Dal
carcere al territorio: si può fare!
Molti
sindaci di piccoli Comuni della provincia di Padova sono entrati in carcere,
alcuni per raccontare la loro esperienza, di dar lavoro a detenuti, altri per
capire e, forse, imitarli
di
Rossella Favero, cooperativa
sociale AltraCittà
Il
10 novembre a Padova i Comuni sono entrati in carcere… per raccontare che è
possibile accogliere i detenuti fuori, a lavorare nel territorio.
La
Casa di reclusione di Padova ospita 850 detenuti, a fronte di una capienza di
circa la metà. All’interno lavorano circa 230 persone. Fuori invece…
lavorano 27 detenuti, un numero davvero esiguo.
Grazie
a convenzioni nei Comuni di Galliera Veneta (due detenuti per servizi di
manutenzione ed ecocentro), San Giorgio in Bosco (un detenuto per servizi di
manutenzione), Limena (uno-due detenuti per servizi di biblioteca e archivio),
Trebaseleghe (un detenuto per servizi di manutenzione), Padova (Politiche
Sociali, URP, Archivio generale/un detenuto per servizi di legatoria) da anni
detenuti che hanno già espiato una parte della loro pena continuano, lavorando
nel territorio, il loro cammino verso la libertà. Grazie agli sgravi
previdenziali e fiscali previsti per le cooperative sociali, per i Comuni è
un’opportunità di avere servizi a costi contenuti.
C’è
un reciproco vantaggio, su cui si costruiscono percorsi umani di conoscenza e
crescita.
Oltre
ai sindaci dei Comuni già coinvolti, sono venuti in carcere per conoscere
questa realtà i sindaci e amministratori di Campo San Martino, Loreggia, Masi,
Massanzago, Rubano, Saonara, Solesino, Vigodarzere, Vigonza.
Ma…
non c’erano solo i sindaci: in carcere, a testimoniare, sono venuti anche i
consiglieri comunali, i tecnici degli uffici comunali con cui si collabora, e
soprattutto gli operai che lavorano fianco a fianco con i detenuti, cioè uno
spaccato del tessuto istituzionale e sociale che accoglie i detenuti da anni.
Una
notazione importante: si tratta di progetti che in questi anni hanno
attraversato indenni ribaltoni politici non indifferenti; nei piccoli Comuni, ad
esempio, si è passati da giunte di centrosinistra a giunte di centrodestra o
leghiste. Un piccolo segno del fatto che la cultura della rieducazione e del
reinserimento cresce e fiorisce e dà frutti sul campo, dal contatto diretto tra
società e carcere, a volte più che nelle alte sfere del dibattito ideologico
astratto.
Il
senso dell’incontro è stato raccontare le buone prassi dal basso, a partire
dalle voci delle persone che giorno per giorno le vivono e costruiscono.
Il
carcere ringrazia i sindaci
Salvatore
Pirruccio,
Direttore della Casa di Reclusione di Padova
Grazie
a voi sindaci e amministratori che avete ricavato una parte del vostro tempo per
essere qui oggi.
Noi
volevamo ringraziarvi per quello che avete fatto fino ad ora e continuare la
collaborazione che abbiamo in atto.
Voi
sapete che la popolazione detenuta, aumenta continuamente in tutta Italia, e
aumenta anche qui, naturalmente!
Un
po’ più lentamente rispetto agli altri istituti, perché questa è una Casa
di Reclusione, dunque vengono i detenuti, qui, dopo aver esaurito i tre gradi di
giudizio. Però vengono per delle pene lunghe e arrivati ad un certo punto della
loro esecuzione penale, vi è la necessità di tentare il reinserimento
nell’ambito del territorio; per questo abbiamo estremo bisogno di voi.
So
bene che gli enti pubblici non possono assumere direttamente persone detenute o
ex detenute, però attraverso quella rete di cooperative e volontariato che è
molto attiva qui nel territorio di Padova, possiamo provare a “sistemare” i
nostri ospiti in vista della scarcerazione definitiva.
Il
progetto con voi da anni funziona e in questo momento di difficoltà dobbiamo
cercare di incrementarlo. Altrimenti tutto il lavoro fatto si vanifica.
Ma
non solo, con i numeri che aumentano in modo esponenziale, non riusciremo più a
gestire, a dare sbocco alla gestione dei nostri ospiti.
All’inizio la gente diceva: “Ecco i
carcerati!” Adesso dice: “Ecco i ragazzi!”
Stefano
Bonaldo,
Sindaco di Galliera Veneta
Io
sono particolarmente felice di essere qui, perché l’incontro di oggi è una
tappa di un percorso che viene da molto lontano.
Ora
a noi che siamo qui sembra facile dire: “…si, due carcerati qua, due
carcerati là…”.
Ma
all’inizio le diffidenze e le difficoltà da superare sono state parecchie.
Perché
un conto è lavorare in un comune di un milione di abitanti, altra cosa è
lavorare in un comune di poche migliaia di abitanti, dove tutti più o meno si
conoscono, dove gli operai del comune sono come delle istituzioni (perché li
vedi sempre in strada), e quando vedi due persone estranee insieme a loro, dici
“… ma chi sono questi…?”.
Vengono
già considerati come degli stranieri, se poi qualcuno dice “… ma sono anche
dei carcerati…”, ecco che la croce gliela metti addosso subito!
È
stato difficile ed è doveroso ringraziare soprattutto chi ha lavorato assieme
con loro.
È
una realtà talmente difficile e complessa che solo la pazienza, e forse anche
la predisposizione di alcune persone (ufficio tecnico ed operai), ha permesso di
continuare.
Noi
come amministrazione siamo oramai da circa un anno e mezzo in carica e devo dire
che… per fortuna che ci sono i carcerati… perché il lavoro che fanno è
davvero prezioso.
Debbo
inoltre aggiungere che dal punto di vista umano, collaborare con loro è
un’esperienza molto particolare.…
Vedere
gente che quando dici “fai qualcosa…” brillano loro gli occhi, mentre è
una cosa per noi cittadini ”liberi” magari assolutamente pesante o priva di
significato, ma per chi vive la realtà del carcere invece è qualcosa di…
quasi liberatorio, o qualcosa che li strappa da una realtà dove li hanno
portati gli eventi della vita oppure scelte sbagliate.
Quindi
io spero veramente che le esperienze che fanno i carcerati nei Comuni siano
qualcosa che li arricchisca, motivo di educazione, ma comunque un momento di
riflessione per loro, ma anche uno spazio di arricchimento per la comunità
civile.
Inizialmente,
rammento i primi anni sentivo dire dai miei compaesani “…Ecco i
carcerati…!”. Ora quando li vede la gente dice “…ecco i ragazzi…!”.
Non
si vede più e solo la persona che deve scontare la pena perché ha sbagliato,
ma si vede una persona che ha sbagliato e la sua umanità, ma pensare che vuole
in qualche modo cambiare vita e stile di vita.
Un
bilancio positivo sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista
costi-benefici
Renato
Miatello,
Sindaco di San Giorgio in Bosco
Per
me è un piacere e anche un orgoglio poter portare la testimonianza del Comune
di San Giorgio in Bosco, che accoglie una persona proveniente da questa casa di
reclusione, impegnandola al fianco di nostri dipendenti che operano direttamente
sul territorio.
Il
bilancio di questa nostra esperienza non può che essere positivo sotto ogni
punto di vista.
Dal
punto di vista del rapporto umano, in quanto ha permesso a chiunque sia venuto a
contatto con queste persone di superare quelle diffidenze, fondate sui
pregiudizi culturali, che ognuno di noi inconsciamente porta con sé, quando si
parla di individui condannati e che stanno scontando la loro pena in carcere.
Altrettanto
positivo può considerarsi il bilancio se valutato dal punto di vista
strettamente materiale.
Infatti
abbiamo quasi sempre incontrato detenuti che hanno dimostrato impegno e
responsabilità, ottimizzando così il rapporto costi e benefici.
È
indubbio il fatto che, come Enti Territoriali, il nostro impegno nel contribuire
alla funzione di reinserimento nella società di questi nostri fratelli che
stanno scontando il loro debito con la giustizia, è fondamentale.
Soprattutto
se siamo convinti che il carcere in Italia deve avere una funzione riabilitativa
e non solo punitiva.
La
testimonianza di un detenuto che lavora in un Comune
Francesco
Con
piacere colgo l’occasione dell’incontro per testimoniare la mia esperienza
lavorativa presso il Comune di San Giorgio in Bosco.
Dopo
tanto tempo trascorso all’interno di un penitenziario, le incertezze e i
timori che ti assalgono alla vigilia di una nuova fase di vita sono molti, da
quelli pratici come non riconoscere la valuta e non sapersi destreggiare con le
linee e i tempi dei pullman, a quelli di ordine interiore: pensieri, sentimenti,
interessi.
Il
dubbio più grande che mi condizionava era quello di non sapere come sarei stato
accolto dalla comunità di San Giorgio in Bosco, e in primis dai dirigenti
dell’ufficio presso il quale mi apprestavo a fornire la mia opera, oppure come
sarei stato ricevuto dai futuri compagni della squadra di lavoro. Inoltre, credo
sia un sentimento comune per noi detenuti domandarci come saremo e se saremo
tollerati da quella collettività organizzata di cui entreremo a far parte.
Fortunatamente
posso dire che il mio imbarazzo e i miei dubbi sono svaniti velocemente.
La
Provincia si impegna a pubblicizzare tra i Comuni questi progetti
Enrico
Pavanetto,
Provincia di Padova,
Assessore
alla Sicurezza, alle Associazioni, al Volontariato
Ogni
volta che entro in carcere… quando sento il cancello che si chiude… beh
insomma il magone c’è.
Sicuramente
la pena deve essere scontata, dal mio punto di vista chi sbaglia è giusto che
paghi e quindi se anch’io dovessi commettere un errore sarebbe giusto anche
quel tipo di percorso carcerario.
Ma
dall’altra parte giustamente il carcere dovrebbe avere anche motivi di
rieducazione, e allora come si può pensare alla rieducazione senza il lavoro?
Se
io mi dovessi ritrovare a non far niente per ventiquattro ore al giorno, con
quali stimoli poi al momento in cui uscissi troverei la voglia e la forza di
comportarmi meglio e di ricominciare a combattere giorno per giorno affrontando
tutte le difficoltà e dimostrare che anche quel tipo di esperienza, quella
carceraria, in qualche modo mi è servita?
Come
Provincia di Padova cercheremo sicuramente di pubblicizzare la possibilità del
lavoro esterno anche nei confronti di quelle amministrazioni che ancora oggi non
hanno avuto questo tipo d’esperienza, quella che può essere l’opportunità
di avere servizi anche a costi limitati rispetto a quello che sarebbe il costo
di un dipendente.
Non
ha senso tenere le persone dietro le sbarre senza offrirgli uno scopo di vita
Angela
Venezia,
direttore Ufficio detenuti e trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione
Penitenziaria del Triveneto
Sono
il direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento del D.A.P. del Triveneto.
Io
in pratica mi occupo del trasferimento dei detenuti e della loro migliore
allocazione all’interno degli istituti del Triveneto, che in questo momento
sono diciassette attivi, molti purtroppo non proprio dal punto di vista
strutturale idonei alla tenuta, alla gestione, alla conservazione e alla
custodia delle persone che sono in esecuzione penale e delle persone che non
sono in esecuzione penale, ma sono semplicemente in misura cautelare. Il numero
di detenuti è il più alto che noi abbiamo mai avuto dal punto di vista
storico, credo, da quando il carcere è stato istituito come istituzione dei
tempi moderni.
Noi
qui in questo momento parliamo di esperienze di persone che hanno commesso degli
errori e sono state definitivamente condannate e che possono accedere alla
possibilità di recuperare quello spazio nel contesto sociale che gli è dovuto.
Questo non lo dico io, ma lo dice la nostra Carta costituzionale, che finché è
in vigore è giusto che venga ricordata ogni tanto.
I
detenuti sono persone, forse questo l’abbiamo dimenticato un po’ troppo in
passato e si continua a dimenticare oggi quando si utilizza il carcere come
unico ricettacolo per i nostri rifiuti sociali. Il carcere non deve essere
questo, la sua ratio è quella della rieducazione e del reinserimento.
Nel
momento in cui ho conosciuto i detenuti e ho visto che sono uguali a me,
comincio a lavorare come struttura sociale del territorio, per far conoscere
questa persona agli altri che sono nel territorio. Intendiamoci, questo non è
un discorso buonista, perché se il detenuto che va fuori commette degli errori
e l’esperienza non è positiva, torna in carcere senza tanti ma e tanti se,
esattamente come l’operaio che viene licenziato se commette degli errori. Ma
se questa persona dovesse dimostrare di essere effettivamente capace di svolgere
il suo ruolo, di aver recuperato, di aver risarcito la collettività per
l’errore che ha fatto… bene, a quella persona bisogna permettere di andare a
lavorare come le persone normali.
Io
dico questo non perché me lo sto inventando, ma semplicemente perché vengo da
un’esperienza lombarda concreta, dove i sindaci dei vari paesi della Val
Seriana hanno presentato i detenuti che avevano lavorato per loro all’azienda
locale, all’azienda tessile che in quel momento funzionava.
Io
credo che questo sia lo sforzo in più che ai sindaci va chiesto, oltre a quello
della sensibilizzazione di altri Comuni, non solo a Padova ma anche in tutti i
Comuni del Triveneto.
Quando
parliamo di carcere parliamo di una marginalità trasversale, non si parla di
carcere solo in termini di persone che stanno chiuse all’interno di un cubo,
ma di una realtà che coglie e tocca i problemi dell’intera collettività.
Voi
avete mai pensato per un attimo che qui dentro, in questo poco spazio, in queste
mura, in questo perimetro ci sono più di ottocento detenuti, più di trecento
agenti, un giro di persone che circolano all’interno di un perimetro
circoscritto? Se pensiamo a questo, pensiamo che questo è come un paese e
questo paese ha bisogno di svilupparsi, ha bisogno di trovare il senso.
Scusatemi, ma non ha senso tenere le persone recluse dietro le sbarre senza
offrirgli uno scopo di vita. Che senso ha che io stia in cella e non abbia un
motivo per cui debba alzarmi?
I
detenuti sono cittadini normali, dobbiamo offrire loro la possibilità di avere
un senso e il senso è la rieducazione e il reinserimento: non ci inventiamo
nulla, lo dice semplicemente la legge.
Il
carcere è gestito dall’amministrazione penitenziaria, ma l’amministrazione
penitenziaria perché il carcere funzioni, e funzioni nel senso che la legge gli
impone debba funzionare, ha bisogno della collettività e del mondo esterno.
Io
come direttore dell’Ufficio detenuti e trattamento ho istituito la Commissione
ex articolo 25/bis, che è una Commissione che si occupa delle attività
lavorative all’interno di tutte le strutture del distretto di competenza, che
adesso sembra che abbia trovato finalmente dei buoni interlocutori e soprattutto
la voglia di fare, attraverso i rappresentanti della Regione, attraverso i
rappresentati del mondo del profit e del non profit. Ho invitato anche i sindaci
ad essere rappresentati in questa Commissione, i sindaci hanno accettato.
È
vero che oggi come oggi abbiamo problemi di persone che perdono il lavoro,
abbiamo tantissime difficoltà; il carcere è una di queste difficoltà alla
pari delle altre. Non è un gradino più sotto, perché può capitare a tutti di
sbagliare e tutti abbiamo diritto di avere un’altra possibilità.
Anche la giustizia riparativa è
un’occasione per collaborare con i Comuni
Graziella
Palazzolo,
Direttore Ufficio per l’Esecuzione Penale Esterna di Padova e Rovigo,
Ministero della Giustizia
Io
ringrazio perché mi si è data l’occasione di partecipare; conosco per
ragioni di lavoro questa realtà, ma scopro sempre delle cose nuove.
Penso
che l’elemento che ci accomuni tutti qui sia il credere che comunque la
persona umana che ha sbagliato può essere recuperata.
Ovviamente
può essere recuperato nella misura in cui alla pari degli altri le vengono
garantiti i diritti di cittadinanza.
Il
detenuto arriva in carcere bruscamente e il rientro fuori in una realtà
extramuraria invece è molto graduale ed è possibile nella misura in cui tutti
lavoriamo assieme.
Noi
facciamo parte del Ministero della Giustizia, Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria, collaboriamo con il carcere e seguiamo le misure alternative
fuori dal carcere; tanto per andare ai numeri, in questo momento abbiamo circa
mille utenti in carico, di cui cinquecento sono dentro agli istituti di Rovigo,
Padova Casa di reclusione e Casa circondariale e invece cinquecento sono
distribuiti sul territorio, appunto in esecuzione penale esterna.
Io
rilancio qui la tematica della giustizia riparativa, perché noi come U.E.P.E.
siamo in grossa difficoltà in questo momento per questo tema; la magistratura
di Sorveglianza di Padova e di Venezia all’interno delle misure alternative
prevede per tutti gli affidati che svolgano attività di giustizia riparativa.
Noi
chiediamo, e lo chiedo a tutti voi, di condividere con noi una campagna di
sensibilizzazione, cioè di farsi portavoce affinché non ci siano idee di
diffidenza ad accogliere i nostri utenti in giustizia riparativa; la giustizia
riparativa è un’attività completamente gratuita e proprio per imposizione
del giudice deve essere svolta a favore di enti pubblici o a favore delle
associazioni.
Chiediamo
ai Comuni di accogliere questi utenti, anche perché hanno un costo minimo,
hanno solo i costi dell’assicurazione.
L’ultimo
accenno è al Codice della strada, che oggi prevede che l’esecuzione della
pena venga tramutata ed eseguita prestando lavori di pubblica utilità, ossia
attività gratuita a favore degli enti locali.
Nella
misura in cui gli enti locali saranno sensibili e ci daranno la possibilità di
spazi per l’inserimento, noi potremo farci sensibilizzatori presso gli
avvocati e i giudici, e tantissime persone anziché avere la condanna o
bruciarsi la sospensione condizionale (che nella vita non si sa mai che possa
servire per cose più serie), possano svolgere questa attività gratuita a
favore della collettività dando l’esempio.
La
cittadinanza è una cosa che costruiamo assieme dando l’esempio che qualunque
onesto cittadino è un educatore di strada; qualunque politico che abbia buon
senso capisce che tutti i cittadini, anche i detenuti, fanno parte della
collettività.
Più che molte chiacchiere, per educare
sono importanti le testimonianze
Vanila
Meneghetti,
vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Galliera Veneta
Io
volevo semplicemente sottolineare che è solamente la conoscenza diretta che può
evitare le preclusioni e i pregiudizi.
Perché
il fatto che tu incontri e conosci una persona, ti fa vedere la persona come è
in quel momento e non cosa era stata prima e cosa ha fatto prima.
Per
questo mi piace anche il vostro progetto con le scuole (ndr Carcere e scuola di
Ristretti Orizzonti). Io ad esempio comincerei anche nelle medie sicuramente,
perché sono molto spaventata in questo periodo per ciò che riguarda l’uso e
l’abuso di sostanze; è un problema che riguarda (purtroppo) il 30-40% della
nostra gioventù.
Ed
è uno dei problemi principali, per i quali purtroppo i nostri ragazzi passano
in una delle due case, Circondariale e Penale, anche in forma transitoria, ma vi
passano. Quindi penso di avvalermi sicuramente di questa collaborazione, perché
credo che più che molte chiacchiere, per aiutare i ragazzi e i loro disagi
adolescenziali, per educare siano importanti le testimonianze!
E
nessuno è più testimone della persona che ha pagato sulla propria pelle un
incidente di percorso.
Io
sono anche molto emozionata perché ho un ragazzo che ha 19 anni, e sento la
responsabilità come genitore, come amministratore, come educatore, di
salvaguardare questa nostra gioventù.
Perché
in sostanza è il futuro dei nostri paesi.
Il
muro della diffidenza può essere abbattuto
Enrica
Zanon,
Assessore alla Cultura del Comune di San Giorgio in Bosco
Io
ringrazio anzitutto per l’opportunità che ci è stata direttamente offerta
per conoscere la realtà del carcere e voglio parlare dell’esperienza della
Festa delle Associazioni, a cui abbiamo invitato la cooperativa AltraCittà
(presente alla manifestazione con 6 detenuti), con cui abbiamo una convenzione
per l’inserimento lavorativo di un detenuto.
Lì
appunto ho potuto vedere queste persone, nel pieno delle loro attività.
Avevano
anche loro la bancarella, per vendere i prodotti che vengono realizzati in
carcere. Ma soprattutto mi ha colpito, facendo un confronto con le altre
associazioni (non che questo sia un demerito per loro) il fatto che tutte le
persone che facevano parte dello stand della cooperativa erano sempre allegre e
sorridenti, contente per l’occasione che avevano di stare in mezzo alla gente,
con noi.
Ho
visto proprio che questo muro che all’inizio poteva esserci di diffidenza è
stato abbattuto, posso dirlo con estrema tranquillità.
Mi
piacerebbe che le risorse dei Comuni permettessero anche d’impiegare i
detenuti nelle attività culturali, anche negli archivi (molti necessitano anche
di essere sistemati); purtroppo per ora facciamo i conti con una realtà
economica dove questi miei desideri devono rimanere dei sogni.
Speriamo
dei sogni, non delle utopie.
Noi
siamo abbastanza grintosi e combattivi, quindi speriamo di poter mantenere
questo progetto.
Appena
li conosciamo, ci dimentichiamo del posto da cui vengono e in cui tornano la
sera
Valeria
Pavone,
direttrice Archivio generale del Comune di Padova
La
nostra esperienza è cominciata nel 2008, con un leggero velo di diffidenza, che
si è subito dissolto, nel momento in cui abbiamo conosciuto da vicino Sergio,
Gaetano, Alberto (impiegati come borsisti nel restauro della carta) e Moreno
(attività di facchinaggio); ci siamo subito dimenticati del posto da cui loro
provenivano al punto di salutarci spesso il venerdì alle ore 14:00 con un
‘buon fine settimana’, dimenticandoci del posto in cui loro tornavano.
Io
devo dire che sono proprio bravi, preparati in modo professionale, con grande
capacità manuale.
Un
piccolo cenno all’incarico di facchinaggio con Moreno, nel senso che i lavori
di facchinaggio in archivio sono spesso i lavori che vengono fatti meno
volentieri.
Allora
io vi dico la verità… eravamo in ambasce, perché Moreno svolgeva tutti i
suoi lavori troppo velocemente!
Questo
ci può dire anche qualcosa di più sulle motivazioni che loro hanno, e che si
portano fuori.
AltraVetrina: Riciclo della carta Recupero
dei detenuti
Il
negozio AltraVetrina della cooperativa sociale AltraCittà è un multicolore e
caleidoscopico avamposto del carcere nel quartiere di Montà.
Avamposto
della Casa di reclusione per le numerose, creative forme che nascono dalla carta
nel laboratorio di legatoria: scatole, quaderni e libri, agende e calendari, ma
anche perle di carta, luce di carta (lampade), carta rinata, carta di giornale
riutilizzata, fiori di carta...
Avamposto
della Casa circondariale per le cornici di legno e gli specchi prodotti nella
corniceria.
Prodotti
originali e personalizzati, di qualità, dal carcere al territorio.
E
dietro i prodotti le storie, le speranze, l’impegno dei detenuti. Dietro la
vetrina la formazione, la rieducazione, i primi passi all’esterno attraverso i
permessi premio, il primo timido approccio con il mondo “fuori”. Tutto ciò
in un quartiere e una comunità che si aprono con curiosità e disponibilità a
questo complesso mondo.
Questi
i prodotti di “riciclo”:
1)
La “carta rinata” è carta riciclata, prodotta manualmente nel laboratorio
di legatoria e cartotecnica nella casa di Reclusione; l’originalità di questo
prodotto è che nell’impasto viene inserito altro materiale decorativo come
coriandoli, paglia, fili di lana.
2)
La carta di giornale quotidiano, con cui si realizzano borsette ideali come
portadocumenti per convegni e fiere.
3)
Cartone avana da imballi: viene impiegato per realizzare le copertine nei
prodotti di legatoria (agende, rubriche, quaderni, blocchi e cartelline).
AltraVetrina,
via Montà, 182
Tel.
0498901375
Un’agenda per il volontariato realizzata da detenuti “riciclatori”
È
giunta alla quarta edizione l’agenda “RI.A.PRO.” – Realizzata in
Ambiente Protetto, nata dalla collaborazione con l’associazione “Granello di
Senape” e la Cooperativa “Altracittà”, due realtà impegnate nel nostro
territorio nel sostegno e nel reinserimento di persone detenute.
Il
2011 è un anno importante per il volontariato.
Si
celebra infatti, a vent’anni dalla Legge Quadro sul Volontariato (L.266/91),
il secondo Anno europeo delle attività di volontariato che promuovono la
cittadinanza attiva.
Per
festeggiare questa ricorrenza, con le associazioni e la cittadinanza, il CSV di
Padova ripropone nell’agenda il testo della Carta dei Valori del Volontariato,
con l’augurio che esso sia il punto di partenza per un cammino di ripensamento
del proprio essere cittadino prima, e volontario poi.
Dodici
frasi estratte dalla Carta dei Valori accompagnano i dodici mesi dell’anno,
con una interpretazione grafica realizzata da Sabrina Galiazzo.
L’Agenda
2011 presenta altre due novità: l’esterno è realizzato con cartone di
recupero per una doverosa scelta di sostenibilità; nell’interno sono
segnalate, come promemoria, alcune date utili per le associazioni di
volontariato di Padova.
È
possibile chiederne una copia telefonando al numero 0498686817.
Il
presidente CSV Padova, Giorgio Ortolani
La
testimonianza di un artigiano-legatore
Giuseppe
Da
circa un anno partecipo all’attività di legatoria. All’inizio ho letto un
avviso affisso in sezione, per un corso di formazione per artigiani legatori, e
ho chiesto di partecipare perché mi interessava tenere il tempo occupato in
modo costruttivo. Poi, una volta che ho iniziato il corso, ho sperimentato che
oltre ad essere un ”passatempo” era anche una esperienza nuova, che mi ha
appassionato. Finita la formazione, mi hanno chiesto se volevo cominciare a
lavorare all’attività di legatoria per dare una continuità alle cose che
avevo imparato, e ho acconsentito.
In carcere il fatto stesso di svegliarti e sapere che hai quello spazio di tempo che esci dalla cella e sei occupato ti libera un po’ la mente da certi pensieri, impegnandola in cose che io ritengo utili. Questo ti offre la possibilità di passare le ore un po’ più serenamente, e naturalmente quando ritorni in cella sei più sollevato, non hai quella tensione che potresti accumulare restando compresso dentro queste quattro mura della cella. Nel laboratorio di legatoria siamo in quattro a lavorare, Anatolie, l’artigiano più “vecchio” , Eduart, Ismail ed io. Diciamo che il mio è un ruolo di tuttofare, taglio i pezzi, taglio la tela, taglio i dorsi, faccio un po’ la preparazione di tutti i pezzi che compongono il lavoro finito di legatoria per le agende.