Gemelli d’amore fidanzati della nausea

Storia di un collage al corso di scrittura creativa

 

di Angelo Ferrarini,

conduce il laboratorio di scrittura di Ristretti Orizzonti

 

Si fa anche questo in carcere. I collage - quelli degli artisti futuristi, dadaisti, con quel pazzo romeno di Tristan Tzara scappato in Svizzera come Lenin, tutti rifugiati, ricchi borghesi dell’arte degenerata (così la definirà qualche anno dopo Hitler). Proprio quelli. E quell’arte ha fruttato e continua a fruttare idee modi e mode (ad esempio, la Factory di Andy Warhol, oppure le campagne pubblicitarie di Benetton-Toscani). Era l’ultimo giorno del Corso di scrittura al Due Palazzi (25 giugno 2012). E in tutte le scuole, finiti i programmi, dati i compiti, si concede alla classe un po’ di baldoria. E niente di più adatto di un collage creativo alla fine del corso di scrittura creativa. Alla fine delle due ore, è arrivato dritto il capoclasse di «Ristretti» - con un sorriso a mezza bocca – a ricordarci di lasciare tutto ben pulito. In effetti tavolo e pavimento erano disseminati di ritagli. Frutto evidente del lavoro, che aveva prodotto 17 fogli A 4, coloratissimi, pieni di parolette ritagliate da riviste portate dai volontari Erlati e Ferrarini. La tecnica era semplice, come aveva spiegato all’inizio il secondo: dai titoli delle riviste ritagliate 20 parole - quelle che vi piacciono per grafica, colore, suono, significato - mettetele davanti – componete una due frasi anche senza senso completo. Cinque proibizioni come nei giochi: no a parole straniere, no a cognomi, no a pubblicità, no a titoli completi e soprattutto non pensate a un testo prima. Il testo lo trovate fatto muovendo le parole sotto gli occhi; libertà di usarle tutte e venti o no; incollatele verticalmente, in forma di testo o di poesia, o centralizzate o a figura (cerchio, fiore, ecc.). Perché tutto questo? Perché stiamo giocando, perché la vita è assurda, perché ci piace sognare, cantare. - Ma diranno che siamo pazzi, osserva qualcuno. Certo, come tutti quelli che perdono tempo a leggere, scrivere, cantare, suonare. E noi non lo facciamo per lucro, per guadagno, ma per avere uno spiraglio, per evasione… La classe al completo, compresa una volontaria, in osservazione, per prepararsi al ruolo di educatrice. Ecco dunque 17 testi semi-volontari, giusti per il carcere: ti nascono sotto le mani, manipolando parole tagliate, scelte, giocate poi sulla superficie, prima del tavolo e poi del foglio colorato (scelto questo con occhio al colore perché compatisca con il colore delle parole tagliate). E alla fine c’è anche un effetto grafico: qualcuno (Livio Sossi, Università di Udine) l’ha definito graziosamente poème collage, dove intendi poema, poesia, testo ma anche operazione manuale di fissaggio di carte ritagliate, rettangolini colorati con segni speciali – parole salvate prima dello scarto, prima di finire nella rumenta, per dirla con i genovesi. Ora che i testi sono lì davanti a noi, la prima cosa che facciamo in aula è mostrarli e leggerli ad alta voce. Infatti alla fine del lavoro, alle dieci e trenta, nelle mani e nella voce dei due volontari e degli autori passano gli originali e le fotocopie (grazie ai veloci fotocopisti!) lette ad alta voce – con un effetto di diffusione sonora pubblica. Dopo di che nascono varie possibilità:

1) una mostra nell’area di «Ristretti» - ed è quel che faremo, ncollando copie a colori dei collages su supporto neutro (nero o grigio), due cartelloni tipo Fabriano, un metro per 70.

2) Riscrivere a mano o a computer, questi testi, ottenendone altri (possiamo cambiare aggiungere

tagliare integrare continuare) (compiti per le vacanze in cella).

3) Lavorare sui nostri testi e su quelli di altri: ora sono pubblici e noi siamo gli autori spettatori lettori fruitori destinatari e diffusori, editori di noi stessi – il testo è nato e subito fruito (dal 3 settembre in poi).

4) Adesso che abbiamo imparato, possiamo ornare i corridoi, le aule e le celle con le nostre poesie, sogni, proclami, ricordi, memorie, pensieri, progetti, appelli, propositi, desideri, sfoghi, fantasie,

rimpianti, annunci, ambizioni, nostalgie, aspirazioni, incubi, deliri, miraggi…

Ancora una volta la parola (scritta) ha iniziato un percorso – senza fine. E forse anche la Scuola di Scrittura ha preso un altro corso.

 

I testi prodotti si avvicinano alla poesia, per la loro struttura incerta, il lessico a volte casuale, nati come sono da parole trovate – l’accostamento, come succede per la parola scritta, produce senso,

significato (binomio fantastico diceva G. Rodari, cioè che produce sogno, viaggio, racconto).

Il primo testo dice:

AUDITORIUM EPPURE PARCO MUSICA GEMELLI D’AMORE FIDANZATI DELLA NAUSEA USA LA CULTURA CINEMA SCIENZA L’EQUILIBRIO TEMPO RITROVARE QUANDO L’HA CAPITO

Come ogni testo scritto, dopo la visione diretta, necessita di una lettura, rilettura, silenzio. Qui il testo ha subito un intervento: la riscrittura. È già diventato qualche cosa d’altro. Ha guadagnato della poesia. Ha perduto colore e grafica. Le parole ritagliate, scelte, poi riassemblate hanno prodotto delle frasi, dietro le quali c’è certo un pensiero – che sembra farsi sempre più evidente, lettura dopo lettura. Innanzitutto c’è un inizio, una specie di titolo, quasi un contenitore di quello che segue, del testo sotto: AUDITORIUM EPPURE PARCO MUSICA – ci verrebbe da cambiare in OPPURE – ma, “parola sotto parola”, come dice un linguista (De Saussure), una richiama l’altra – e allora lasciamola e ci dirà qualche cosa di nuovo. Ci sono dei protagonisti, degli autori, noi, che stiamo lavorando qui: GEMELLI D’AMORE FIDANZATI DELLA NAUSEA – questo è il nostro essere – affratellati dalla sorte, anzi gemellati – e una sorte (non sorta) di NAUSEA. È chiaro di cosa stiamo parlando. Ma, come in poesia, si parla per chi vuol capire, chi ha pazienza di rileggere.

Del resto la poesia non serve, non lucra e allora funziona solo per chi rilegge, ascolta, interiorizza si dice oggi, una volta si diceva “medita”. E si parla di carcere come NAUSEA dunque. Ci sarà una salvezza? Forse in quel che segue. Infatti segue un proclama, breve: USA LA CULTURA. Frasi dunque come schegge, piccole intuizioni, parole dette al volo, sentite e registrate. USA LA CULTURA. Un credo, una piccola espressione di fede. Ed è quello che vengono a dare ogni lunedì i carcerati qui nello spazio della piccola Scuola di Scrittura. Seguono parole sinonimi di CULTURA: CINEMA SCIENZA. E due parole fuori tema in apparenza, ma di seguito: L’EQUILIBRIO TEMPO seguite da un verbo infinito imperativo: RITROVARE. Alla fine forse (in poesia si usa spesso il forse) l’ammissione di un traguardo o di una eventualità da sperare: QUANDO L’HA CAPITO.

Il testo è di Federico