“Salva-Previti” o “ammazza-Flavio”?

La Cirielli è anche anti-Gozzini: persa la speranza nelle misure alternative, non sarà certo la liberazione anticipata a tenere buoni gli animi

 

di Flavio Zaghi

 

Questa non è la mia legge e non la voto: sono le parole di Edmondo Cirielli, ex-primo firmatario del disegno di legge sulla recidiva e sulle prescrizioni. Sembra quindi che l’esame del provvedimento possa slittare in quanto, oltre che l’opposizione, pare che si sia schierata contro anche parte della maggioranza, proprio perché non sono chiari gli effetti che la legge potrebbe avere sui processi in corso. Cirielli sì - Cirielli no quindi, che potrebbe sembrare quasi il titolo di una canzone di Elio e le storie tese, dato che è quasi legittimo parlarne come di un tormentone estivo. Ne parlano e ne hanno parlato tutti infatti, sia a destra che a sinistra, e tutti ne stanno facendo spot elettorali, a sinistra cambiandone anche il nome e ribattezzandola “salva-Previti”, a destra invece facendola passare per una “legge giusta per una giustizia giusta”.

Se invece di “salva-Previti”, l’avessero chiamata chessò, “ammazza-Flavio”, gliene sarebbe fregato qualcosa a qualcuno? Non credo, anche perché di Flavio e di tante persone come il sottoscritto, non gliene può fregare di meno ad alcuno. Anzi, visto che appartengo alla categoria dei recidivi, è praticamente scontato che la gente per bene, avrebbe piacere di sapermi dietro le sbarre, me e tutti quelli come me: “certezza della pena”, dicono, “giustizia” la chiamano.

Nessuna forza o partito politico, nemmeno la sinistra più estrema si è degnata di buttare sul tavolo delle discussioni la questione che questa legge colpirà duramente solo le persone che appartengono alle fasce più deboli della popolazione, rendendo invece immuni alla giustizia le fasce d’élite della nostra società: politici corrotti, corruttori, faccendieri, speculatori, bancarottieri, brava gente quindi. Certo, perché i veri delinquenti sono i recidivi, gentaglia che non merita altro che stare in galera.

Ma chi sono i recidivi, come sono fatti? Sono per la maggior parte tossicodipendenti, microcriminali, giovanissimi zingari, o anche tutte quelle persone che hanno già riportato una condanna definitiva per un reato commesso anni prima e magari pagato fruendo della sospensione condizionale della pena. Il fatto è che questa categoria di persone siamo noi, è la gente, sono io, è o può essere il fratello tossico del tuo migliore amico, il nostro vicino di casa o il figlio della signora di fronte: a chi gliene frega qualcosa di queste persone? A nessuno, così come non frega niente a nessuno di quello che leggi come la Cirielli e come la Bossi-Fini riusciranno a produrre all’interno delle carceri italiane, dove non c’è di certo già ora una bella situazione. Per fortuna che c’è gente, poca, che queste domande però se le è fatte, si tratta di persone come Franco Corleone, Alessandro Margara, Sergio Segio e altri, che insieme ad un nutrito numero di volontari che operano all’interno delle carceri, si sono attivati anche in altre occasioni per non essere complici di questa situazione.

Io che in carcere ci sono e ci vivo, sono straconvinto che una giustizia cattiva non può fare altro che incattivire maggiormente chiunque resti impigliato nelle sue maglie, e sono anche dell’idea che, così come avviene in America, dove il recidivo rischia condanne altissime e pur di non ricadere in carcere si macchia di reati ancora più gravi per sottrarsi alla cattura, anche in Italia si possa arrivare a questo, e si corra il rischio che più di qualcuno, per evitare l’arresto, non esiti a macchiarsi di un reato più grave, sparando magari all’inseguitore, al poliziotto, o al possibile testimone oculare.

Sono anche dell’idea che, se dovesse mai andare in vigore questa legge, saranno molti i processi da celebrare nei tre gradi di giudizio, in quanto penso che sarebbe da pazzi dichiararsi colpevoli e definire la condanna con un semplice patteggiamento. Che si torni forse allora finalmente a vedere il vero processo in aula?

Un’altra considerazione che mi viene è: in carcere, si dovranno formare sezioni differenziate. Da una parte quelli che possono ancora, una volta nei termini, beneficiare di una alternativa, e dall’altra quelli che hanno perso ogni speranza una volta entrati. Penso che, considerata in questi termini dal punto di vista di uno che a priori sa di non poter beneficiare di alcunché, la Cirielli possa anche chiamarsi anti-Gozzini; persa infatti la speranza nelle misure alternative, non sono certo i giorni di liberazione anticipata a tenere buoni gli animi di persone che già ora sono costrette a vivere in celle sovraffollate e che tra qualche tempo, merito appunto della Cirielli e della già attiva Bossi-Fini, renderanno del tutto invivibili le carceri italiane.

Di questa legge quindi si è ormai detto di tutto e di più, resta solo da sapere se presto anche il signor Previti stamperà le sue impronte digitali nell’ufficio di qualche matricola entrando a far parte dei sessantamila detenuti, italiani e non, che fanno la “domandina” e mangiano la sbobba del carrello.

 

Dallo show televisivo di un boss della camorra ai festini di Lapo Elkann

Le miserie di un mondo dove tutto fa spettacolo. Anche le parole che andrebbero dette nell’intimità che dovrebbe esserci tra un padre e suo figlio, magari in una sala colloqui del carcere, vengono offerte ad un pubblico televisivo tra uno spot pubblicitario e l’altro

 

di Flavio Zaghi

 

I media, e in particolare la televisione, mettono in grande risalto le storie drammatiche delle persone: la selezione delle notizie è legata al loro impatto emotivo sul pubblico e alla curiosità che possono destare. Tanto più è l’interesse quanto più è famoso il personaggio al centro della notizia.

Ci sono poi dei veri mattatori della notizia, “burattinai” del palcoscenico televisivo che riescono a creare e inventare dei veri e propri teatrini, usando come marionette i vari casi umani del momento, un po’ veri un po’ creati ad hoc.

Tutto diventa show insomma, tutto fa spettacolo. L’esempio di Mario Savio al Maurizio Costanzo ne è l’ennesima prova. Savio è stato il boss indiscusso dei quartieri spagnoli a Napoli, per un certo periodo anche affiliato a Cutolo, dal quale ha poi preso le distanze; è venuto su dai vicoli, e da scugnizzo è poi gradualmente arrivato ad essere un capo. Ora sta scontando l’ergastolo nel carcere di Sulmona, non si è mai pentito e per questo è considerato un duro, uno che non si piega, uno che nonostante abbia scontato 27 anni di carcere, molti dei quali al 41bis, il carcere “duro”, non ha mai ceduto di una virgola.

Oggi anche suo figlio, ancora minorenne, si trova in carcere, e allora nel teatrino televisivo si coglie l’occasione per fare di Mario Savio il narratore, che porta la propria esperienza sotto forma di sermone. Racconta a Costanzo come al confessore, facendo di ogni sfumatura una parabola che deve servire da monito a tutti, ma soprattutto per suo figlio che appunto va riportato sulla retta via. Le parole sono quelle che andrebbero dette nell’intimità che dovrebbe esserci tra un padre e suo figlio, magari anche in una sala colloqui del carcere, ma non certo di fronte ad un pubblico televisivo tra uno spot pubblicitario e l’altro, parlando di Rolex donati in regalo al figlio e non consentiti dall’Amministrazione penitenziaria o di Alfette blindate e Ferrari facenti parte del suo passato. Alla fine del recital, o forse è meglio dire della sceneggiata napoletana, quello che Savio ha trasmesso al figlio è stato che Costanzo gli stava dando un’opportunità, che lui da giovane non ha mai avuto, cioè quella di diventare famoso anche senza dover essere per forza un malavitoso, e per esempio quindi la possibilità di diventare famoso nello spettacolo. Mi aspetto di vederlo quanto prima ospite di Buona Domenica o come prossimo partecipante del Grande Fratello, e nel giro di poco tempo uscirne da VIP, acclamato, desiderato, invidiato.

 

L’attore è stato condotto in carcere, dove è rimasto giusto il tempo di una puntata di una fiction televisiva

 

Altra vicenda al centro dell’attenzione, di quelle che in gergo “bucano il video” o fanno il “picco d’ascolto”, è quella di Paolo Calissano, famoso attore di soap-opera finito dietro le sbarre per un festino a base di sesso e coca, durante il quale ha perso la vita una giovane brasiliana. Nel suo appartamento, pare che i carabinieri abbiano rinvenuto altri trenta grammi di cocaina e raccolto le testimonianze di un’altra coppia, che appunto ammetteva di essere presente e addossava al bell’attore la colpa di aver fornito e offerto la cocaina. L’attore è stato quindi condotto in carcere, dove è rimasto giusto il tempo di una puntata di una fiction televisiva, per essere dopo poche ore trasferito nel reparto ospedaliero, da dove poi nel giro di qualche giorno è entrato in una comunità terapeutica. Un altro lieto fine quindi, per fortuna, e in tempi talmente celeri che non sembra quasi neanche vero; più che una storia di cronaca sembra una puntata, un’avventura del Commissario Montalbano. Le ultime immagini di Paolo però sono quelle che lo ritraggono all’ingresso della comunità terapeutica, la musica di fondo è quella della pasta Barilla, la voce del giornalista che dice: “… vai Paolo, torna presto, il cinema ha bisogno di te”.

Se una storia, un’avventura di questo tipo, fosse successa ad uno come il sottoscritto, sarebbe sicuramente ancora buttato in qualche sezione “nuovi giunti” di qualche merdoso carcere, magari con solo mezzo materasso come è successo a me anni fa l’ultimo giro alle Vallette, col cesso intasato e con un avvocato del c. che non si fa neanche vivo; ma lasciamo stare almeno per ora queste cose, voglio parlare dei VIP e non dei delinquenti drogati.

Paolo Calissano, Diego Armando Maradona, la morte di Marco Pantani e di Edoardo Agnelli, le foto di Kate Moss e l’overdose di Lapo Elkann… come in un film. Quest’ultima del rampollo di casa Agnelli viene illustrata dai miniservizi che ogni cinque minuti Bruno Vespa manda nel suo Porta a Porta, le immagini sono quelle di un giovane manager e del suo impegno nel lavoro, ed è impensabile che uno come Lapo Elkann, uno che è nato già con tutto quello che si può desiderare, si nasconda in un appartamento nel centro della Torino-bene in compagnia di tre transessuali ad imbottirsi di droghe fino all’overdose. Il mattatore televisivo finge che quest’ultima notizia sia da prendere con le pinze, una cosa che lui non avrebbe voluto mandare in onda, tant’è che si chiede anche dove inizia e dove finisce la privacy di una persona; intanto però la notizia è data, le azioni Fiat hanno delle oscillazioni violente passando da positivo a negativo, si spera solo di non trovarsi poi a dover acquistare la Panda che come optionals abbia le tendine ai finestrini o i sedili ribaltabili in pizzo ricamati a mano.

 

Ma dei circa quindicimila e più tossici in carcere non si parla

 

Tutti fingono di cadere dalle nuvole, di non sapere che il fenomeno della droga è ormai entrato nel quotidiano della gente e dei ragazzi, di tanti-tantissimi ragazzi di ogni ceto sociale; ci si fanno domande solo quando a farne le spese è qualche VIP, ma dei quindicimila e più tossici in carcere non si parla, di fronte a queste cose è d’obbligo chiudere gli occhi. Io vorrei sapere se ora Lapo o Paolo, gente coi nostri stessi problemi, verranno almeno segnalati alla prefettura e se gli verrà sospesa la patente…

Enrico Mentana nella sua trasmissione, in seguito allo scandalo delle foto di Kate Moss, ritratta mentre sniffa coca e mentre la offre al suo uomo, intervista una top model italiana, la quale dice appunto che si fa molto prima a contare quelli che non ne fanno uso piuttosto di quelli che la usano, e in un servizio girato all’interno del palazzo del Parlamento europeo viene fuori che in 44 bagni su 47 ispezionati, sono state accertate tracce di cocaina sui lavandini; in una dozzina di casi la percentuale di principio attivo era ancora così forte che in pratica si può ritenere che più di qualche rappresentante politico in quello stesso momento era sotto l’effetto della cocaina. È quantomeno bizzarro che questi siano poi coloro i quali legiferano, e che decidano quali sono le sanzioni da applicare.

 

Una televisione fatta di scandali e che fa distinzioni tra ricchi e poveracci così come le fa la legge italiana

 

In un altro servizio del telegiornale sono riusciti a stimare addirittura la presenza di quattro chili di principio attivo della cocaina nelle acque del fiume Po; infatti il principio attivo della coca non si azzera mai, neanche quando lo si espelle dal corpo umano con l’urina, ed è proprio sulla base di questo e di calcoli a me sconosciuti, che si è arrivati a ritenere, forse, che l’uso della coca in Italia è aumentato in maniera notevole. Questo mi fa capire perché Bossi vada ogni anno in pellegrinaggio al Po, cogliendo un campione di acqua sotto l’attento e severo controllo del ministro Castelli. La usano un po’ tutti quindi: avvocati, giornalisti, politici, attori, sportivi, stilisti, rampolli delle famiglie bene, studenti. Euforia, senso di soddisfazione, maggiore comunicabilità, desiderio di parlare, maggiore acutezza dei sensi, nessuna inibizione o senso del pericolo e sembra rendere tutti forti come dei draghi.

In Johnny Stecchino, bellissimo film di Roberto Benigni, viene ironicamente e grottescamente presentata come “la medicina” che l’avvocato mafioso è costretto a usare per “curare” il diabete; sempre ad uso terapeutico è usata anche dal ministro coinvolto nel malaffare e così via, al punto che poi lo stesso Dante, personaggio interpretato da Benigni, la offre al suo più caro amico Lillo, un down, che dopo una notevole sniffata, inizia a correre come un fulmine: è meglio questo, almeno fa ridere. Savio, Calissano, Elkann, tutto ciò è il prodotto della televisione, un grande business che tende a spettacolarizzare ogni cosa, pronta a vendere anche il fango a peso d’oro, una televisione fatta di scandali e che fa distinzioni tra ricchi e poveracci così come li fa la legge italiana.

L’Italia è tra i paesi in Europa che ha stabilito le pene più severe per lo spaccio di sostanze stupefacenti, le sanzioni amministrative vengono applicate severamente e il ritiro della patente e del passaporto sono d’obbligo allorquando si è anche solo consumatori. Io spero che questi ragazzi, Paolo e Lapo, riescano a risolvere i loro problemi, ma sono anche curioso di vedere se per loro saranno almeno applicate le sanzioni amministrative, e nel caso di Paolo, se sarà quantomeno obbligato a lavori socialmente utili che non siano quelli di recitare in qualche altra fiction, o doverlo rivedere nella prossima edizione dell’isola dei famosi.

Quel che è certo è che Calissano o il giovane Elkann saranno, per chi gestisce qualche ricca e costosa comunità, delle “splendide prede” da tirare fuori dal tunnel, da salvare, da mostrare in televisione in cambio magari di altre apparizioni televisive, o nel caso del giovane Elkann, di ritrovarsi poi con un parco macchine nuovo di zecca. E tanti hanno già dichiarano che tutti e due saranno degli straordinari “testimonial” di quanto la droga è pericolosa. Sui tanti altri tossici normali nessuno ha proferito parola, nessuno ha detto quanto è difficile riuscire ad ottenere quello che Paolo Calissano ha ottenuto praticamente subito, con tanta facilità, la possibilità di “vivere” o di “un posto al sole”.

 

 

Pensando a Calissano,  alla ballerina morta e ai disastri del punire

Io, da persona che si è fatta la galera per reati connessi all’uso di stupefacenti, vedo l’antiproibizionismo come unica strada civile per affrontare il problema. Non è salvando la morale pubblica esteriore con leggi quali quelle attuali che si salvano le vite umane né si offrono stimoli veri all’emancipazione da qualsiasi strumento di schiavitù. È solo la cultura della solidarietà e dell’accoglienza che consente strade nuove

 

di Stefano Bentivogli

 

Insomma, questi divi dello spettacolo e della moda sono tutti dei drogati. Calissano, Kate Moss, Vasco Rossi, Emilio Colombo... ah no, lui non cantava e non passeggiava sulle passerelle. Il successo e la cocaina, questo è il nuovo capitolo droga dove i telegiornali ed i programmi di approfondimento si tuffano, e per un po’ di serate, come successe per Marco Pantani, Maradona e tanti altri, assistiamo agli sproloqui di pseudoesperti sia di droga che, a questo punto, di informazione.

Da persona che si è fatta la galera per reati connessi all’uso di stupefacenti quale sono, se non sentissi il dolore e la pena per la mia storia, per quella di tutti gli altri che sono dietro le sbarre per molto meno di quello di cui sono accusate queste celebrità, per tutti quelli invece che non ci sono più, che hanno tirato l’ultimo respiro nel cesso di qualche stazione o sulla panchina di qualche giardino pubblico, ma anche in qualche stanza asettica di ospedale in compagnia al massimo dell’infermiere del reparto malattie infettive, cambierei canale.

Invece mi piace stare male, ed assistere all’ipocrisia leggera di quanti continuano a fare finta che sulla questione stupefacenti ci sia rimasto molto da dire, almeno per quel che riguarda le scelte politiche e normative. Non si tratta più di stabilire se la droga faccia bene oppure male, nemmeno resta spazio per stare a discutere se vi siano differenze tra l’una e l’altra, o chi con la droga proibita ci guadagna e chi ci rimette. Sono discorsi triti e ritriti, buoni per chi ha tempo da perdere e non cerca di affrontare il problema sul serio, o semplicemente non è in crisi di astinenza. Perché la droga è una realtà ormai gigantesca – basti pensare che dopo sequestri anche ingenti di stupefacenti il mercato non subisce la benché minima variazione – il che copre di ridicolo qualsiasi chiacchiera dei salottieri della televisione, e qualsiasi articolo dei favolieri della carta stampata.

Insomma, la droga cattura non solo gli sbandati di borgata o gli emarginati ma anche persone che fino al giorno prima della drammatica scoperta erano simboli, modelli da imitare, i fidanzati ideali per le figlie dell’armata delle telespettatrici che si nutrono di telenovelas tutti i santi giorni. Allora la droga diventa un dramma umano e in questi casi chi la usa diventa una vittima dei suoi gravi problemi personali, perché se uno si droga per gli effetti collaterali del troppo successo e dei troppi soldi va capito, ha un alibi, chi invece sopravvive bucandosi tutto il giorno con la stessa siringa, rubando qua e là in ambienti dove al massimo si girano i documentari sul degrado urbano, è un mostro, un rifiuto umano del quale non avere pietà. A meno che una volta beccato non guarisca subito, obbligatoriamente, l’alternativa è solo galera, comunità, galera e tanta galera.

Sia chiaro che provo solidarietà per Calissano, chiunque viva la dipendenza che io per primo ho subito non può che avere tutta la mia comprensione, tanto per quel che conta. Però non ho proprio capito come mai dicono che anche lui si è salvato per miracolo per merito degli infermieri che gli hanno iniettato il Narcan, perchè questo farmaco è utile per le overdose di oppiacei, morfina, eroina e codeina, non per la cocaina contro la quale si interviene con altri prodotti.

Ad ogni modo alla ballerina di lap dance che, come molte sue colleghe, oltre agli spettacoli nei locali, si esibiva anche in privato, ai “festini” per l’appunto, è andata molto peggio e sembra destino che sia andata così. Perchè sono sempre i più deboli a lasciarci la pelle: per comprare i trenta grammi di coca ritrovati dalla polizia, che sono solo il residuo del festino, ce ne vogliono di serate a danzare attorno al tubo. Calissano per fortuna è vivo, sì in arresto, ma in clinica. A quelli della mia specie veniva riservata invece la solita “vivace” nottata in questura ed il giorno dopo magari un bel processo per direttissima, altro che “si rifiuta di rispondere perché è troppo scosso”, noi finivamo davanti al giudice con gli stessi vestiti con cui eravamo stati fatti strisciare dall’asfalto dove eravamo “caduti” alla volante che ci aveva portato dentro, fino ai giornali forniti come lenzuola della comoda branda della celletta.

Vengono veramente pensieri brutti, e anch’io, di indole depressa, capisco che brutti momenti si passino in situazioni quali quelle di Calissano. Però fa un po’ schifo tutto il discutere sul dramma di quest’uomo, rovinato dai soldi e dal successo, e tanta poca considerazione per la ballerina brasiliana con due figlie, che non si potrà curare né diventare un testimonial contro la droga, né dedicare la sua esperienza (ma quale mi chiedo io?) ad aiutare gli altri, come invece Calissano ha promesso di fare. Perchè lui ha già capito che ha sbagliato tutto e che si vuole curare. Non mi resta che fargli i miei sinceri auguri, perchè non sarà una passeggiata: pensate che le migliori comunità arrivano a barare nel presentare i dati sui loro successi terapeutici per nascondere che le terapie sulle dipendenze hanno un tasso di successo talmente basso, da far mettere in dubbio che il loro vero lavoro sia la cura per la guarigione.

 

Una persona che dall’uso di droga passa alla dipendenza ha bisogno di un lento e graduale ritorno all’amore verso se stessa e la propria libertà

 

Pochi hanno oggi però il coraggio di dire che, nonostante da anni si dia agli spacciatori una caccia senza tregua (così almeno dicono), che le pene per i trafficanti (ma non solo per loro) siano altissime, che ogni anno vengano fatte campagne di prevenzione studiate scientificamente (quegli spot dai costi stratosferici che lasciano il più delle volte gli spettatori interdetti), l’Italia è piena di droga, ed esistono ormai sistemi di approvigionamento e di stockaggio in grado di garantire in maniera costante un mercato gigantesco e trasversale. Ci si dimentica poi di ripetere a sufficienza che con la droga proibita si finanziano le guerre, si mantengono in vita poteri dittatoriali e si condannano alla fame ed allo sfruttamento migliaia di uomini e donne in tutto il mondo.

Da questo continuare a discutere del nulla si ottiene comunque un risultato, che sta nelle continue morti di tanti esseri umani di cui nessuno vuol prendersi la responsabilità, nelle esistenze fatte marcire in carceri sovraffollate, nelle sempre maggiori difficoltà a trovare terapie che non siano l’obbligo a guarire (teoria veramente aberrante), nel rendere praticamente impossibile affrontare un problema del genere senza che vengano coinvolti inutilmente magistrati e polizia. Una persona che dall’uso di droga passa alla dipendenza ha bisogno di un lento e graduale ritorno all’amore verso se stessa e la propria libertà, e su questo qualsiasi logica repressiva e proibizionista è solo controproducente.

Io vedo l’antiproibizionismo come unica strada veramente nuova e civile per affrontare il problema: non è salvando la morale pubblica esteriore con leggi quali quelle attuali che si salvano le vite umane né si offrono stimoli veri all’emancipazione da qualsiasi strumento di schiavitù. È solo la cultura della solidarietà e dell’accoglienza che consente strade nuove. Ma per fare questo prima bisogna informare chiaramente sul fallimento delle politiche in atto da quindici anni, e sui falsi bilanci delle guarigioni operate dalle comunità del business antidroga, e poi affiancare le cifre dei milioni di morti in tutto il mondo e delle centinaia di anni di carcere scontati, solo in Italia, per reati legati al consumo di droga.

Chi si trova in situazioni di dipendenza non dovrà avere come unica possibilità, a meno che non sia uno degli ormai tanti vip, quella di essere costretto all’illegalità, e a subire da subito una frattura ed un meccanismo di esclusione dal vivere sociale. Potrà, se ad attenderlo non c’è automaticamente la repressione, tentare di costruire delle relazioni di aiuto non viziate da ricatti o pregiudizi, ma caratterizzate solo dalla volontà di trovare una strada che consenta a tutti di continuare a camminare insieme. Da persona che queste cose le ha vissute, io chiedo che si torni a rivedere la questione tossicodipendenze ripensando veramente alla possibilità di cambiare strada, che significa raccontare onestamente le cose come stanno e non prendendo per oro colato le dichiarazioni dei professionisti del business della guarigione che, se vogliono, potranno comunque continuare a proporre le loro teorie miracolanti.

E soprattutto non spacciare l’antiproibizionismo quasi fosse uno stimolo alla diffusione del consumo di droghe: a fare questo ci sta pensando già la cultura attuale, popolata da tutti questi esempi e modelli di successo vittime della polverina, e comunque i dati sui consumi ne sono la prova. L’informazione libera dovrebbe veramente avere il coraggio di riaprire la questione, facendolo però in maniera seria ed onesta e non, come al solito, invitando tuttologi esperti di niente o ragazzi ancora in trattamento, per i quali in alcuni casi si può parlare proprio di lavaggio del cervello, ragazzi che nella gran parte dei casi il rientro alla vita normale non l’hanno ancora fatto e spesso, pochi anni dopo, purtroppo, sono all’angolo di una strada ad aspettare un briciolo di polvere, per sopravvivere ancora qualche ora.