Quando il futuro arriva dal passato

A Roma, il Centro Giovanile “La Bulla” indirizza i minori devianti verso un mestiere spendibile, ma anche e soprattutto interessante

 

di Graziano Scialpi

 

La Bulla era una sorta di ampollina in lamina d’oro, a forma di lente, che conteneva un amuleto. I bambini romani la portavano appesa al collo fino alla formale entrata nell’età adulta, perché serviva a proteggerli e a tutelarli da ogni tipo di malasorte. Non poteva quindi essere scelto un nome più azzeccato per un centro giovanile che, proprio a Roma, si occupa principalmente del recupero dei minori devianti. Anche perché il leit-motiv di tutte le iniziative realizzate in oltre 12 anni di attività riguarda proprio la storia e l’archeologia romana.

Due vetrine in via Calpurnio Pisone, nella zona di Cinecittà, offrono al passante la vista su altrettante sale, una ospita una fornita biblioteca (riconosciuta dal Sistema bibliotecario di Roma), l’altra è adibita a laboratorio dove i giovani producono ed espongono acque profumate e i loro contenitori, cosmetici realizzati con terre, secondo ricette antico-romane, e poi plastici e accurate ricostruzioni di templi ed edifici. “La nostra linea di intervento prevede che i ragazzi studino la storia antica per fare un viaggio a ritroso nelle proprie radici al fine di valorizzare la propria esperienza”, spiega Lillo Di Mauro, responsabile del Centro e presidente della Consulta cittadina permanente per i problemi penitenziari del Comune di Roma. “Ma non solo. La nostra città è una miniera di tesori artistici e archeologici che ancora aspettano di essere valorizzati e noi puntiamo a trasformare questo interesse in un mestiere spendibile”.

Ormai da dodici anni il Centro organizza, all’interno dell’Istituto penale minorile di Casal del Marmo, dei corsi che ogni anno cercano di trasformare 15 ragazzi in altrettante guide turistiche, senza contare tutti gli altri giovani che vengono dati in affido al Centro dai tribunali minorili di tutto il Lazio. Ogni corso prevede una parte teorica, coadiuvata da supporti multimediali, ed un laboratorio pratico. Grazie alla collaborazione con i Magistrati di sorveglianza, spesso i giovani reclusi possono uscire dal carcere per visitare musei e siti archeologici “dal vivo”.

È stato proprio per merito delle competenze acquisite in questi corsi che i ragazzi hanno realizzato la prima guida dell’Appia Antica, la Regina viarum. Un’esperienza significativa alla quale ne sono seguite molte altre, quali, per esempio, la realizzazione di un Cd-rom sulla via Francigena, che nel 2000 è stato presentato al Palazzo delle Esposizioni. Un lavoro serio e innovativo che ha guadagnato alla Bulla il riconoscimento e la fiducia di istituzioni notoriamente “diffidenti” quali la Soprintendenza ai beni archeologici che, proprio nel 2000, ha affidato al Centro giovanile il progetto “Un giardino per la città”, portato a termine lo scorso anno. Si tratta di uno spazio all’interno del Museo della civiltà romana (  foto nella pagina a fianco) dove una trentina di ragazzi di ambo i sessi, dai 15 ai 18 anni di età, dopo opportuni e approfonditi studi, guidati anche da storici e botanici professionisti, hanno realizzato una ricostruzione filologicamente corretta di un antico giardino romano, con tanto di calchi di statue e affreschi ricreati ispirandosi a quelli rivenuti a Pompei.

“Questo approccio funziona”, continua Di Mauro. “Soprattutto grazie all’istituto dell’affidamento riusciamo ad accompagnare i giovani a cancellare i propri reati e registriamo una recidiva bassissima. Adesso stiamo cercando di estendere questa esperienza anche agli adulti. In questo caso però l’obiettivo è diverso. Con i detenuti adulti è assurdo parlare di recupero, parola che trovo orrenda. Gli adulti sono ormai formati, non è pensabile coinvolgerli emotivamente e reindirizzarli, come facciamo con i ragazzi. Nel loro caso si tratta soprattutto di inventargli un lavoro, un’attività che gli consenta di vivere onestamente”. Con questo obiettivo è stato avviato un primo corso sperimentale di 600 ore per manutentori di siti archeologici e di aree verdi storiche, in collaborazione con l’Assessorato provinciale per la formazione.

Attualmente i detenuti che partecipano al corso stanno svolgendo il tirocinio, realizzando un giardino nell’area dei passeggi del reparto transessuali di Rebibbia. L’obiettivo finale è la formazione di una cooperativa di tipo B, alla quale la Soprintendenza ha già dato la propria disponibilità ad affidare uno delle centinaia di siti archeologici abbandonati che si trovano nella capitale. I detenuti e gli ex detenuti ne cureranno la manutenzione e apriranno un book-shop ed un punto di ristoro. Nel book-shop verranno messi in vendita calchi, copie di manufatti e gioielli antichi (per la realizzazione dei quali è già previsto un apposito corso), che verranno anche distribuiti nel circuito museale cittadino. Mentre nel punto di ristoro i turisti, invece dei soliti tramezzini e delle pizzette, potranno gustare piatti etruschi e antico-romani cucinati secondo le ricette di Apicio. Anche se in questo caso dovranno essere adattate ai gusti moderni, dato che al giorno d’oggi non è facile trovare nelle macellerie “prelibatezze” quali il ghiro.

 

Un museo archeologico all’interno del carcere

 

“Ma non ci limitiamo a questo”, continua con una carica di entusiasmo che sembra davvero inesauribile Lillo Di Mauro, “Tra i nostri progetti c’è quello di aprire il carcere alla città, dando vita al primo museo archeologico all’interno di un penitenziario”. Il carcere in questione è quello di Rebibbia, che è stato costruito su un sito romano che comprende una villa suburbana, una necropoli su tre livelli e una cisterna. “Abbiamo fatto un sopralluogo per vedere se era possibile rifare gli scavi per portarli alla luce”, spiega Di Mauro. “Ma abbiamo scoperto che non si può in quanto gran parte dei resti sono stati inglobati e chiusi dai muri dell’aula bunker”. Tuttavia sono rimasti i reperti recuperati durante lo scavo iniziale che, opportunamente restaurati e catalogati, andranno a formare un piccolo percorso museale nel corridoio di ingresso di Rebibbia. Il progetto è già pronto e i detenuti dovrebbero iniziare a lavorarvi a breve, con l’obiettivo di estendere l’esposizione dei reperti archeologici anche nelle sezioni”.

Ma i soldi per portare avanti tutte queste iniziative da dove vengono? “Siamo quasi totalmente autofinanziati” spiega con orgoglio Di Mauro. “Su singoli progetti, come per la scuola di lingua e cultura italiana per stranieri, gli enti locali ci danno qualche contributo. Ma si tratta di cose irrisorie, poche migliaia di euro. La realtà è che le nostre iniziative sono la dimostrazione lampante che si può fare molto nel sociale senza costare nulla alla collettività”.

A monte di tutto, infatti, c’è la Cooperativa Cecilia, una cooperativa di tipo A, con circa duecento soci e con un alto fatturato, che da 25 anni, aggiudicandosi appalti pubblici, si occupa di assistenza domiciliare, di handicap, di famiglie in disagio, di anziani e di tossicodipendenti. “Poiché si tratta di una cooperativa sociale, gli utili non vengono intascati, ma vengono reinvestiti nel sociale, suddivisi in vari settori” continua Di Mauro. Ed è proprio in questa ottica che dalla Cooperativa Cecilia, 12 anni fa, è nata la “costola” La Bulla, Centro giovanile area giustizia. La Cooperativa Cecilia si occupa, tra l’altro, di donne straniere e carcerate facendo seguire loro dei corsi mirati al loro inserimento lavorativo come assistenti domiciliari.

E i giovani come vivono queste esperienze, frequentano volentieri il Centro La Bulla? “Se lo frequentano volentieri?” chiede sorridendo Di Mauro. “Adesso è agosto e siamo stati costretti a chiudere per consentire ai dipendenti di fare qualche giorno di ferie, ma i ragazzi hanno preteso che assegnassimo loro i compiti per le vacanze. E d’altra parte è impensabile che uno perda giornate e giornate a fare qualcosa del genere se non è spinto da un’autentica passione”, conclude indicando un plastico che ricostruisce in scala una villa romana.