Anche il lavoro prigioniero può diventare
competitivo
L’esperienza della Casa di reclusione di Porto
Azzurro. Sull’isola d’Elba, un gruppo di operatori penitenziari e di volontari
porta avanti la cooperativa sociale San Giacomo. Che gestisce servizi per i
turisti, realizza souvenir e oggetti artistici, intesse reti con altre carceri
d’Italia. Nella convinzione che, per un detenuto, solo la professionalità nel
lavoro può aprire le porte a una nuova vita
a cura di Marino Occhipinti
“Perché il nostro ruolo sia davvero efficace, dobbiamo
fare quotidianamente una scelta di concretezza. Che significa porci obiettivi
precisi senza alcun atteggiamento demagogico”. Domenico Zottola è responsabile
dell’area trattamentale nella Casa di reclusione di Porto Azzurro, all’isola
d’Elba. Ma è soprattutto vicepresidente della cooperativa sociale San Giacomo,
che cerca di creare sempre più posti di lavoro per i detenuti, sia all’interno
del penitenziario che sul territorio, impegnandosi a raggiungere livelli
professionali spendibili sul mercato. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua
lunga esperienza e i risultati dell’avventura imprenditoriale e sociale che ha
intrapreso qualche anno fa insieme a un gruppo di operatori penitenziari e di
volontari.
Quali sono gli obiettivi della cooperativa San Giacomo?
L’obiettivo primario della cooperativa San Giacomo è la
promozione di nuove opportunità di lavoro e di interventi formativi per i
detenuti, che potranno spendere sul territorio quando usufruiranno delle misure
alternative e poi quando torneranno in libertà. Non potevamo quindi prescindere
dall’esigenza di sostituire, o almeno affiancare, al sistema tradizionale –
quello delle cosiddette “lavorazioni inframurarie” industriali, agricole o
domestiche, che non è esagerato definire fallimentare – un modello alternativo,
assolutamente innovativo, caratterizzato dall’organizzazione e dalla gestione
di attività professionali con datori di lavoro esterni all’Amministrazione
penitenziaria.
Quando è nata la cooperativa, e chi ha preso l’iniziativa?
L’idea c’era già nel 1999: l’allora direttore della casa
di reclusione di Porto Azzurro, Pierpaolo D’Andria, ha compreso che le
innovazioni legislative (cioè la legge Smuraglia e l’articolo 47 del nuovo
Regolamento penitenziario, il 230 del 2000) avrebbero sollecitato un
avvicinamento delle imprese private e delle cooperative sociali al lavoro
penitenziario. Il mio coinvolgimento fu naturale. Così, dopo un’intensa
campagna promozionale, siamo riusciti a coinvolgere vari soggetti, e il 20
ottobre del 2000 è stata formalmente costituita la cooperativa San Giacomo. Fra
i soci fondatori compaiono la Curia di Massa Marittima, i Comuni di Porto
Azzurro e Capoliveri, le associazioni di volontariato locale, la Banca
dell’Elba, la Coopfond, la Coop Toscana Lazio e vari liberi professionisti.
Successivamente sono entrati anche il Comune di Follonica e Fondosviluppo. La
parte svantaggiata è naturalmente rappresentata dai detenuti di Porto Azzurro.
La cooperativa in realtà ha iniziato a operare per un breve periodo nel 2001
nel settore della ristorazione, ma solo nell’estate del 2002 abbiamo avviato
attività più continuative.
Quali sono queste attività?
Per il Comune di Campo nell’Elba, la cooperativa gestisce
un servizio di ristorazione per i turisti autorizzati ad accedere nell’isola di
Pianosa attraverso visite guidate, e vende gadget, souvenir e t-shirt
realizzati dai detenuti. Ci occupiamo poi di manutenzioni edili, di risanamento
delle aree verdi a Pianosa e all’Elba, di noleggio di mountain-bike e delle
passeggiate su carro a cavallo a Pianosa. Siamo inoltre impegnati in
un’attività di scavi archeologici con la Sovrintendenza, realizziamo prodotti
editoriali su formato informatico per ipovedenti, commercializziamo prodotti
artigianali e artistici dei detenuti in un punto vendita davanti all’ingresso
alla Fortezza Spagnola, la sede della Casa di reclusione. Qui si vendono anche
oggetti realizzati in altri penitenziari: l’Ospedale psichiatrico giudiziario
di Montelupo Fiorentino, le carceri di Viterbo, Livorno, Roma Rebibbia e il
femminile di Venezia. L’obiettivo è ampliare progressivamente la gamma dei
prodotti e degli istituti non solo a fini commerciali, ma soprattutto per
rafforzare nella comunità esterna la consapevolezza che il carcere ha le
potenzialità per interagire con la società anche attraverso manufatti di buona
qualità.
Quante persone lavorano nella cooperativa e con quali criteri
retributivi?
Per lo svolgimento di tutte le sue attività, la
cooperativa si avvale mediamente di 15-25 dipendenti. La presenza di detenuti
oscilla tra l’80 e il 90 per cento e la retribuzione risponde ai parametri per
le cooperative sociali. Solo in casi particolari vengono stipulati contratti a
progetto.
Siete riusciti, nel corso di questi anni, a incrementare
le vostre attività?
Voglio precisare che la cooperativa non si avvale di
contributi assistenziali da parte di enti pubblici o privati, ma per ogni sua
attività ha corso per intero i rischi di impresa. Ecco perché la crescita non
poteva essere veloce. Nonostante questo, il nuovo soggetto imprenditoriale ha
progressivamente, anche se con fatica, ampliato i propri settori di intervento.
Le possibilità lavorative sono limitate al periodo di
detenzione oppure possono proseguire nella fase del dopo carcere, per
consentire un graduale reinserimento nella società?
È obiettivo primario della cooperativa offrire ai detenuti
che tornano in libertà l’opportunità di proseguire il percorso di reinserimento
sociale attraverso la continuità del rapporto di lavoro.
Quante persone, fino
a oggi, sono passate dalla cooperativa e quante di queste sono riuscite a
ricostruirsi una vita?
In genere, la Casa di reclusione di Porto Azzurro ospita
detenuti con condanne molto elevate: il rapporto di lavoro con la San Giacomo
non può quindi esaurirsi in tempi brevi. Per alcuni l’esperienza con noi è un
passaggio importante per ottenere la semilibertà e lavorare presso imprese più
vicine alle loro famiglia. Per altri il rapporto prosegue bene: il lavoratore è
soddisfatto e così pure la cooperativa, che può continuare ad avvalersi di
personale che ha a cuore il progresso dell’attività imprenditoriale. Quasi
tutti i soci lavoratori svantaggiati percepiscono la cooperativa come una
piccola impresa sociale che, attraverso la loro opera responsabile, può offrire
opportunità di reinserimento anche ai loro compagni di pena.
Quali altre opportunità Porto Azzurro offre ai detenuti?
Questo carcere, per tradizione, ha sempre cercato di
privilegiare le attività scolastiche, culturali e lavorative. Attualmente ci
sono corsi scolastici istituzionali di ogni ordine e grado: scuola elementare e
media, tutte le cinque classi del liceo scientifico, oltre al Polo
universitario con quindici detenuti iscritti. Complessivamente, circa novanta
persone frequentano i corsi scolastici.
Una particolare attenzione viene poi rivolta alla
pubblicazione della rivista storica, “La grande promessa”, fondata nel 1951:
dopo un periodo di sofferenza per la tipografia, ha sospeso temporaneamente
l’edizione cartacea ed è pubblicata per via informatica. Sta inoltre per essere
completato il recupero di un vecchio reparto per costituirvi il “Polo delle
attività”, dove concentrare le attività formative e culturali e il laboratorio
informatico della San Giacomo. È stata quasi completata una “sala hobby” per la
realizzazione di prodotti artigianali e artistici: la Società di San Vincenzo
de’ Paoli ha offerto i macchinari e gli attrezzi necessari.
Si dice che il
lavoro in carcere è l’unico strumento per abbattere la recidiva, purtroppo
ancora molto alta. Lei è d’accordo?
L’esperienza che ho maturato mi rafforza nella convinzione
che solo attraverso l’offerta di strumenti solidi si può favorire un
reinserimento concreto ed equilibrato nel contesto sociale. Ritengo che ai
condannati occorra dare strumenti culturali affinché non sia l’ignoranza a
indurli alla devianza, e autentiche opportunità di lavoro perché la persona che
esce dal carcere possa integrarsi nel mondo del lavoro secondo le esigenze che
appartengono a qualsiasi uomo. Nel corso degli anni, tanti anni, ho potuto
verificare che una percentuale molto elevata dei detenuti che hanno potuto iniziare
l’esperienza lavorativa nell’isola d’Elba, attraverso il lavoro all’esterno, al
momento della scarcerazione hanno consolidato la loro posizione
socio-lavorativa sul territorio non manifestando più problemi di devianza.
Quali sono le problematiche più sentite e urgenti del
carcere di Porto Azzurro?
Un problema serio è certamente la carenza cronica di
operatori, in particolare di educatori. Tuttavia – ripeto – ribadisco la mia
convinzione che lo strumento fondamentale per reintegrarsi nella società dopo
il carcere è il lavoro, perché garantisce al condannato la possibilità di
acquisire un ruolo attivo nei confronti della propria famiglia e dell’intera
comunità.
San Giacomo - Società Cooperativa
Sociale a.r.l.
Via Forte San Giacomo, 1. 57036
Porto Azzurro (LI)
e-mail: coopsangiacomo@virgilio.it
sito: ww.coopsangiacomo.it