Spezzare
la catena della violenza
Spezzare
la catena della violenza, educare i ragazzi al rifiuto di qualsiasi
comportamento aggressivo, non avere paura di mostrare la propria fragilità:
sono questi i temi in discussione quando le persone detenute incontrano gli
studenti e raccontano le loro storie. Storie violente, come quella di un ragazzo
entrato giovanissimo in una gang. Storie che insegnano a vedere le tragiche
conseguenze di ogni gesto violento, anche di quello che sembra più
insignificante.
Ragazzi
che usano la violenza per farsi accettare dal gruppo
di
Victor Mora
Sono un
detenuto del carcere di Padova, provengo dal Sud America, ho 43 anni e voglio
dare la mia testimonianza della mia vita dentro alle gang.
Avevo 12
anni, abitavo ancora in Sud America, e a causa della povertà e della mancanza
di affetto, non avendo mio padre al mio fianco, è stato facile cadere nella
delinquenza. Eravamo in gruppi di ragazzi di 12 o 13 anni, abbiamo iniziato con
piccoli reati, quasi senza accorgerci che quei gesti erano accompagnati sempre
dalla violenza, e che il gruppo ti faceva sentire invincibile.
Quando mi
sono trasferito a New York, nel 1995, sono finito in carcere e lì ho conosciuto
quelle che erano vere gang organizzate. Essendo io un latino, sono arrivati a
reclutarmi lì dentro, nelle ore d’aria. Loro erano del gruppo “Latin
King”, persone tutte tatuate e con al collo un rosario, dentro per traffico di
droga, traffico d’armi, omicidi, sequestri lampo, prostituzione, rapine, furti
estorsioni.
Per far
parte della gang l’iniziazione consiste nel fatto che tu devi compiere un atto
violento, che i capi ti indicano, e consacrano successivamente con un tatuaggio.
La corona è il simbolo di appartenenza ai Latin King, la croce identifica chi
ha commesso un omicidio, altri clan identificano l’omicidio con un tatuaggio
che raffigura una lacrima.
Quando poi
mi sono trasferito in Italia, a Milano, ho cominciato ad interessarmi di tutti i
gruppi sudamericani che si erano radicati nelle principali città italiane.
Questi gruppi in Italia copiano i comportamenti dei gruppi americani, ma sono
comunque tutti di provenienza sudamericana, figli di padri migranti che li hanno
portati qui per consentirgli una vita migliore. Ma proprio per l’assenza dei
genitori a causa degli impegni di lavoro, i ragazzi si ritrovano in bande,
cominciano con la violenza per farsi accettare dal gruppo, e poco a poco si
allontanano dai genitori, rifugiandosi nell’affetto che gli trasmette la gang.
Poi passano ai vandalismi, ai piccoli furti, il micro spaccio di droga nelle
discoteche latino – americane, gli scippi, la violenza tra gruppi rivali.
Io ho avuto
modo di incontrare in carcere alcuni ragazzi appartenenti a questi gruppi, li ho
visti perdere tutta la loro arroganza e piangere per la paura di essere in
galera. Parlando con loro mi accorgo che sono fragili, incolpano i loro genitori
di averli trascurati, a volte abbandonati. Spesso si sono fatti usare dai capi,
che approfittano del più giovane del gruppo e lo mandano a spacciare e a
rubare, per potersi vestire lussuosamente, divertirsi in discoteca, girare con
molto denaro in tasca.
Il
battesimo d’ingresso nel gruppo è un pestaggio che deve durare al massimo 15
secondi, dopo al ragazzo viene affidata una “commissione”, che consiste nel
commettere uno scippo, una rapina o un furto per dimostrare la fedeltà al
gruppo, e rispettare l’ordine del capo.
Tutto
comincia come un gioco per questi ragazzi, che ogni volta si macchiano di reati
più gravi, che alla fine li portano in carcere oppure in ospedale o nei casi più
gravi al cimitero, sono pochi i ragazzi che riescono a chiudere con la banda, e
a nascondere sul loro corpo i tatuaggi e le cicatrici che gli ricordano il loro
passato. La mia riflessione è che non bisogna trascurare e sottovalutare questi
gruppi, perché sono terra fertile per l’organizzazione criminale che si può
estendere ancora di più, le gang più pericolose sono la MS18, una gang
messicana, il braccio armato dei cartelli del narcotraffico, e la Mara
Salvatruca, M13, salvadoregni che sono arrivati anche in Spagna e Italia. Mio
nipote abitava a Genova con sua madre e i suoi fratelli, e apparteneva alla gang
dei “Vatos Loco”, io non lo sapevo, però sua madre si. Lei non considerava
quel gruppo così pericoloso, lei diceva che si divertivano come qualsiasi altro
giovane della sua età. E invece aveva diciassette anni quando lo hanno
ammazzato.
Ecco
perché quando incontriamo i ragazzi delle scuole, cerchiamo di parlare con loro
di quanto è importante avere il coraggio di non farsi condizionare dal gruppo,
e di tirarsene fuori in fretta se si capisce che al suo interno ci sono
comportamenti aggressivi e prepotenti.
Dal
bullismo alla delinquenza il passo è breve
Con
la prepotenza e l’arroganza della gioventù non accettavo consigli da nessuno,
perché mi piaceva quella vita dove potevo avere tutto facile con la presunzione
che non mi succedesse mai niente
di
Sofiane Madsiss
Credo
che ogni persona nei momenti più difficili della sua vita si faccia delle
domande, e una in particolare, una domanda brutale per chi come me è in
carcere: come mai è arrivato al punto di buttare la sua vita nel cesso? E
siccome il passato è una parte attiva di tutti noi, io me la faccio spesso
questa domanda, frugando e cercando nel mio passato tutti gli sbagli che ho
fatto, per finire in carcere per una bella fetta della mia vita. E dal momento
che non sono predestinato dalla nascita a fare il delinquente, perché siamo noi
che determiniamo il nostro destino ogni giorno, ho capito che ho fatto delle
scelte sbagliate che mi hanno condotto a questo punto della mia vita.
Sono
nato e cresciuto in un quartiere povero e malfamato, dove la delinquenza è un
pane quotidiano per la maggior parte dei giovani, ero un ragazzino molto vivace
e mi piaceva lo scontro fisico. Sicuramente cercavo di farmi valere in un
ambiente dove c’era tanta prepotenza, i primi anni del liceo ho continuato a
fare a botte per qualsiasi motivo, sono diventato anch’io prepotente, finché
un giorno mi ha picchiato il fratello più grande di un ragazzo con cui ho
litigato.
Io
mi sono sentito male, umiliato e ferito nell’orgoglio, e dalla rabbia sono
tornato a casa, ho preso un coltellino con me e sono andato a cercarlo, quando
l’ho trovato ho tirato fuori il coltellino e lui alla mia vista è scappato
via. In quel momento ho avuto una sensazione di forza e di potenza che mi è
piaciuta tanto, perché ho sentito che il mio orgoglio è guarito, e da quel
giorno il coltellino è diventato il mio angelo custode ed io sono diventato un
bullo. Prendevo, anzi estorcevo qualsiasi cosa che mi piaceva, e da allora il
mio viaggio verso il futuro ha cambiato strada, ho intrapreso la strada della
delinquenza, e con la prepotenza e l’arroganza della gioventù non accettavo
consigli da nessuno, perché mi piaceva quella vita dove potevo avere tutto
facile con la presunzione che non mi succedesse mai niente. Ma alla fine è
successo e sono in carcere per omicidio, perché facendo un vita sregolata e
girando con un coltello in tasca prima o poi finisce male come è finita per me
e per tanti altri che ho conosciuto.
Sapete una cosa, io sono convinto che se uno può fare delle cose buone per gli altri ha l’obbligo morale di farle tutte e non è una scelta ma una responsabilità, per questo nella mia testimonianza e nella mia riflessione critica ho cercato di fare arrivare un messaggio a tanti giovani, perché imparino a riesaminare nella loro testa come comportarsi in simili situazione e capiscano come vanno a finire certi atteggiamenti. L’obiettivo mio è che non vorrei che un altro possa cadere nei mie sbagli e finisca male, perché dopo è troppo tardi.