Vittime
di una mancanza di ascolto
di
Elton Kalica
Se
di fronte ad un detenuto malato terminale ci domandiamo “cosa ci faceva ancora
in galera?”, qual è il
significato
che riusciamo a dare alla morte di una persona che si toglie la vita in carcere?
Difficile dare un senso alla morte, ma forse a volte è ancora più difficile
trovare un senso alla vita. E allora, una persona che si spinge verso la morte
inalando gas in un carcere ritenuto “un carcere modello” come la Casa di
reclusione
di Padova significa che la storia di quel detenuto parla molto della galera di
oggi, quella morte parla della vita nelle nostre carceri.
Dopo
diversi mesi di ragionamenti, discussioni, interviste, avevamo deciso di
ritornare al tema della salute in carcere. L’obiettivo era quello di
continuare a parlare della riforma della medicina penitenziaria e di offrire
idee su un ripensamento del servizio sanitario. Abbiamo ragionato ad esempio sui
benefici che porterebbe a Padova l’introduzione del “medico di sezione”, e
cosa significa per la persona detenuta avere un medico di fiducia; e stavamo
parlando della necessità di avere finalmente una Carta dei servizi, che
dichiari quali sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario
fornisce alle persone private della libertà personale, insomma stavamo parlando
di tutela della salute nel carcere di Padova quando abbiamo appreso che un
ragazzo tunisino, Khaled, è morto.
La
morte era giunta in un modo che noi conosciamo bene. Un anno fa due compagni di
cella, uno dopo l’altro, erano morti allo stesso modo: sniffando il gas della
bomboletta da camping. Si chiamavano Alessandro e Walter. Per entrambi, la
solita terapia di psicofarmaci che in carcere non mancano mai non bastava per
alleviare il loro malessere, entrambi inalavano il gas del fornellino per
rifugiarsi in una
dimensione
diversa dalla realtà. Di questa ultima morte abbiamo scritto su questo numero
come sappiamo fare noi: raccontando la galera dove si muore di disperazione.
Luigi ha spiegato come non sempre si usa il gas per togliersi la vita, ma molto
spesso si cerca uno sballo, e però non uno sballo per
divertirsi,
piuttosto uno sballo di disperazione, derivato dal disumano abbandono che la
persona
oggi
subisce all’interno del carcere. Una morte che ci ha fatto riflettere sulla
solitudine e sul malessere che il carcere produce: “Molti non sanno che a
volte sono proprio i detenuti più “forti” che si tolgono la vita, perché
quelli deboli accettano più facilmente di vegetare perché non amano abbastanza
la vita”, ha
scritto
Carmelo. Il sovraffollamento e la mancanza di attività significano abbandonarsi
alla noia e ammazzare il tempo in branda: una quotidianità che Andrea definisce
criminogena, perché “le carceri italiane sono fabbriche di mostri, strutture
nelle quali le persone spesso vengono plasmate in modo talmente negativo, che
nella maggior parte dei casi si trasformano, evolvendosi in veri e propri
criminali”.
Khaled,
come Alessando e Walter, cercavano negli effetti del gas di fuggire dalla noia,
ma si sono spinti oltre, raggiungendo la morte. E se dei ragazzi finiscono per
sniffare il gas, è soprattutto perché è drammaticamente difficile sopportare
la galera di oggi. Una galera che potrebbe diventare più sopportabile se le
persone avessero qualcosa da fare, se si riuscisse ad impegnarle in dei percorsi
capaci di dare un senso alla pena, e al tempo. Drammatica è la solitudine di
persone che vivono in celle sovraffollate: tossicodipendenti che rimangono
vittime della mancanza di una cura adeguata, ma soprattutto di una mancanza di
ascolto; visite mediche condizionate dal sospetto di simulazione e terapie
massicce di psicofarmaci che finiscono per scoraggiare le persone ad andare dal
medico; richieste collettive di farsi visitare da un medico, un medico che un
po’ tutti nel carcere di Padova considerano “bravo” perché ti ascolta,
perché ti visita, perché ti segue. Insomma fa il suo lavoro. E tanti altri
medici? Perché i detenuti evitano di andarci?
Quando
la malattia e la morte si possono toccare con mano, è drammatico perdere la
fiducia verso le persone che dovrebbero occuparsi della salute e della vita. E
il pensiero va a Graziano e a Federico, che hanno convinto qualche medico di
stare davvero male solo con la loro morte. E allora questo numero sulla salute
è anche una lezione sulla vita. Conoscere la morte, la malattia e le paure di
persone considerate “da buttare via” per i loro reati, offre una preziosa
conoscenza sull’umanità di cui tutti
gli
esseri umani sono portatori. E mentre ci rassegniamo all’ineluttabilità della
morte, pretendiamo
che
in carcere i medici si adoperino davvero a difendere la vita.