“Salva-Previti” o “ammazza-Flavio”?
La Cirielli è anche
anti-Gozzini: persa la speranza nelle misure alternative, non sarà certo la
liberazione anticipata a tenere buoni gli animi
di Flavio Zaghi
Questa non è la mia legge e non la voto: sono le parole di
Edmondo Cirielli, ex-primo firmatario del disegno di legge sulla recidiva e
sulle prescrizioni. Sembra quindi che l’esame del provvedimento possa slittare
in quanto, oltre che l’opposizione, pare che si sia schierata contro anche
parte della maggioranza, proprio perché non sono chiari gli effetti che la
legge potrebbe avere sui processi in corso. Cirielli sì - Cirielli no quindi,
che potrebbe sembrare quasi il titolo di una canzone di Elio e le storie tese,
dato che è quasi legittimo parlarne come di un tormentone estivo. Ne parlano e
ne hanno parlato tutti infatti, sia a destra che a sinistra, e tutti ne stanno
facendo spot elettorali, a sinistra cambiandone anche il nome e ribattezzandola
“salva-Previti”, a destra invece facendola passare per una “legge giusta per
una giustizia giusta”.
Se invece di “salva-Previti”, l’avessero chiamata chessò,
“ammazza-Flavio”, gliene sarebbe fregato qualcosa a qualcuno? Non credo, anche
perché di Flavio e di tante persone come il sottoscritto, non gliene può
fregare di meno ad alcuno. Anzi, visto che appartengo alla categoria dei
recidivi, è praticamente scontato che la gente per bene, avrebbe piacere di
sapermi dietro le sbarre, me e tutti quelli come me: “certezza della pena”,
dicono, “giustizia” la chiamano.
Nessuna forza o partito politico, nemmeno la sinistra più
estrema si è degnata di buttare sul tavolo delle discussioni la questione che
questa legge colpirà duramente solo le persone che appartengono alle fasce più
deboli della popolazione, rendendo invece immuni alla giustizia le fasce
d’élite della nostra società: politici corrotti, corruttori, faccendieri,
speculatori, bancarottieri, brava gente quindi. Certo, perché i veri
delinquenti sono i recidivi, gentaglia che non merita altro che stare in
galera.
Ma chi sono i recidivi, come sono fatti? Sono per la
maggior parte tossicodipendenti, microcriminali, giovanissimi zingari, o anche
tutte quelle persone che hanno già riportato una condanna definitiva per un
reato commesso anni prima e magari pagato fruendo della sospensione
condizionale della pena. Il fatto è che questa categoria di persone siamo noi,
è la gente, sono io, è o può essere il fratello tossico del tuo migliore amico,
il nostro vicino di casa o il figlio della signora di fronte: a chi gliene
frega qualcosa di queste persone? A nessuno, così come non frega niente a
nessuno di quello che leggi come la Cirielli e come la Bossi-Fini riusciranno a
produrre all’interno delle carceri italiane, dove non c’è di certo già ora una
bella situazione. Per fortuna che c’è gente, poca, che queste domande però se
le è fatte, si tratta di persone come Franco Corleone, Alessandro Margara,
Sergio Segio e altri, che insieme ad un nutrito numero di volontari che operano
all’interno delle carceri, si sono attivati anche in altre occasioni per non
essere complici di questa situazione.
Io che in carcere ci sono e ci vivo, sono straconvinto che
una giustizia cattiva non può fare altro che incattivire maggiormente chiunque
resti impigliato nelle sue maglie, e sono anche dell’idea che, così come
avviene in America, dove il recidivo rischia condanne altissime e pur di non
ricadere in carcere si macchia di reati ancora più gravi per sottrarsi alla
cattura, anche in Italia si possa arrivare a questo, e si corra il rischio che
più di qualcuno, per evitare l’arresto, non esiti a macchiarsi di un reato più
grave, sparando magari all’inseguitore, al poliziotto, o al possibile testimone
oculare.
Sono anche dell’idea che, se dovesse mai andare in vigore
questa legge, saranno molti i processi da celebrare nei tre gradi di giudizio,
in quanto penso che sarebbe da pazzi dichiararsi colpevoli e definire la
condanna con un semplice patteggiamento. Che si torni forse allora finalmente a
vedere il vero processo in aula?
Un’altra considerazione che mi viene è: in carcere, si
dovranno formare sezioni differenziate. Da una parte quelli che possono ancora,
una volta nei termini, beneficiare di una alternativa, e dall’altra quelli che
hanno perso ogni speranza una volta entrati. Penso che, considerata in questi
termini dal punto di vista di uno che a priori sa di non poter beneficiare di
alcunché, la Cirielli possa anche chiamarsi anti-Gozzini; persa infatti la
speranza nelle misure alternative, non sono certo i giorni di liberazione
anticipata a tenere buoni gli animi di persone che già ora sono costrette a
vivere in celle sovraffollate e che tra qualche tempo, merito appunto della
Cirielli e della già attiva Bossi-Fini, renderanno del tutto invivibili le
carceri italiane.
Di questa legge quindi si è ormai detto di tutto e di più,
resta solo da sapere se presto anche il signor Previti stamperà le sue impronte
digitali nell’ufficio di qualche matricola entrando a far parte dei sessantamila
detenuti, italiani e non, che fanno la “domandina” e mangiano la sbobba del
carrello.
Le miserie di un mondo
dove tutto fa spettacolo. Anche le parole che andrebbero dette nell’intimità
che dovrebbe esserci tra un padre e suo figlio, magari in una sala colloqui del
carcere, vengono offerte ad un pubblico televisivo tra uno spot pubblicitario e
l’altro
di Flavio Zaghi
I media, e in particolare la televisione, mettono in
grande risalto le storie drammatiche delle persone: la selezione delle notizie
è legata al loro impatto emotivo sul pubblico e alla curiosità che possono
destare. Tanto più è l’interesse quanto più è famoso il personaggio al centro
della notizia.
Ci sono poi dei veri mattatori della notizia, “burattinai”
del palcoscenico televisivo che riescono a creare e inventare dei veri e propri
teatrini, usando come marionette i vari casi umani del momento, un po’ veri un
po’ creati ad hoc.
Tutto diventa show insomma, tutto fa spettacolo. L’esempio
di Mario Savio al Maurizio Costanzo ne è l’ennesima prova. Savio è stato il
boss indiscusso dei quartieri spagnoli a Napoli, per un certo periodo anche
affiliato a Cutolo, dal quale ha poi preso le distanze; è venuto su dai vicoli,
e da scugnizzo è poi gradualmente arrivato ad essere un capo. Ora sta scontando
l’ergastolo nel carcere di Sulmona, non si è mai pentito e per questo è
considerato un duro, uno che non si piega, uno che nonostante abbia scontato 27
anni di carcere, molti dei quali al 41bis, il carcere “duro”, non ha mai ceduto
di una virgola.
Oggi anche suo figlio, ancora minorenne, si trova in
carcere, e allora nel teatrino televisivo si coglie l’occasione per fare di
Mario Savio il narratore, che porta la propria esperienza sotto forma di
sermone. Racconta a Costanzo come al confessore, facendo di ogni sfumatura una
parabola che deve servire da monito a tutti, ma soprattutto per suo figlio che
appunto va riportato sulla retta via. Le parole sono quelle che andrebbero dette
nell’intimità che dovrebbe esserci tra un padre e suo figlio, magari anche in
una sala colloqui del carcere, ma non certo di fronte ad un pubblico televisivo
tra uno spot pubblicitario e l’altro, parlando di Rolex donati in regalo al
figlio e non consentiti dall’Amministrazione penitenziaria o di Alfette
blindate e Ferrari facenti parte del suo passato. Alla fine del recital, o
forse è meglio dire della sceneggiata napoletana, quello che Savio ha trasmesso
al figlio è stato che Costanzo gli stava dando un’opportunità, che lui da
giovane non ha mai avuto, cioè quella di diventare famoso anche senza dover
essere per forza un malavitoso, e per esempio quindi la possibilità di
diventare famoso nello spettacolo. Mi aspetto di vederlo quanto prima ospite di
Buona Domenica o come prossimo partecipante del Grande Fratello, e nel giro di
poco tempo uscirne da VIP, acclamato, desiderato, invidiato.
L’attore è stato
condotto in carcere, dove è rimasto giusto il tempo di una puntata di una
fiction televisiva
Altra vicenda al centro dell’attenzione, di quelle che in
gergo “bucano il video” o fanno il “picco d’ascolto”, è quella di Paolo
Calissano, famoso attore di soap-opera finito dietro le sbarre per un festino a
base di sesso e coca, durante il quale ha perso la vita una giovane brasiliana.
Nel suo appartamento, pare che i carabinieri abbiano rinvenuto altri trenta
grammi di cocaina e raccolto le testimonianze di un’altra coppia, che appunto
ammetteva di essere presente e addossava al bell’attore la colpa di aver fornito
e offerto la cocaina. L’attore è stato quindi condotto in carcere, dove è
rimasto giusto il tempo di una puntata di una fiction televisiva, per essere
dopo poche ore trasferito nel reparto ospedaliero, da dove poi nel giro di
qualche giorno è entrato in una comunità terapeutica. Un altro lieto fine
quindi, per fortuna, e in tempi talmente celeri che non sembra quasi neanche
vero; più che una storia di cronaca sembra una puntata, un’avventura del
Commissario Montalbano. Le ultime immagini di Paolo però sono quelle che lo
ritraggono all’ingresso della comunità terapeutica, la musica di fondo è quella
della pasta Barilla, la voce del giornalista che dice: “… vai Paolo, torna
presto, il cinema ha bisogno di te”.
Se una storia, un’avventura di questo tipo, fosse successa
ad uno come il sottoscritto, sarebbe sicuramente ancora buttato in qualche
sezione “nuovi giunti” di qualche merdoso carcere, magari con solo mezzo
materasso come è successo a me anni fa l’ultimo giro alle Vallette, col cesso
intasato e con un avvocato del c. che non si fa neanche vivo; ma lasciamo stare
almeno per ora queste cose, voglio parlare dei VIP e non dei delinquenti
drogati.
Paolo Calissano, Diego Armando Maradona, la morte di Marco
Pantani e di Edoardo Agnelli, le foto di Kate Moss e l’overdose di Lapo Elkann…
come in un film. Quest’ultima del rampollo di casa Agnelli viene illustrata dai
miniservizi che ogni cinque minuti Bruno Vespa manda nel suo Porta a Porta, le
immagini sono quelle di un giovane manager e del suo impegno nel lavoro, ed è
impensabile che uno come Lapo Elkann, uno che è nato già con tutto quello che
si può desiderare, si nasconda in un appartamento nel centro della Torino-bene
in compagnia di tre transessuali ad imbottirsi di droghe fino all’overdose. Il
mattatore televisivo finge che quest’ultima notizia sia da prendere con le
pinze, una cosa che lui non avrebbe voluto mandare in onda, tant’è che si
chiede anche dove inizia e dove finisce la privacy di una persona; intanto però
la notizia è data, le azioni Fiat hanno delle oscillazioni violente passando da
positivo a negativo, si spera solo di non trovarsi poi a dover acquistare la
Panda che come optionals abbia le tendine ai finestrini o i sedili ribaltabili
in pizzo ricamati a mano.
Ma dei circa quindicimila e più tossici in carcere non si
parla
Tutti fingono di cadere dalle nuvole, di non sapere che il
fenomeno della droga è ormai entrato nel quotidiano della gente e dei ragazzi,
di tanti-tantissimi ragazzi di ogni ceto sociale; ci si fanno domande solo quando
a farne le spese è qualche VIP, ma dei quindicimila e più tossici in carcere
non si parla, di fronte a queste cose è d’obbligo chiudere gli occhi. Io vorrei
sapere se ora Lapo o Paolo, gente coi nostri stessi problemi, verranno almeno
segnalati alla prefettura e se gli verrà sospesa la patente…
Enrico Mentana nella sua trasmissione, in seguito allo
scandalo delle foto di Kate Moss, ritratta mentre sniffa coca e mentre la offre
al suo uomo, intervista una top model italiana, la quale dice appunto che si fa
molto prima a contare quelli che non ne fanno uso piuttosto di quelli che la
usano, e in un servizio girato all’interno del palazzo del Parlamento europeo
viene fuori che in 44 bagni su 47 ispezionati, sono state accertate tracce di
cocaina sui lavandini; in una dozzina di casi la percentuale di principio
attivo era ancora così forte che in pratica si può ritenere che più di qualche
rappresentante politico in quello stesso momento era sotto l’effetto della
cocaina. È quantomeno bizzarro che questi siano poi coloro i quali legiferano,
e che decidano quali sono le sanzioni da applicare.
Una televisione
fatta di scandali e che fa distinzioni tra ricchi e poveracci così come le fa
la legge italiana
In un altro servizio del telegiornale sono riusciti a stimare
addirittura la presenza di quattro chili di principio attivo della cocaina
nelle acque del fiume Po; infatti il principio attivo della coca non si azzera
mai, neanche quando lo si espelle dal corpo umano con l’urina, ed è proprio
sulla base di questo e di calcoli a me sconosciuti, che si è arrivati a
ritenere, forse, che l’uso della coca in Italia è aumentato in maniera
notevole. Questo mi fa capire perché Bossi vada ogni anno in pellegrinaggio al
Po, cogliendo un campione di acqua sotto l’attento e severo controllo del
ministro Castelli. La usano un po’ tutti quindi: avvocati, giornalisti,
politici, attori, sportivi, stilisti, rampolli delle famiglie bene, studenti.
Euforia, senso di soddisfazione, maggiore comunicabilità, desiderio di parlare,
maggiore acutezza dei sensi, nessuna inibizione o senso del pericolo e sembra
rendere tutti forti come dei draghi.
In Johnny Stecchino, bellissimo film di Roberto Benigni,
viene ironicamente e grottescamente presentata come “la medicina” che
l’avvocato mafioso è costretto a usare per “curare” il diabete; sempre ad uso
terapeutico è usata anche dal ministro coinvolto nel malaffare e così via, al
punto che poi lo stesso Dante, personaggio interpretato da Benigni, la offre al
suo più caro amico Lillo, un down, che dopo una notevole sniffata, inizia a
correre come un fulmine: è meglio questo, almeno fa ridere. Savio, Calissano,
Elkann, tutto ciò è il prodotto della televisione, un grande business che tende
a spettacolarizzare ogni cosa, pronta a vendere anche il fango a peso d’oro,
una televisione fatta di scandali e che fa distinzioni tra ricchi e poveracci
così come li fa la legge italiana.
L’Italia è tra i paesi in Europa che ha stabilito le pene
più severe per lo spaccio di sostanze stupefacenti, le sanzioni amministrative
vengono applicate severamente e il ritiro della patente e del passaporto sono
d’obbligo allorquando si è anche solo consumatori. Io spero che questi ragazzi,
Paolo e Lapo, riescano a risolvere i loro problemi, ma sono anche curioso di
vedere se per loro saranno almeno applicate le sanzioni amministrative, e nel
caso di Paolo, se sarà quantomeno obbligato a lavori socialmente utili che non
siano quelli di recitare in qualche altra fiction, o doverlo rivedere nella
prossima edizione dell’isola dei famosi.
Quel che è certo è che Calissano o il giovane Elkann
saranno, per chi gestisce qualche ricca e costosa comunità, delle “splendide
prede” da tirare fuori dal tunnel, da salvare, da mostrare in televisione in
cambio magari di altre apparizioni televisive, o nel caso del giovane Elkann,
di ritrovarsi poi con un parco macchine nuovo di zecca. E tanti hanno già
dichiarano che tutti e due saranno degli straordinari “testimonial” di quanto
la droga è pericolosa. Sui tanti altri tossici normali nessuno ha proferito
parola, nessuno ha detto quanto è difficile riuscire ad ottenere quello che
Paolo Calissano ha ottenuto praticamente subito, con tanta facilità, la
possibilità di “vivere” o di “un posto al sole”.
Pensando a Calissano, alla ballerina morta e ai disastri del punire
Io, da persona che si è fatta la galera per reati
connessi all’uso di stupefacenti, vedo l’antiproibizionismo come unica strada
civile per affrontare il problema. Non è salvando la morale pubblica esteriore
con leggi quali quelle attuali che si salvano le vite umane né si offrono
stimoli veri all’emancipazione da qualsiasi strumento di schiavitù. È solo la
cultura della solidarietà e dell’accoglienza che consente strade nuove
di Stefano Bentivogli
Insomma, questi divi dello spettacolo e della moda sono
tutti dei drogati. Calissano, Kate Moss, Vasco Rossi, Emilio Colombo... ah no,
lui non cantava e non passeggiava sulle passerelle. Il successo e la cocaina,
questo è il nuovo capitolo droga dove i telegiornali ed i programmi di
approfondimento si tuffano, e per un po’ di serate, come successe per Marco
Pantani, Maradona e tanti altri, assistiamo agli sproloqui di pseudoesperti sia
di droga che, a questo punto, di informazione.
Da persona che si è fatta la galera per reati connessi
all’uso di stupefacenti quale sono, se non sentissi il dolore e la pena per la
mia storia, per quella di tutti gli altri che sono dietro le sbarre per molto
meno di quello di cui sono accusate queste celebrità, per tutti quelli invece che
non ci sono più, che hanno tirato l’ultimo respiro nel cesso di qualche
stazione o sulla panchina di qualche giardino pubblico, ma anche in qualche
stanza asettica di ospedale in compagnia al massimo dell’infermiere del reparto
malattie infettive, cambierei canale.
Invece mi piace stare male, ed assistere all’ipocrisia
leggera di quanti continuano a fare finta che sulla questione stupefacenti ci
sia rimasto molto da dire, almeno per quel che riguarda le scelte politiche e
normative. Non si tratta più di stabilire se la droga faccia bene oppure male,
nemmeno resta spazio per stare a discutere se vi siano differenze tra l’una e
l’altra, o chi con la droga proibita ci guadagna e chi ci rimette. Sono
discorsi triti e ritriti, buoni per chi ha tempo da perdere e non cerca di
affrontare il problema sul serio, o semplicemente non è in crisi di astinenza.
Perché la droga è una realtà ormai gigantesca – basti pensare che dopo
sequestri anche ingenti di stupefacenti il mercato non subisce la benché minima
variazione – il che copre di ridicolo qualsiasi chiacchiera dei salottieri
della televisione, e qualsiasi articolo dei favolieri della carta stampata.
Insomma, la droga cattura non solo gli sbandati di borgata
o gli emarginati ma anche persone che fino al giorno prima della drammatica
scoperta erano simboli, modelli da imitare, i fidanzati ideali per le figlie
dell’armata delle telespettatrici che si nutrono di telenovelas tutti i santi
giorni. Allora la droga diventa un dramma umano e in questi casi chi la usa diventa
una vittima dei suoi gravi problemi personali, perché se uno si droga per gli
effetti collaterali del troppo successo e dei troppi soldi va capito, ha un
alibi, chi invece sopravvive bucandosi tutto il giorno con la stessa siringa,
rubando qua e là in ambienti dove al massimo si girano i documentari sul
degrado urbano, è un mostro, un rifiuto umano del quale non avere pietà. A meno
che una volta beccato non guarisca subito, obbligatoriamente, l’alternativa è
solo galera, comunità, galera e tanta galera.
Sia chiaro che provo solidarietà per Calissano, chiunque
viva la dipendenza che io per primo ho subito non può che avere tutta la mia
comprensione, tanto per quel che conta. Però non ho proprio capito come mai
dicono che anche lui si è salvato per miracolo per merito degli infermieri che
gli hanno iniettato il Narcan, perchè questo farmaco è utile per le overdose di
oppiacei, morfina, eroina e codeina, non per la cocaina contro la quale si
interviene con altri prodotti.
Ad ogni modo alla ballerina di lap dance che, come molte
sue colleghe, oltre agli spettacoli nei locali, si esibiva anche in privato, ai
“festini” per l’appunto, è andata molto peggio e sembra destino che sia andata
così. Perchè sono sempre i più deboli a lasciarci la pelle: per comprare i trenta
grammi di coca ritrovati dalla polizia, che sono solo il residuo del festino,
ce ne vogliono di serate a danzare attorno al tubo. Calissano per fortuna è
vivo, sì in arresto, ma in clinica. A quelli della mia specie veniva riservata
invece la solita “vivace” nottata in questura ed il giorno dopo magari un bel
processo per direttissima, altro che “si rifiuta di rispondere perché è troppo
scosso”, noi finivamo davanti al giudice con gli stessi vestiti con cui eravamo
stati fatti strisciare dall’asfalto dove eravamo “caduti” alla volante che ci
aveva portato dentro, fino ai giornali forniti come lenzuola della comoda
branda della celletta.
Vengono veramente pensieri brutti, e anch’io, di indole
depressa, capisco che brutti momenti si passino in situazioni quali quelle di
Calissano. Però fa un po’ schifo tutto il discutere sul dramma di quest’uomo,
rovinato dai soldi e dal successo, e tanta poca considerazione per la ballerina
brasiliana con due figlie, che non si potrà curare né diventare un testimonial contro
la droga, né dedicare la sua esperienza (ma quale mi chiedo io?) ad aiutare gli
altri, come invece Calissano ha promesso di fare. Perchè lui ha già capito che
ha sbagliato tutto e che si vuole curare. Non mi resta che fargli i miei
sinceri auguri, perchè non sarà una passeggiata: pensate che le migliori
comunità arrivano a barare nel presentare i dati sui loro successi terapeutici
per nascondere che le terapie sulle dipendenze hanno un tasso di successo
talmente basso, da far mettere in dubbio che il loro vero lavoro sia la cura
per la guarigione.
Una persona che
dall’uso di droga passa alla dipendenza ha bisogno di un lento e graduale
ritorno all’amore verso se stessa e la propria libertà
Pochi hanno oggi però il coraggio di dire che, nonostante
da anni si dia agli spacciatori una caccia senza tregua (così almeno dicono),
che le pene per i trafficanti (ma non solo per loro) siano altissime, che ogni
anno vengano fatte campagne di prevenzione studiate scientificamente (quegli
spot dai costi stratosferici che lasciano il più delle volte gli spettatori
interdetti), l’Italia è piena di droga, ed esistono ormai sistemi di
approvigionamento e di stockaggio in grado di garantire in maniera costante un mercato
gigantesco e trasversale. Ci si dimentica poi di ripetere a sufficienza che con
la droga proibita si finanziano le guerre, si mantengono in vita poteri
dittatoriali e si condannano alla fame ed allo sfruttamento migliaia di uomini
e donne in tutto il mondo.
Da questo continuare a discutere del nulla si ottiene
comunque un risultato, che sta nelle continue morti di tanti esseri umani di
cui nessuno vuol prendersi la responsabilità, nelle esistenze fatte marcire in
carceri sovraffollate, nelle sempre maggiori difficoltà a trovare terapie che
non siano l’obbligo a guarire (teoria veramente aberrante), nel rendere
praticamente impossibile affrontare un problema del genere senza che vengano
coinvolti inutilmente magistrati e polizia. Una persona che dall’uso di droga
passa alla dipendenza ha bisogno di un lento e graduale ritorno all’amore verso
se stessa e la propria libertà, e su questo qualsiasi logica repressiva e
proibizionista è solo controproducente.
Io vedo l’antiproibizionismo come unica strada veramente
nuova e civile per affrontare il problema: non è salvando la morale pubblica
esteriore con leggi quali quelle attuali che si salvano le vite umane né si
offrono stimoli veri all’emancipazione da qualsiasi strumento di schiavitù. È
solo la cultura della solidarietà e dell’accoglienza che consente strade nuove.
Ma per fare questo prima bisogna informare chiaramente sul fallimento delle
politiche in atto da quindici anni, e sui falsi bilanci delle guarigioni
operate dalle comunità del business antidroga, e poi affiancare le cifre dei
milioni di morti in tutto il mondo e delle centinaia di anni di carcere
scontati, solo in Italia, per reati legati al consumo di droga.
Chi si trova in situazioni di dipendenza non dovrà avere
come unica possibilità, a meno che non sia uno degli ormai tanti vip, quella di
essere costretto all’illegalità, e a subire da subito una frattura ed un
meccanismo di esclusione dal vivere sociale. Potrà, se ad attenderlo non c’è
automaticamente la repressione, tentare di costruire delle relazioni di aiuto
non viziate da ricatti o pregiudizi, ma caratterizzate solo dalla volontà di
trovare una strada che consenta a tutti di continuare a camminare insieme. Da
persona che queste cose le ha vissute, io chiedo che si torni a rivedere la questione
tossicodipendenze ripensando veramente alla possibilità di cambiare strada, che
significa raccontare onestamente le cose come stanno e non prendendo per oro
colato le dichiarazioni dei professionisti del business della guarigione che,
se vogliono, potranno comunque continuare a proporre le loro teorie
miracolanti.
E soprattutto non spacciare l’antiproibizionismo quasi fosse uno stimolo alla diffusione del consumo di droghe: a fare questo ci sta pensando già la cultura attuale, popolata da tutti questi esempi e modelli di successo vittime della polverina, e comunque i dati sui consumi ne sono la prova. L’informazione libera dovrebbe veramente avere il coraggio di riaprire la questione, facendolo però in maniera seria ed onesta e non, come al solito, invitando tuttologi esperti di niente o ragazzi ancora in trattamento, per i quali in alcuni casi si può parlare proprio di lavaggio del cervello, ragazzi che nella gran parte dei casi il rientro alla vita normale non l’hanno ancora fatto e spesso, pochi anni dopo, purtroppo, sono all’angolo di una strada ad aspettare un briciolo di polvere, per sopravvivere ancora qualche ora.