel vostro Paese, questo discorso regge per certi, ma per altre situazioni non regge.

Marzio Barbagli, nel suo libro “Immigrazione e criminalità in Italia”, parla di teorie con le quali i sociologi analizzano il comportamento deviante degli immigrati, una è la “teoria della tensione e della privazione relativa”, così descritta: “Se una persona commette reati, se ruba rapina od uccide, è perché è spinta a farlo da un’intensa frustrazione provocata dallo squilibrio esistente fra la struttura culturale che definisce le mete verso le quali tendere, i mezzi con i quali raggiungerle, e la struttura sociale costituita dalla distribuzione effettiva delle opportunità necessarie per arrivare a tali mete con quei mezzi. Cioè più semplicemente questo si verifica ad esempio nelle società occidentali che prescrivono a tutti il raggiungimento del successo economico attraverso il lavoro, il risparmio, l’istruzione, l’onestà che sono i mezzi legali; ciascuno, a qualsiasi classe sociale appartenga, viene spinto dalla famiglia, dalla scuola dai mezzi di comunicazione di massa a raggiungere questa meta. Ma di fatto le persone delle classi sociali svantaggiate non ci riescono, così alcuni di questi aderiscono alle mete, ma rifiutano i mezzi previsti per raggiungerle, cercando di arrivare al successo economico per altre vie, imbrogliando, rubando, rapinando gli altri”.

Va bene, lo vediamo che in tanti vengono qui spinti da un comprensibile desiderio di arricchirsi, questo è sempre stato un motore nella storia delle imigrazioni, il problema è: primo, avere l’onestà intellettuale di affrontare la situazione come sta, cioè senza cercare delle difese nella povertà, che non sempre reggono. Secondo, siccome in questi giorni nel nostro Paese è in corso un dibattito sulla questione “sicurezza e immigrati”, dobbiamo anche noi provare a immaginare delle politiche rispetto all’immigrazione e alla sicurezza, quindi ai reati e all’immigrazione, che non siano semplicemente punitive, ma che in qualche modo però rispondano anche al naturale bisogno di sicurezza che c’è nella società. Questo è un nodo non facile, perché anche il ragionamento “ma guarda che gli immigrati in regola delinquono molto meno degli italiani” abbiamo visto che regge e non regge. In una situazione così complessa non è semplice individuare delle strade che non siano semplicemente punitive, oppure basarsi sulle semplificazioni per le quali l’immigrato va bene solo se è una macchina da lavoro e da fatica. Ma se foste dei politici, cosa proporreste per prevenire la commissione di reati da parte degli immigrati?

Daniele Barosco: Secondo il mio punto di vista passa tutto attraverso la conoscenza della lingua e la scuola, mi pare che le esperienze di Austria e Germania vadano in questo senso, praticamente sia i ragazzi che i genitori sono coinvolti in progetti formativi, quindi non si ragiona prevalentemente sulla punizione o sull’emarginazione, ma sul dover cogliere l’opportunità, sia da parte dell’immigrato che dei Paesi ospitanti. Per loro sono nuovi tedeschi o austriaci, non sono immigrati di origine magrebina, africana o asiatica. Guardiamo il modo di affrontare i problemi: per esempio negli Stati dove ci sono molti turchi, il flusso dell’eroina era gestito al 99 per cento da loro, e quindi cosa hanno fatto l’Austria e la Germania per cercare di ridurre questo flusso? Invece di tenere gli immigrati in comunità chiuse come quella cinese in Italia, hanno cercato di interagire partendo soprattutto dai bambini, invece di metterci 5 anni ce ne hanno messi probabilmente 25, però dopo hanno ridotto enormemente il fenomeno del traffico di eroina. Una cosa riuscita secondo me è questo tipo di politica che punta all’integrazione sulla base della scuola e della conoscenza della lingua e poi ruota attorno non all’individuo, ma alla famiglia.

Elton Kalica: Io credo che sperare di riuscire a trovare un linguaggio adeguato e delle risposte plausibili, per affrontare con gli studenti questo problema degli immigrati che commettono reati, sia una cosa difficilissima.

Certo non si può rispondere con due parole a questa domanda: “Perché gli immigrati delinquono quando vengono qui?”. Dire che lo fanno solo per i soldi secondo me è scorretto. Se i nostri compagni detenuti italiani pretendono che noi abbiamo l’onestà di dire le cose come stanno, tutti i detenuti italiani devono avere l’onestà di dire a loro volta le cose come stanno, perché io credo che i motivi del perché si spaccia, si rapina, si sequestra, sono una delle poche cose che ci accomunano, oltre che la galera.

Innanzitutto bisogna distinguere tra gli stranieri che vengono qui e si avviano subito ad attività illegali, e quelli che vengono qui, si regolarizzano, lavorano onestamente per un lungo periodo, e poi, ad un certo punto decidono di delinquere. Tra questi c’è anche chi viene qui per studiare, come ho fatto io e molti altri, ma poi non riesce a sottrarsi al vortice della “bella vita” in cui tutto diventa lecito.

Trovo ingiusto considerare gli stranieri che lavorano, che si inseriscono, ma che poi decidono di delinquere come i peggiori perché hanno fatto una scelta. Il discorso va approfondito innanzitutto perché lo status di lavoratore non è che ti regala automaticamente una vita giusta e soddisfacente, che ti permetta di guardare al futuro con ottimismo. Ma anche chi lavora da anni, a volte è tentato. Io ho visto qui dentro arrivare una persona che fuori lavorava, finché, a un certo punto il datore di lavoro stesso gli ha detto: “Se vai in Albania a prendere 2 kg di eroina e me li porti io li vendo, siamo qui in azienda e nessuno viene a sapere niente, così puoi guadagnare 5 mila euro per ogni chilo che mi porti”. Questo era uno giovane, incensurato, e aveva lavorato in quella impresa per cinque anni. Però, forse in quei cinque anni di cantiere aveva idealizzato il padrone, che evidentemente non era tanto santo. Quello che voglio dire è che, se diciamo che la vita è complessa e i reati subentrano nella vita per mille ragioni, allora perché questa teoria per gli stranieri non deve esserci?