Donne dentro

 

Intervista alla responsabile della cooperativa Officina creativa, Luciana Delle Donne

Un progetto per “raddrizzare le cuciture storte delle nostre vite”

Nella Casa circondariale di Lecce opera la cooperativa Officina creativa, che si occupa di attività sartoriali, offrendo una possibilità lavorativa a diverse detenute attraverso la realizzazione di oggetti molto particolari, che nascono dall’utilizzo degli scarti

 

intervista a cura di Vanni Lonardi

 

Officina creativa è la cooperativa che ha dato vita al marchio Made in carcere, la cui ambizione è quella di “far diventare la busta di tessuto (Shopper bag) un simbolo ed una testimonianza della possibilità di creare sviluppo sostenibile, risparmiando il consumo della plastica a vantaggio del riciclo dei materiali di scarto o dei futuri rifiuti”. Scopo principale di Made in carcere è quello di “diffondere la teoria della seconda opportunità, nello specifico:una doppia vita a tessuti ed oggetti ed un’altra chance alle detenute” in questo caso, della Casa circondariale Borgo San Nicola di Lecce. Ne abbiamo parlato con Luciana Delle Donne, appassionata responsabile dell’iniziativa.

 

Ci può dire come è nato il progetto e quali sono gli obiettivi che vi siete prefissi?

Il progetto è nato dall’esigenza di ripensare i soliti schemi di business, proponendo così un nuovo modello di sviluppo sostenibile e cioè: stare sul mercato e nella società, in maniera responsabile, fornendo valore aggiunto per la comunità. Il desiderio è quello di diffondere un nuovo stile di vita ed una nuova filosofia della seconda opportunità, nello specifico una doppia vita a tessuti ed oggetti ed un’altra chance alle detenute. Il riutilizzo del materiale è in realtà un messaggio molto più ampio che desidero trasmettere: serve per promuovere un nuovo modello di comportamento dimostrando che la filosofia della “decrescita serena” si può realizzare con successo proprio attraverso il ripensamento dell’utilizzo degli scarti. Infatti, oltre ad acquisire la capacità di riciclare ciò che gli altri buttano, realizziamo delle borse bellissime e le detenute si identificano nei tessuti e così rivivono una seconda vita e, attraverso le borse, potremmo dire che “evadono”…

 

Quali sono esattamente i tipi di prodotti che create?

Made in carcere, durante il suo “viaggio libero” per il mondo, è approdato in diverse città e ha partecipato a diversi eventi. Made in carcere si occupa di creare prodotti che siano utili alla vita quotidiana donando un tocco di colore e di originalità nel grigiore e nelle giornate più buie della vita, ma si occupa anche di fashion e design attraverso borse bellissime e “Unike per scelta”. L’emblema di questo nuovo marchio sono le Shopper Bags, borsette multicolor utilizzate prima per contenere i documenti di un seminario, un convegno, un evento eccetera, per poi diventare oggetti utili appunto alla vita quotidiana. Un altro prodotto di punta sono le Fifì, nate dalla combinazione di “straccetti” di tessuti di scarto dei costumi da bagno che donano originalità ed estro. Poi ci sono le borse gioiello realizzate in collaborazione con un designer dell’oro, Federico Primiceri, che attraverso braccialetti e catene pregiate ha impreziosito le nostre borse. Poi in cantiere ci sono innumerevoli altri prodotti, dai braccialetti per la libertà ai portaocchiali/telefonino, dagli zaini alle sacche per la spesa, ma non sveliamo altro…

 

Da chi pensate di ricevere le commesse di lavoro?

La distribuzione e la vendita è soprattutto nel settore package e all’ingrosso. I nostri clienti sono le istituzioni e le grandi aziende che promuovono, attraverso un prodotto etico, la loro presenza sul mercato. È in fase di avvio ulteriore sinergia con la grande distribuzione per vendere la “Busta della spesa”, con l’obiettivo di sostituire la busta di plastica e/o di carta.

 

Quante persone potrà assumere la cooperativa e quante di loro saranno detenute?

Nell’avviare questo laboratorio all’interno del carcere di Borgo San Nicola a Lecce lo sforzo è stato quello di proporre un’iniziativa con una giusta valenza per ogni interlocutore. È ovvio che al primo posto c’è il recupero sociale delle detenute, ma non volevo assolutamente che potesse interpretarsi come il solito progetto che vuol dare una mano alle persone deboli. Le detenute hanno sbagliato, e ora stanno pagando per il reato con la detenzione, ma se devono scontare una pena deve essere tutto finalizzato a ricostruire un modello di comportamento adeguato per il riavvicinamento al mondo reale nel momento in cui la pena sarà finita. Altrimenti la pena non finisce mai e non avranno altre chance.

 

E le detenute che imparano il lavoro potranno essere inserite all’esterno, sempre in questo settore?

Sicuramente. Sono delle risorse che hanno avuto modo di imparare, un mestiere quasi del tutto abbandonato e che, al contrario, oggi è molto ricercato grazie alla rivalutazione dell’artigianato e del Made in Italy.

 

Pensa che il vostro progetto migliori la vivibilità del carcere?

Per le detenute rappresenta un’opportunità preziosa, in quanto hanno la possibilità di imparare un mestiere costruendo, tra le numerose difficoltà, un percorso di riavvicinamento al mondo reale ed un recupero della persona stessa. Attraverso queste attività imparano il valore del rispetto, della lealtà, del gioco di squadra, la responsabilità, il rispetto delle regole e delle differenze. È una attività che, come dicono loro, rappresenta l’occasione per “raddrizzare le cuciture storte delle loro vite”. Per loro non è sufficiente imparare un mestiere, ma è importante recuperare la dignità di essere umano e credere in se stesse, non più come donne che hanno sbagliato, spesso anche, almeno in parte, a causa dei compagni o dei mariti. Infatti il successo più grande è quello di vedere in queste donne la loro sicurezza nell’affrontare un mondo sino ad ora per loro spesso sconosciuto. Tutte le creazioni Made in carcere nascono dalla voglia di far evadere con creatività ed originalità le proprie idee, pensieri, angosce e preoccupazioni, un mezzo per comunicare all’esterno la loro voglia di riscatto, consapevoli di aver compiuto un reato, ma nello stesso tempo desiderose di riuscire, attraverso un percorso di recupero durante la pena, a modificare il pregresso comportamento sbagliato. Loro stesse diventano responsabili dell’attività, delle consegne ed ecco che non sono più soggetti passivi, ma consapevoli del loro ruolo. L’idea di essere in un luogo pieno di colori insieme ad altre “compagne di lavoro” con a portata di mano macchinetta del caffè, musica ed un locale più grande della piccola cella angusta, dà loro “un senso al tempo perso” (come dice una di loro).

 

Quali sono o sono state le difficoltà incontrate?

All’inizio tutte le detenute dichiaravano a priori di non saper fare niente e di non aver mai toccato un ago e un filo. Non era linguaggio comune ascoltare o parlare di, lealtà, gioco di squadra, responsabilità, rispetto delle regole e delle differenze. Non ti guardavano negli occhi. Poi la mia tenacia, ma anche la mia rigidità nell’atteggiamento, ha fatto capire loro che non scherzavo, e che potevo dare loro una chance solo se collaboravano. Lo hanno capito e abbiamo stretto un patto, ho chiesto loro: “Accettate la sfida?”. Ricordo Maria, una napoletana, che mi disse: “Se tu accetti questa sfida, anche noi vogliamo vincerla”.

 

E per quanto riguarda il coinvolgimento di enti pubblici o privati?

Altre difficoltà sono legate alla burocrazia e alle istituzioni. Certo nessuno dichiara inutile l’intervento, ma magari, non toccando con mano i meravigliosi risultati che si possono ottenere (dando fiducia alle persone, stimolandole, aiutandole a credere nelle loro capacità, facendole sentire esseri umani e non rifiuti della società dove si chiude la porta e si butta la chiave), magari pensano che poi una volta fuori dal luogo di pena tutte ricominciano a delinquere. A Lecce la Provincia, grazie alla vicepresidente Loredana Capone, ci ha concesso un contributo cha ha consentito di co-finanziare parzialmente il primo corso di formazione. Naufragato in 24 ore dopo mesi e mesi di corso, in seguito al famoso indulto. Poi senza chiedere contributi a nessuno (troppo lunghe le attese), ho finanziato personalmente l’iniziativa con i miei risparmi. La grande spinta è stata data dalla Regione Puglia, devo dire, da parte del Presidente Vendola e da parte di tutti, grande apprezzamento per l’idea, infatti, credo che la modernità del progetto, e cioè l’idea di realizzare borse in tessuto riciclato al posto della plastica e della carta, confezionate e cucite da risorse ai margini, abbia conquistato l’assessore all’Agricoltura Enzo Russo prima e l’assessore alle politiche sociali Elena Gentile poi. Infatti le primissime borse le abbiamo vendute al Vinitaly, non ci sembrava vero di poter fare la prima consegna e la prima fattura. Tutt’Italia avrebbe visto le nostre Shopper bags…

 

Come introducete il prodotto sul mercato?

Il mercato è “contaminato” attraverso le fiere, i vari eventi, convegni, poi è stato realizzato un sito internet (www.madeincarcere.it) dal quale è possibile visionare tutti i modelli di borse ed altre che si realizzano all’interno del laboratorio e trovare i riferimenti per effettuare gli ordini.

 

Vuole aggiungere qualcosa che desidera comunicare ai nostri lettori?

Aggiungo una domanda che mi hanno fatto sulla rivista Il Corsivo di Lecce: quale considera essere la sua qualità migliore? La contaminazione. Donarsi totalmente a un progetto, anche senza lasciare spazio e tempo a nient’altro che al raggiungimento di questo obiettivo, può non bastare se non si coinvolgono più persone. Io lavoro sulla contaminazione, prima morale poi pratica. Darsi molto ma essere rigida nell’organizzazione, perché per riuscire in un progetto c’è necessità di essere determinati e avere idee forti. Nel sud fare impresa è difficile, quante più persone contamino, passando da questa lavatrice che è la mia Officina creativa, tanto più possibilità di successo avrò. E con me chi mi accompagna. Aprire la porta dell’apprendimento e portarsi a casa un pezzo di metodo di approccio al lavoro, è parte integrante del mio sistema. Sì, sono soddisfatta.

 

 

Precedente Home Su Successiva