Sogni
e Realtà
Un
uomo dovrebbe ricordarne centinaia, di bei sogni che da bambino faceva, io
invece mi ricordo molto bene tutti i sogni di rivincita, di vendetta che facevo
di
Lorenzo Sciacca
È un
periodo che le parole “Sogni e Realtà” escono molto spesso nella redazione
di cui faccio parte.
Uno dei
nostri progetti è quello che mette a confronto le scuole e il carcere, che ci
vede accogliere dai 5 ai 6000 studenti l’anno per spiegare molte cose ma,
soprattutto, che il carcere riguarda tutti perché anch’esso è parte
integrante della società. In questi primi incontri dell’anno scolastico mi
sono rimaste impresse, come sempre, varie domande. Ne ho trovate di molto
interessanti. La prima è stata se i nostri obiettivi e i nostri sogni erano
cambiati, la seconda è stata se capiamo che alla fine non ci volevamo bene a
noi stessi, quando vivevamo facendo reati.
Eppure io
mi ricordo che un mio sogno era di imparare a pilotare aerei, volevo volare. Mi
sono dovuto però veramente sforzare per trovare un sogno, chiamiamolo positivo.
È molto strana come cosa, non dovrebbe essere così, un uomo dovrebbe
ricordarne centinaia, di bei sogni che da bambino faceva. Credo che sia anche
durato poco, quel bel sogno, perché mi ricordo molto bene tutti i sogni di
rivincita, di vendetta che a volte riaffiorano. Ecco questi erano i miei sogni
da bambino.
Credo
fortemente che queste siano le ripercussioni di tutte le scelte sbagliate che ho
fatto nella mia vita, ma è anche responsabilità delle istituzioni se oggi mi
ritrovo a dover fare i conti con un passato pesantissimo. Sì perché questi
ragionamenti che alla fine faccio a me stesso sono i risultati di una vita spesa
rincorrendo solo chimere, sempre alla ricerca di una felicità che poco poteva
appartenere alla realtà. Arrivare al punto di scoprire un’altra verità, da
quella distorta che conoscevo io ma soprattutto che mi ero inventato io, è
dura. Ora di sogni posso dire che non ne ho, certo non è il massimo perché i
sogni non devono fare parte solo della vita dei bambini, ma anche di quella
degli uomini.
Oggi cosa
posso sognare, ho trentasette anni con una fine della pena prevista per il 2037,
certo non credo che uscirò proprio in quell’anno, forse andrò fuori prima,
ma sempre dovrò scontarla la mia condanna in qualche maniera, dunque a cosa
posso mirare per sperare in un futuro diverso da quello passato? Sono proprio
questi i miei dilemmi shakespeariani. Sto imparando a vivere solo ed
esclusivamente il presente, oggi la mia realtà è la mia vita all’interno di
quattro mura, cercando, con l’aiuto della redazione e con essa tutti i suoi
progetti come quello “scuola-carcere”, di riuscire a darmi risposte a tutti
i dubbi che possono venire a un uomo che scopre una verità diversa da quella a
cui ha sempre voluto credere. Alla fine non mi sono mai voluto bene e per una
persona che ha sempre dato importanza alle cose materiali, al suo aspetto, al
volere apparire con un tocco di narcisismo, è duro scoprire che era tutto
finto. È vero ho fatto e faccio soffrire le persone che mi vogliono bene, ma io
a queste persone gli ho mai voluto bene veramente? Non sono in grado di darmi
una risposta, perché a volte quelle risposte che tanto cerchiamo possono fare
male essendo la verità, so solo che non mi sono mai voluto bene veramente.
Le istituzioni hanno contribuito molto a
questa vita sprecata che mi ritrovo. A volte penso: “Se avessi conosciuto la
realtà della redazione in qualche detenzione precedente, sarei qui, dietro a
un computer a scrivermi questa specie di lettera-articolo?”. Forse sì, ma il
beneficio del dubbio viene, e allora mi chiedo: perché una esperienza così
deve essere per pochi? Quanti ragazzi ci sono in giro per le carceri con la
capacità di pensare, di riflettere, di confrontarsi come facciamo noi a
Ristretti Orizzonti? Bisogna imparare ad amarsi per poi volere bene al prossimo,
proprio quello che oggi cerco di fare io, forse così si potrà credere anche in
noi.
La
possibilità di cambiare si dà dando alle persone fiducia
Un
detenuto cambiato e reinserito non è soltanto un bene per sé, ma è un bene
per la società
di
Sofiane Madsiss
Nel carcere
di Padova esiste una realtà, e credo che in nessuna parte d’ Italia ci sia
niente di simile, è la nostra redazione di Ristretti Orizzonti dove abbiamo un
progetto con le scuole, e ogni settimana facciamo due incontri con gli studenti,
durante i quali ci confrontiamo a partire dalle nostre storie di vita. Loro ci
fanno delle domande che ci costringono a riflettere sugli sbagli che abbiamo
commesso, nell’ultimo incontro una ragazza ci ha fatto una domanda alla quale
era difficile rispondere al momento, ma per la quale serviva tanta riflessione,
per spiegare bene le cose come vanno. La domanda era: come si può capire se un
detenuto è cambiato e avere fiducia in lui in futuro? Qui faccio io un’altra
domanda: perché a volte una persona che viene scarcerata dopo tanti anni di
carcere, torna a commettere un altro reato e rientra in galera?
La mia
risposta va spiegata con questo racconto di un mio ex compagno di cella. Dopo
tanti anni di galera ha finito la sua condanna, durante la quale però non ha
fatto un percorso educativo di studi, di lavoro e di reinserimento sociale, ed
è stato buttato fuori dal carcere con un sacco nero pieno di vestiti, non aveva
nessuno e non aveva un posto dove andare, è stato obbligato a dormire sotto un
ponte per un mese (cercate di immaginare bene questo racconto, di vedervelo
davanti), e alla fine la fortuna gli ha teso un mano, perché lui ha trovato
qualcuno disposto ad ospitarlo a casa sua, e da quel momento ha pensato che la
fortuna non lo avrebbe lasciato più, e ha cominciato a cercare un lavoro. Ma
c’è un problema, quando una persona non è più detenuta diventa un ex
detenuto, e questo è un marchio che non ti toglie nessuno, e con le difficoltà
che ci sono adesso per trovare un lavoro per i cittadini onesti, immaginate
cos’è per un ex detenuto. Ma lui non ha mollato perché non voleva tornare in
galera, e ha insistito nella ricerca e ogni tanto trovava qualche lavoretto in
nero, lavorava una settimana e due mesi restava disoccupato. Alla fine non ce
l’ha fatta, dopo un anno non riusciva ad avere un posto fisso dove stabilirsi,
non riusciva a mettere in ordine la sua vita.
In quei
momenti di sofferenza è scattato un meccanismo psicologico per cui ha
cominciato a sentirsi vittima di una società, che non voleva dargli fiducia e
accettare il suo desiderio di un reinserimento, e l’ha invece abbandonato a se
stesso. Cosi lui ha cominciato a pensare di mandare a quel paese tutti, cercando
di vendicarsi di una società che non ha creduto in lui, ed è tornato a fare
quello che sapeva fare prima, a delinquere. Alla fine è stato arrestato e
adesso sta scontando un’altra condanna.
Cercate di
immaginare bene se questa storia succedesse a uno di voi, io non volevo dare
ragione all’ex detenuto, ma volevo far vedere che anche la società ha una
colpa nel fallimento di questo ragazzo, che comunque fa e farà sempre parte di
quella società anche in futuro...
La pena per
me richiama l’idea di riflessione e cambiamento, la pena non è una vendetta,
ma un punto di partenza per chi ha sbagliato e ha commesso dei reati. La pena
dovrebbe significare cercane di far riflettere chi ha commesso un reato sui suoi
sbagli, ed aiutarlo nel suo reinserimento nella società passo dopo passo, e non
abbandonarlo a se stesso, perché un detenuto cambiato e reinserito non è
soltanto un bene per sé, ma un bene per la società, perché nessuno è
irrecuperabile, tutti possiamo cambiare, tutti possiamo diventare una risorsa
utile per gli altri.
La fiducia
è una cosa che viene guadagnata, si dà e si ottiene. Se non si dà
l’opportunità a qualcuno di cambiare dandogli fiducia, è difficile che lui
ricambi l’indifferenza della società con la fiducia. A me piace quello che
diceva MADRE TERESA di Calcutta: ”Il male più grande è l’indifferenza”.
Con questo volevo far capire alla società
che, se si chiede la certezza della pena, che vi assicuro che esiste perché
tutti pagano prima o poi, si dovrebbe chiedere anche la certezza della
rieducazione e del reinserimento di chi sbaglia.
Ma
come lo vedete, il vostro futuro?
Io
credo che mi sentirei più straniero nel mio Paese che in Italia. Perciò come
faccio a progettare un futuro stando in carcere, se non so che fine farò dopo
la carcerazione?
di
Qamar Abbas
Sono uno
straniero, da circa cinque anni in carcere per scontare una pena di 15 anni di
reclusione. Dopo la condanna definitiva, mi hanno trasferito nel carcere di
Padova, dove, già da alcuni anni, faccio parte della redazione di “Ristretti
Orizzonti”. Oggi ero presente al secondo incontro di questo anno scolastico,
con gli studenti che hanno aderito al “Progetto Scuola Carcere”.
Fare questo
confronto con una piccola parte della società mi porta a riflettere sul reato
che ho commesso, perché nel percorso della vita io so che ho sbagliato. Queste
riflessioni sono il frutto delle domande che ti fanno i ragazzi, che ti
spiazzano e ti mettono davanti alla tua responsabilità. Nell’incontro di
stamattina ci sono state molte domande importanti, per esempio una domanda che
ha fatto una ragazza: “Dopo quanto tempo siete riusciti a raccontare la vostra
storia agli studenti?”. Parlo di me, io personalmente ci ho messo circa dieci
mesi prima di trovare il coraggio. Però, l’anno scorso, ogni mattina pensavo
di raccontare la parte negativa della mia vita a degli sconosciuti, ma quando
arrivavo al momento di parlare, non riuscivo ad esprimermi, perché non è
affatto facile riportare agli studenti la storia del mio reato, soprattutto per
me che sono entrato in carcere in giovane età.
Quando
cercavo di esprimermi vedevo me stesso dalla loro parte, e mi sembrava inutile
parlare di me, poi ho riflettuto che magari raccontando la mia esperienza i
ragazzi possono percepire qualche segnale di comportamenti da evitare, possono
vedere dove e come potevo fermarmi prima. Io non voglio certamente pormi come
uno che vuole dare consigli, prima di tutto perché non sono proprio in grado di
dare consigli a nessuno. Certo è che le scelte sbagliate portano conseguenze
gravi sia per la persona direttamente responsabile di un reato, ma anche per la
sua famiglia, oltre naturalmente che per la vittima e i suoi familiari.
La seconda
domanda è: “Tenendo conto degli anni vissuti qui, ritenete di essere
cambiati, e che intenzioni avete per il vostro futuro?”. Questa domanda mi ha
colpito molto. perché per me questa è la prima esperienza carceraria. Quando
sono entrato in carcere, ho visto l’ambiente, la desolazione, e il cambiamento
è arrivato subito in me, ma un cambiamento in peggio, perché cercavo solo di
sopravvivere in queste condizioni, ero con altri due compagni in una cella di
tre metri per tre, e questo tipo di carcerazione non fa capire mai perché sei
qui e cosa hai fatto, diventi tu la vittima. E cominci a provare solo cattiveria
nei confronti di chi rappresenta l’istituzione, in particolare gli agenti
della polizia penitenziaria che ti chiudono e ti trattano come un bambino
irresponsabile. Quindi io non pensavo mai al mio reato, non volevo pensare che
avevo causato la morte di una persona, ragionavo in questo modo, che io “mi
ero difeso” da una aggressione, era normale. Quello che poi era successo a
quel ragazzo poteva succedere a me.
Perché
dico questo? perché sono in carcere per omicidio in seguito a una rissa. Poi da
quando sono arrivato qui a Padova ed ho cominciato questo percorso, dove ho
iniziato a riflettere e ragionare con questi confronti con gli studenti, sto
cercando di capire dove ho sbagliato, perciò dico che questo tipo di percorso
è molto utile, sia per noi detenuti ma anche per la società, soprattutto si
impara a comunicare e conoscere l’altro o l’altra parte.
Adesso
vengo alla seconda parte della domanda, prima di tutto in carcere è molto
difficile progettare il futuro, perché non sai mai quali difficoltà dovrai
affrontare quando avrai finito di scontare la condanna, per la società io sarò
un ex detenuto e questa etichetta la devo portare per tutta la vita. Nel mio
caso poi, io che sono extracomunitario, ho una “colpa” e una pena in più,
questa, che sulla mia sentenza è scritto: a fine pena ci sarà l’espulsione
dal territorio italiano.
Non voglio
essere frainteso, non è che non voglio tornare nel mio Paese, magari lo vorrei
fare per prima cosa quando avrò finito di scontare il mio debito con la società
e anche con lo Stato italiano. Però non come vuole lo Stato italiano, cacciato
via, ma con i miei mezzi. Va bene che ho sbagliato ed è giusto che paghi, e sto
pagando, però ho una famiglia qui in Italia che sta facendo una vita regolare,
da 15 anni ormai, sono cresciuto qui, ho fatto anche un percorso scolastico, se
un domani lo Stato italiano mi manda via in Pakistan, secondo me sarò più
straniero nel mio Paese che in Italia.
Perciò come faccio a progettare un futuro stando in carcere, se non so che fine farò dopo la carcerazione?