Giovanardi ci prova con lo stralcio…
In realtà è come se
passasse tutto il disegno di legge Fini sulle droghe… ma non per tutti, come al
solito. Mi fa un po’ rabbia questo clima di comprensione esploso sui numerosi
casi di cocainomani famosi, diversi da noi sporchi tossici, solo perché per
pagarsi la roba non hanno mai dovuto rischiare niente e commettere alcun reato
di Stefano Bentivogli
Alla IV Conferenza Nazionale sulle tossicodipendenze, che
si terrà a Palermo dal 5 al 7 dicembre 2005, appuntamento che si trascina da
mesi, dovrebbe esserci l’occasione per fare il punto della situazione, e
stabilire, dopo un reale confronto tra istituzioni, Ser.T., pubblico e privato
sociale, gli indirizzi e le priorità che il legislatore dovrà assumere sulla
questione droga. Occorre premettere che in realtà il confronto è di per sé
condizionato dalla volontà comunque di questo governo di procedere con il varo
del ddl Fini - Mantovano, la tanto discussa riforma del Testo Unico sugli
Stupefacenti, il D.P.R. 309/90.
Questo ddl ha già suscitato
discussioni e polemiche, soprattutto tra la gran parte degli operatori pubblici
(i Ser.T.) e delle comunità appartenenti al privato sociale non allineate alle
linee di governo della destra ed alle pratiche terapeutiche delle super
comunità, San Patrignano in testa, che con questo governo e certa politica
hanno un rapporto quasi di parentela. Con questa riforma, così come è stata
presentata, si possono intravedere scenari talmente catastrofici da scatenare
le ostilità, non solo dell’opposizione, ma di tanti altri, perché droghe e
dipendenze mettono in difficoltà qualsiasi schieramento, coinvolgono un po’
tutti ed a nessuno fa piacere immaginare di vedere un bel giorno il proprio
figlio o quello di un parente, o se stessi addirittura, finire in galera per
consumo di stupefacenti, non importa quali né in che quantità. Con la riforma o
si “guarisce” velocemente e obbligatoriamente o si va in galera.
Le ostilità alla linea Fini, che sinteticamente inasprisce
l’attuale legge 309/90, già esplicitamente proibizionista, stanno proprio nel
prevedere un sistema sanzionatorio del consumo di stupefacenti, che arriva al
carcere, qualsiasi siano i quantitativi detenuti per il consumo, e reintroduce
le tabelle sul quantitativo di principio attivo la cui detenzione distingue il
consumatore dallo spacciatore. Su questa famigerata dose minima, che era
presente già nella prima versione della legge vigente, un referendum del ‘93
aveva espresso parere contrario, proprio perché gli italiani si erano resi
conto che quelle famigerate tabelle avevano portato in carcere molti ragazzi,
alcuni dei quali poi morti suicidi nelle celle che li ospitavano. Ora con lo
stralcio Giovanardi le vuole reintrodurre, queste dosi minime, sperando forse
che i consumatori, che comunque pur con modalità progressive arriveranno al
carcere, staranno attenti ad acquistare sempre le giuste quantità di principio
attivo, e che quindi i giudici saranno più facilmente in grado di distinguerli
dagli spacciatori.
Un’altra parte degli articoli stralciati, da far passare
prima della fine della legislatura, riguarda l’equiparazione delle strutture
private a quelle pubbliche (Ser.T.) per quel che ha a che fare con la certificazione
dello stato di tossicodipendenza e per stabilire l’idoneità dei programmi
terapeutici, da seguire in sospensione della pena o in misura alternativa.
Sarà sufficiente costruire comunità secondo i requisiti di
legge ed iscriverle all’albo regionale per certificare quanto oggi invece può
fare solo il servizio pubblico. Comunità private quindi, come sarà privato il
costo che eventualmente avrà il programma terapeutico che consentirà la
scarcerazione, e in realtà non è che l’ennesima spinta verso una sanità
diversa, secondo il reddito che il paziente percepisce. Qui in ballo c’è, oltre
ad un’ipotetica guarigione, anche una scarcerazione certa per condanne fino ai
sei anni. Attualmente comunque, anche senza lo stralcio, pare che i
finanziamenti ai Ser.T. siano continuamente in calo, in favore non del privato
sociale in generale, ma di quello delle grandi imprese del business
terapeutico, quelle delle statistiche poco credibili sui risultati terapeutici.
Chiunque si intenda un po’ di statistica vada a controllare i dati che ha
presentato San Patrignano sulla propria attività, sono veramente bravi, sono
riusciti perfino a usare i risultati in modo tale da far risultare il 70% di
successi dei casi da loro seguiti. In realtà la cosa che riescono a fare bene è
il marketing aziendale, il resto sono favole per persone che hanno bisogno di
crederci, che purtroppo sono di solito genitori disperati che si illudono
veramente, e poi scoprono amaramente che invece dalla droga si esce, ma forse e
con strade sempre diverse, e soprattutto che non ci sono garanzie.
Ma la questione finanziamenti è ancora più complessa,
Giovanardi ha parlato di 16 milioni di euro che verranno impiegati in tre
progetti. Il primo consiste nel finanziare i lavori del carcere per
tossicodipendenti di Castelfranco Emilia ed un altro a Giarre, in Sicilia; il
secondo è rivolto alle famiglie, ossia al dialogo da riaprire con “i nuclei
familiari più problematici, culturalmente meno dotati o socialmente più
isolati” (Adnkronos); il terzo è dedicato ai cocainomani ed ai consumatori di
psicostimolanti.
Mi fa un po’ rabbia
questa comprensione esplosa sui numerosi casi di cocainomani ricchi e famosi
Al di là dei progetti sicuramente discutibili, almeno
quelli di cui si capisce qualcosa tipo le carceri per tossicodipendenti, che
sono l’apologia del non senso in termini terapeutici, si tratta dell’avvio
dell’ennesima “buona prassi” forzata e costosissima, che tende a eliminare
qualsiasi diritto alla libertà di cura per il tossicodipendente e fa
intravedere il rischio di perdere addirittura quel minimo di garanzie che
l’Ordinamento penitenziario dà ai detenuti.
Il progetto invece rivolto alle “famiglie poco dotate
culturalmente” non lo conosco e quindi aspettiamo di vederlo (e le famiglie di
Calissano ed Elkann, che cosa sono?). Infine c’è il progetto che dispenserà un
po’ di soldi per i cocainomani: dopo aver stabilito nelle tabelle che di coca
se ne può possedere un po’ di più, rispetto all’eroina ed al resto, si corre ai
ripari con qualche progetto specifico che sono sinceramente curioso di vedere.
Sì, perché la cocaina è stata per anni uno status symbol, e che nella politica
abbia fatto da anni il suo ingresso non è più un mistero per nessuno.
Personalmente mi fa un po’ rabbia questo clima di comprensione esploso sui
numerosi casi di cocainomani famosi, diversi da noi sporchi tossici, solo
perché per pagarsi la roba non hanno mai dovuto rischiare niente e commettere
alcun reato. Ora con lo stralcio di Giovanardi rischiano di farsi un’overdose
di carcere, ma tranquilli, nello stralcio è prevista l’uscita di sicurezza, e
ve la spiego:
1.
Con dei
buoni avvocati (quelli che costano) si dimostrerà che non c’è fine di lucro,
che in fondo come persone pubbliche si tratta di un neo di fronte a personalità
che tanto hanno dato al mondo dello spettacolo, della moda, dello sport o della
politica, che un momento di debolezza ha causato questa caduta nella
dipendenza, perché il successo ed i soldi (accidenti!) sono difficili da
gestire. Questo garantirà le attenuanti.
2.
Sempre con i
soliti buoni avvocati è possibile convertire la misura cautelare in arresti
domiciliari perché (ancor più facilmente con lo stralcio) qualche comunità
iscritta all’albo certificherà sia lo stato di dipendenza che la necessità di
un programma terapeutico, che dopo poco, sempre secondo programma certificato,
può svolgersi tranquillamente tra le mura della propria lussuosa villa. Per
legge i programmi residenziali (ossia dove si dorme in comunità) sono
obbligatori solo per i tossici che hanno commesso rapine aggravate o
estorsioni.
3.
A questo
punto il processo deve andare un po’ per le lunghe in maniera che, togliendo
dalla pena il periodo trascorso agli arresti domiciliari, la pena che resterà
da scontare sia sotto i sei anni, che è il nuovo termine per chiedere un
affidamento in prova, sempre seguiti da un centro di recupero (non so perché ma
me li immagino a pagamento), di questi che possono fare i programmi terapeutici
senza l’accordo del Ser.T.. Potranno così, se non fanno altre stupidaggini
durante il periodo di messa alla prova, evitare totalmente la galera.
Per gli altri, i non famosi e soprattutto non ricchi, la
storia sarà un po’ più complicata, sarà più facile entrare in carcere perché
saranno facilmente recidivi e difficilmente potranno dimostrare che col loro
reddito potevano detenere lo stupefacente senza attività di lucro, e quindi
avranno grosse difficoltà ad avere il riconoscimento delle attenuanti. Avranno
le stesse possibilità che ci sono oggi di venir presi in carico dal servizio
pubblico, perché i tempi saranno inversamente proporzionali ai finanziamenti
che i Servizi riceveranno. Quindi pene più alte, un po’ di galera sicuramente e
poi, se si ottiene la sospensione o l’affidamento, si tratterà di reggere
diversi anni in realtà che in alcuni casi dalla galera poco si discostano.
Insomma, questo stralcio di riforma che vogliono approvare a tutti i costi è
praticamente la sostanza dell’intero ddl, solo che così si riuscirà a farlo
passare in breve tempo e a renderlo operativo. Siamo alla solita giustizia a
due binari, bastone coi deboli, carezze coi potenti.
Ma a Palermo, dice Giovanardi, ci sarà apertura ai
consigli e alle proposte di tutti, quasi che ci siano proposte alternative
conciliabili con un colpo di mano di questo genere; e non è vero, come dichiara
Giovanardi, che “non c’è alcuna tesi precostituita”, perché le strade possibili
restano sempre due, una penale e repressiva (con il solito salvacondotto per
ricchi e potenti) e l’altra sociale, e quale sia stata imboccata mi sembra
chiaro… Drogarsi fa male, come tante altre cose, in alcuni casi molto di più,
ma non è un reato. La salute ma anche la sopravvivenza alle dipendenze sono
diritti e non doveri, i tossicodipendenti sono persone al di là del loro status
sociale, ed a Palermo invece forse ci andranno solo i cacciatori di drogati, a
parlarsi addosso, fregandosene di chi la dipendenza la combatte in prima fila,
in strada, nelle borgate e non nei salotti delle lobbies, tra vip, modelle ed
imprenditori del malessere.
La garanzia di essere
ascoltati
Salute, territorializzazione della pena, lavoro,
accesso alle misure alternative: il Garante dei diritti delle persone private
della libertà personale della Regione Lazio ha uno sportello in ogni carcere di
sua competenza e si occupa così dei problemi dei detenuti, di quelli generali,
ma anche dei casi individuali, perché nessuno deve pensare di non essere
ascoltato
a cura di Ornella Favero, Stefano
Bentivogli, Graziano Scialpi
È il primo Garante dei diritti delle persone private della
libertà personale istituito da una Regione, e non è una figura simbolica: ha
una sede all’EUR, bella, luminosa, immersa nel verde, e molte persone che
lavorano con lui per rendere sempre più concreto il suo ruolo. Angiolo Marroni,
avvocato, volontario in carcere, ricopre da più di un anno il ruolo di “Garante
dei detenuti” del Lazio. Lo abbiamo incontrato in un luogo piuttosto inusuale
per una intervista, una trattoria della Garbatella. Attorno al tavolo a parlare
di galera, oltre a lui, un suo collaboratore, e poi due detenuti di Ristretti
in permesso, Graziano Scialpi e Stefano Bentivogli, e Ornella Favero.
Vorremmo prima di
tutto fare il punto su come va definendosi, dopo il primo anno di esperienza,
questa figura del Garante regionale dei diritti delle persone private della
libertà personale.
Intanto devo ricordare che l’esperienza del Garante
regionale, che per ora c’è solo nel Lazio, potrebbe allargarsi, nel senso che
la Regione Sicilia ha approvato una legge in cui c’è un articolo che istituisce
il Garante regionale per le persone private della libertà personale. Non so se
l’hanno nominato ma comunque l’hanno istituito, anche se con caratteristiche un
po’ diverse dalla legge che ha istituito quello del Lazio. Vi sono poi alcuni
garanti comunali, i più noti sono quelli di Firenze e di Roma, che sono però
persone più legate alla ricerca, più studiosi che operatori quotidiani. I
nostri operatori invece ogni settimana entrano in tutte le carceri del Lazio,
che sono quattordici, compreso il carcere minorile di Casal del Marmo, anche
con più presenze. Per esempio in carceri come Rebibbia Nuovo Complesso, dove ci
sono circa 1600 detenuti, ci vanno in due, poi seguiamo alcune sezioni
normalmente non seguite, tipo quelle per i transessuali, quella per i malati di
AIDS, cerchiamo di avere una presenza molto attenta. Dentro le carceri funziona
proprio lo sportello del Garante, che fa da tramite tra i detenuti e il nostro
ufficio. È un ufficio che è stato abbastanza potenziato, ci lavorano
quattordici operatori, poi abbiamo avuto due stagisti che vengono a fare il
loro stage qui, e alcuni volontari che svolgono la loro attività con noi.
Il sistema carcerario del Lazio non è omogeneo, abbiamo
circa 5800/5900 detenuti, sono carceri che non hanno lo stesso livello di
fruibilità, di opportunità, spesso l’attenzione di tutti, compreso il DAP, ma
non solo, si ferma su Rebibbia Nuovo Complesso e Rebibbia Penale, al massimo si
arriva a Rebibbia femminile, si arriva a Regina Coeli e poi ci si ferma là. È
difficile immaginare che qualcuno vada a Frosinone, a Cassino, a Latina, a
Viterbo, a Civitavecchia, a Rieti…, quindi da questo punto di vista le carceri
romane sono indubbiamente quelle meglio vivibili sia pure con problemi. Quando
andiamo fuori Roma ci sono situazioni veramente pesanti, difficili sotto ogni
profilo, oltre che per l’affollamento che è una condizione di disagio
generalizzata. Devo dire che non abbiamo avuto finora ostacoli dalle direzioni,
e neppure dal Provveditorato, anzi abbiamo collaborazioni con il Provveditorato
anche in attività di studio e di ricerca, su questioni che riguardano la sanità
ad esempio.
I problemi più pesanti sono sicuramente quelli legati alla
salute, ma anche la questione della territorializzazione della pena è un punto
delicato, perché tu vedi detenuti trasferiti da carceri del Lazio a carceri
lontane centinaia di chilometri come Verona o Trapani. La scusa è sempre il
sovraffollamento, abbiamo molte istanze di detenuti che vogliono tornare a Roma
o al contrario da Roma vogliono andare a Milano.
Riguardo alla salute, c’è un tema che stiamo cercando di
affrontare meglio, che è il rapporto tra le ASL e la medicina penitenziaria. Io
devo dire che inizialmente ero un po’ radicale con tutte le ASL: strada
facendo, visto come funzionano le ASL, mi sono messo a metà strada, perché non
posso non vedere che bene o male all’interno del carcere hanno un sistema
sanitario che per quanto poco ripara, vale a dire che, per esempio, i ricoveri
spesso è più facile averli da detenuti che da cittadini normali. Il problema
sono le scorte, ma una volta ottenuta la scorta, nessuno ti può dire niente, e
questo invece se sei fuori… è quasi peggio!
Anche la questione delle cure dentistiche è una cosa
abbastanza seria, perché se le devono pagare le persone detenute, allora stiamo
cercando di convincere l’Assessorato alla sanità a renderle gratuite.
Poi l’altra cosa importante che facciamo, avendo un budget
piuttosto consistente che la Regione dà al suo Garante, è che qualche volta
provvediamo anche a far fronte a carenze strumentali delle carceri. Per esempio
abbiamo già acquistato sia per Regina Coeli sia per Rebibbia il triage, che è
una macchina tipo defibrillatore, e penso di poter dotare al più presto di
questa apparecchiatura tutte le carceri del Lazio che ne hanno bisogno. Questo
lo facciamo con il nostro budget, è una collaborazione anche un po’ delicata
perché qualcuno poteva dire: “Ma tu, perché stai usando i tuoi soldi al posto
dei soldi che dovrebbe mettere a disposizione il DAP?”. Però questo è un
argomento del tutto teorico perché poi il DAP non li mette a disposizione, i
soldi per questi strumenti, e nelle carceri la situazione sanitaria è sempre
più pesante.
L’altro grande problema che incontriamo è il lavoro. Devo
dire che c’è una buona attitudine del Comune di Roma e della Provincia, in
virtù della quale le cooperative sociali hanno un trattamento di riguardo. Di
recente abbiamo costituito e patrocinato un consorzio di cooperative, con delle
specializzazioni sul verde, l’edilizia, le pulizie… che vanno sul mercato, che
assumono detenuti, anche in articolo 21, e poi abbiamo esperienze di
cooperative sociali che gestiscono la mensa in carcere. Ma bisogna potenziare
questo tipo di attività, e così stiamo cercando di mettere in cantiere un’altra
iniziativa, che è quella di promuovere una banca per il microcredito alle
piccole imprese artigiane e cooperative, con la mia partecipazione come
garante, anche finanziaria. Dovrebbe essere una banca plurifondo e ci dovrebbe
essere anche un fondo per fare credito alle imprese e cooperative di detenuti,
ma tutto questo è condizionato all’autorizzazione della Banca d’Italia.
Io devo dire francamente che con la magistratura di
sorveglianza noi abbiamo un rapporto difficile; alcuni magistrati sono
eccellenti, il presidente del Tribunale di sorveglianza è molto disponibile,
però quando poi vai dai magistrati di sorveglianza…! Le cose non sempre
funzionano, loro adducono come giustificazione il fatto che sono sovraccarichi
di fascicoli, di cause, di udienze, e poi c’è senz’altro un problema grave che
è una carenza di organico dei magistrati stessi, quindi ci sono delle pratiche
inoltrate nel 2004 ignorate totalmente perché non c’è un magistrato che si
prende l’incarico di valutarle.
Nelle carceri del Lazio, in alcune realtà trovo drammatica
la condizione dei malati di AIDS, trovo anche molto brutto il fatto che
nell’alta sicurezza molti detenuti non vengono declassificati come spesso
potrebbe essere, solo perché ci si attiene a non meglio specificate informative
da parte delle forze dell’ordine. Io poi ho chiesto di poter accedere a
visitare il 41bis, ma non mi fanno entrare, e questo trovo che sia una
violazione perché anche i detenuti del 41bis hanno dei diritti che meritano di
essere tutelati.
Io ho detto ai miei collaboratori che le risposte ai
singoli detenuti vanno date tutte, quindi non si può avere una posizione
ideologica per cui o il problema è generale o non è. Noi siamo garanti dei
diritti del detenuto e perciò anche dei singoli detenuti. Quindi il nostro
dovere è questo, prendere in considerazione tutte le richieste che ci arrivano
dalle carceri. Però è chiaro che una funzione così importante come quella del
Garante, istituzionale, regionale, per altro anche così costosa, non è che può
esaurirsi soltanto in questo, per cui noi affrontiamo temi anche più generali.
Per esempio abbiamo firmato dei protocolli d’intesa con i direttori delle
carceri, con i quali il rapporto è molto buono, e se nascono problemi evitiamo
le sparate giornalistiche inutili e cerchiamo di risolverli appoggiandoci a
questi protocolli. Se poi non li risolviamo allora ognuno di noi ha la libertà
di dire e fare quello che vuole. Il protocollo ci obbliga a discutere il caso
quando sorge e ad affrontarlo se possibile in collaborazione.
Sì, stiamo cercando di mettere a punto una iniziativa che
affronta il tema di una possibile riforma del diritto penitenziario. La
organizzeremo noi con una importante associazione di magistrati in una sede
autorevole tipo la Fiera di Roma, dove inviteremo diverse personalità,
magistrati, avvocati, politici, e poi naturalmente detenuti, per trattare
questo argomento della riforma del diritto penitenziario alla luce di una
ipotesi di puntare di più sui diritti piuttosto che sui doveri dei detenuti.
Noi abbiamo firmato finora più protocolli, uno con la
CGIL-CISL-UIL e con l’UGL, un altro con l’azienda che si occupa del diritto
agli studi universitari della Regione Lazio, che è l’azienda che dovrebbe
aiutare i detenuti studenti delle scuole medie superiori ad accedere
all’università e anche a trovare soluzioni post-universitarie.
Abbiamo firmato anche un protocollo con il coordinamento
delle associazioni di volontariato del Lazio, e uno ne abbiamo messo a punto
con il principale sindacato della polizia penitenziaria, ed abbiamo fatto anche
un accordo di collaborazione con il CSSA. Posso dire che da tutte le parti c’è
una gran disponibilità a collaborare, poi certo il problema è di gestirli
davvero, questi protocolli, perché non rimangano sulla carta, ma vengano
applicati e diventino utili strumenti di lavoro.
Abbiamo parecchie difficoltà con gli stranieri, perché
sono quelli trattati peggio, hanno il problema della famiglia, di una cultura
diversa, di una serie di ostacoli da superare per riuscire a telefonare a casa.
Fanno poi molta fatica a trovare un lavoro esterno e quindi a ottenere
l’ammissione a misure alternative. Quello che noi possiamo fare concretamente,
tanto per cominciare, è cercare di avviare dei rapporti con le ambasciate. A
breve poi firmeremo una specie di accordo con il Consiglio dell’ordine degli
avvocati di Roma, in modo tale da avere un rapporto chiaro con gli avvocati e
con le camere penali con l’intento di facilitare l’accesso al gratuito
patrocinio per tutti quelli che ne hanno diritto, anche per gli stranieri.
Un detenuto per ottenere un colloquio con il nostro
ufficio deve fare la “domandina”. I nostri operatori a giorno fisso ogni
settimana stanno lì, ricevono i detenuti nelle sezioni, a volte hanno anche un
locale messo a disposizione dalla direzione, raccolgono le segnalazioni di
problemi e poi, in ufficio, le esaminiamo caso per caso per vedere cosa si può
fare e diamo prima possibile una risposta, cercando di affrontare e di
risolvere i problemi, vuoi con il Provveditorato, vuoi con il DAP, con il CSSA,
con le famiglie.
Riceviamo anche lettere da altre parti d’Italia, da
detenuti che hanno sentito parlare di noi. Incontriamo anche parecchi
familiari, purtroppo non possiamo dare aiuti economici a nessuno, ma è anche
vero che nessuno ce li chiede, ci chiedono piuttosto di risolvere problemi,
inerenti ai trasferimenti ed agli avvicinamenti ed alle difficoltà che ne
conseguono.
I trasferimenti all’interno della regione fanno capo al
Provveditorato e con quello abbiamo un rapporto diretto, quando si tratta del
DAP che si occupa dei trasferimenti nazionali la cosa è molto più complicata.
La risposta che riceviamo più frequentemente è che per motivi di sicurezza non
è possibile operare il trasferimento richiesto. Loro hanno sempre la
motivazione dell’affollamento e della sicurezza, e poi succede che un detenuto
dell’alta sicurezza, da Roma, con la famiglia che vive in Campania, con bambini
piccoli, lo mandino a Nuoro e ci resti per anni. Io trovo che le assegnazioni
dei detenuti nelle varie sedi carcerarie siano una delle cose che hanno meno
senso.
Il problema degli alloggi è complicatissimo, noi abbiamo
tentato di risolvere qualche situazione abitativa, però non è facile. Ci sono
delle iniziative della Provincia, dei contributi per trovare alloggi, ci sono
case famiglia per detenuti anche stranieri. Abbiamo avanzato la richiesta al
Comune di reperire degli alloggi, però è una questione davvero fra le più
complesse da affrontare.
Il Garante poi potrebbe anche occuparsi di coordinare le
iniziative degli enti locali sul carcere. Per quanto riguarda i rapporti con
altri assessorati che si occupano di carcere, tipo quelli per le politiche
sociali, siamo in una fase iniziale. Questi assessorati si dedicano al carcere
con poche iniziative, io ho detto a tutti loro che siamo assolutamente contenti
che le facciano, queste iniziative, una cosa che però ho ribadito è che
bisognerebbe ci fosse un’organizzazione migliore sulla copertura del
territorio, perché se tutti vanno a Rebibbia e Regina Coeli, quei poveri
disgraziati che stanno a Latina cosa fanno?
Qualcuno mi ha accusato di essere “istituzionalizzato”, e che essendo istituzionalizzato, sono portato ad essere accomodante e quindi a non avere conflitti. Allora io ho dimostrato invece che ogni volta che un caso merita il contrasto, io non ho difficoltà ad affrontarlo, anzi, sono disposto a battermi per far capire a tutte le istituzioni, compresa quella giudiziaria, che noi siamo all’interno di un sistema che chiede, per norma costituzionale, di prevedere la pena unitamente, non separatamente, al reinserimento, e tutti dobbiamo rispettare questa norma. Nel farlo ci possono essere naturalmente delle situazioni conflittuali, e quando poi arrivi all’accordo, non devi pensare che la questione sia chiusa: il problema è gestirlo poi l’accordo, farlo rispettare, per non rischiare di perdere i benefici ottenuti.