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La "meglio gioventù" che sta al carcere minorile
Uno spettacolo ironico e divertente messo in scena dai ragazzi del minorile di Treviso
di Ornella Favero
La "meglio gioventù" che sta al carcere minorile un cittadino "normale" non la può vedere in faccia, perché una legge ferrea di difesa dei minori impone a chi si occupa di informazione di "oscurare" i loro volti, anche di quelli che vorrebbero ben volentieri farsi vedere. Eppure, citando Pier Paolo Pasolini, vogliamo definirla "la meglio gioventù", perché sono belle facce, quelle dei ragazzi incarcerati che nell’Istituto Penale Minorile di Treviso hanno realizzato uno spettacolo teatrale, "In paradiso non ci sono clandestini", che è andato in scena purtroppo solo per pochi ospiti fortunati, studenti delle scuole superiori di Treviso, insegnanti, volontari. Purtroppo, perché lo spettacolo è vivace, interessante, pieno di spunti curiosi, e non può essere mostrato all’esterno, quelle facce non possono uscire, non ci sono genitori che possano firmare una "liberatoria", come succede per tanti piccoli aspiranti divi della nostra televisione. Peccato, perché è proprio lì, negli occhi dei magrebini, negli zigomi larghi dei rumeni che leggi una cosa fondamentale: che un ragazzo è un ragazzo, prima che un delinquente, e quindi si diverte da matti a fare teatro, anche se è in un carcere. E poi ti chiedi se davvero è in carcere che deve stare questa generazione di ragazzi, che se ne scappa da paesi, dove ancora non c’è futuro per chi ha meno di vent’anni. E si ritrova poi in carcere nei nostri paesi europei, dove stanche generazioni di giovani finiscono spesso sui giornali, ma non in galera, per reati "da ricchi", come rubare telefonini ai coetanei, fare i bulli nelle loro scuole, razziare le case dei compagni di liceo.
Uno splendido spot per la guida sicura
Allo spettacolo hanno lavorato dieci ragazzi, coordinati da Nicola Mattarollo e Valentina Paronetto, due operatori che hanno realizzato un laboratorio teatrale con loro, grazie anche alla collaborazione di educatori attenti e disponibili a mettersi in gioco. Gli spettatori vengono idealmente trasportati su una strada, che diventa teatro di catastrofici incidenti stradali, nei quali si schiantano e muoiono i diversi protagonisti, attori straordinari che giocano con la mimica, i gesti, la faccia, e una brillante recitazione rigorosamente nella loro lingua. E ci mostrano, più efficacemente di certi spot terroristici, come, guidando impasticcati o imbottiti di alcol, non ci si salva. Giungono poi in paradiso, e si intrattengono con l’angelo, l’attrice che fa da filo conduttore, unica ad usare la lingua italiana e a esplicitare così, con leggerezza e ironia, quello che ognuno dice in arabo o in rumeno. E l’angelo alla fine, dopo aver faticosamente cercato di valutare colpe e meriti dei suoi "ospiti" e di collocarli, di conseguenza, in posizioni diverse nell’al di là, conclude con disappunto che "Non è facile valutare una vita terrena". Ed è terribilmente vero, ma le storie di questi ragazzi dicono che c’è chi li giudica, e li condanna oggi a pene mediamente anche più alte che qualche anno fa. Cambia il clima, e la società ha paura proprio dei "piccoli" reati, commessi spesso da giovanissimi, e non intende più perdonare niente, ma solo difendersi. Forse però, se questi ragazzi li vedesse recitare con passione e abbandonarsi alla musica e al gioco con entusiasmo, un po’ di paura riuscirebbe anche a vincerla, per tornare alla ragionevolezza di pene più eque e una accoglienza più generosa.
Ma il paradiso può attendere
Pensando al destino di questi ragazzi, e al titolo dello spettacolo, viene da dire che sappiamo proporgli una sorta di pacificazione, e di accettazione del loro essere arrivati da clandestini, solo in paradiso. Ma a diciotto-vent’anni uno dovrebbe avere il diritto di cercarselo in terra, il paradiso, e di non essere cacciato quando mette piede nel "paradiso" degli altri. Alla fine, i ragazzi del minorile di Treviso ci hanno anche fatto vedere un video, realizzato in carcere e che, anch’esso, non potrà essere mostrato all’esterno, se non con le facce oscurate da una stupida nebbiolina: La cosa bella, si intitola. Ironico, una specie di storia noir tutta da ridere, finisce svelandoci cos’è, questa cosa bella, ma noi non ve lo diciamo. Vi diciamo solo che i giovani si assomigliano dappertutto, hanno la stessa voglia di bruciare i tempi, di cercare la felicità, di correre. Dobbiamo proprio fermarli con il carcere?
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