Regime/Circuito
ALTA SICUREZZA 1: la terra dei CATTIVI PER SEMPRE
di
Carmelo Musumeci
Le
carceri italiane rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella
forma più atroce che si sia mai avuta: noi crediamo di avere abolito la
tortura, e i nostri reclusori sono essi stessi un sistema di tortura la più
raffinata; noi ci vantiamo di avere cancellato la pena di morte dal Codice
penale comune, e la pena di morte che ammanniscono goccia a goccia le nostre
galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice; noi ci
gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche
di delinquenti, o scuole di perfezionamento dei malfattori. (Filippo
Turati, Discorso alla Camera dei deputati del 18 marzo 1904. Citazione tratta
dal libro “Viaggio nelle carceri” di Davide La Cara e Antonino Castorina,
edito da EIR)
Sono
passati pochi mesi da quando, dopo ventitré anni di carcere, mi hanno
declassificato a un regime di carcere meno duro.
Ancora
non mi sono abituato a essere considerato un detenuto comune, forse perché a
forza di dirmi che ero pericoloso e irrecuperabile per oltre un ventennio, avevo
incominciato a crederci anch’io.
E
pensavo che sarei rimasto prigioniero nei gironi di Alta Sorveglianza (nelle
sezioni ghetto del regime/circuito AS1 ex E.I.V., Elevato Indice di
Sorveglianza) fino alla fine della mia pena che è nel 31/12/9999 (così gli
ergastolani hanno scritto nel loro certificato di detenzione).
I
prigionieri che vivono in questi gironi infernali vengono tutti dal regime di
tortura del 41 bis, dove però bene o male c’è una tutela giurisdizionale da
parte della magistratura di Sorveglianza e nel decreto che ti notificano c’è
scritta la durata della permanenza.
Nella
destinazione nei regimi/Circuiti AS1 invece non ti danno nessun decreto e non
c’è scritto da nessuna parte quanto durerà la tua permanenza in questi
ghetti istituzionali.
E
se non hai un colpo di culo (dopo ventitré anni di carcere) come è capitato al
sottoscritto (penso che molti altri lo avrebbero meritato più di me) vivrai e
morirai nelle sezioni regimi/circuiti dei cattivi per sempre.
Proprio
l’altro giorno un compagno detenuto nelle sezioni ghetto del regime/circuito
AS1 mi ha scritto:
Ormai
in questo lager molti uomini ombra non escono quasi mai dalla cella. Non vanno
neanche al passeggio, mangiano e guardano la televisione. Altri vanno solo dal
passeggio alla cella e viceversa perché hanno smesso di pensare e sognare. In
questi giorni riflettevo “Quanto costa ad un popolo, a tutto il popolo del
mondo ignorare la possibilità del cambiamento?”. Se ogni anno disapplicano
trenta detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis e li inseriscono nei
circuiti/regimi AS1 perché di conseguenza non declassificano altri trenta
prigionieri che da decenni sono ristretti in questi lager? Vengono invece tutti
accatastati nel nostro circuito destinati alla tristezza dell’immobilità a
tempo indeterminato e infinito.
Non
credo che il passar del tempo possa cambiare le persone in meglio, piuttosto
invece penso che per migliorare e cambiare le persone in meglio abbia più
importanza come l’”Assassino dei Sogni” (così noi chiamiamo il carcere)
ti faccia passare il tempo.
Ristretti
Orizzonti intervista Francesco Maisto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza
di Bologna
Risarcimento:
non chiamiamolo “sconto di pena”
Un
giorno di carcere in meno ogni dieci, otto euro al giorno per chi ha scontato la
pena: si tratta di un “rimedio risarcitorio”, di carattere compensativo, con
cui è il detenuto ad essere in qualche modo risarcito per la “condotta”
dell’Amministrazione penitenziaria
a cura della Redazione
(Intervista
concessa a Ristretti Orizzonti per Radio Cooperativa e rivista dal magistrato
stesso)
In
merito al decreto n°92 del 26 giugno 2014, che è entrato in vigore il 28
giugno 2014 e poi convertito in legge, che prevede che la persona detenuta possa
presentare istanza per ottenere uno sconto di pena per risarcimento al
magistrato di Sorveglianza, in quali casi l’istanza può essere presentata da
parte del detenuto?
Innanzitutto
non è uno sconto di pena; se cominciamo a parlare di sconto di pena confondiamo
il nuovo e specifico “rimedio risarcitorio”, di carattere compensativo, con
i benefici penitenziari che hanno come condizione generale la meritevolezza da
parte del condannato. In particolare, si confonde il nuovo rimedio con la
liberazione anticipata, che tradizionalmente è sempre chiamata in gergo
carcerario “sconto di pena”, sia se si tratta della liberazione anticipata
ordinaria che di quella speciale. Qui invece, è il detenuto ad essere in
qualche modo, risarcito per la “condotta” dell’Amministrazione penitenziaria.
Ora
possiamo precisare in quali casi il detenuto può ottenere il rimedio. Può
ottenerlo in tutti i casi il detenuto (quindi, non solo il condannato) che abbia
subito (quindi, anche se il pregiudizio non sia più attuale), oppure continui a
subire un pregiudizio durante la sua carcerazione e cioè, quel pregiudizio che
integra gli estremi dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo: un trattamento inumano e degradante, tortura. Poi il decreto legge
precisa che deve trattarsi si del pregiudizio di cui all’art.3, ma “come
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. Ecco, quindi, che
su questo inciso si può aprire una discussione: non basta soltanto tener conto
della dizione ampia dell’art. 3 della Convenzione, ma anche
dell’interpretazione che è stata data dalla Corte. Generalmente si sta cominciando
a profilare l’idea secondo la quale soltanto i detenuti in uno spazio
inferiore ai tre metri quadri, quindi secondo la sentenza Torreggiani, possono
chiedere la computazione di un giorno per dieci giorni; però è ammissibile
anche un’altra interpretazione più ampia, non secondo l’interpretazione
Torreggiani, ma secondo la precedente sentenza Sulejmanovic, pure di condanna
dell’Italia, che, per ritenere integrato il trattamento inumano e degradante,
non si riferisce soltanto ai tre metri quadri, ma anche a uno spazio
calpestabile superiore ai tre metri quadri. E poi sono rilevanti anche gli altri
parametri, secondo la precisa griglia elencata dalla sentenza Sulejmanovic.
Inoltre possono chiedere il rimedio i detenuti che hanno subìto questo
pregiudizio, oppure anche le persone che non sono più detenute; solo che cambia
il giudice al quale rivolgere l’istanza. Quindi diciamo che il rimedio è a
carico dello Stato e non è un beneficio, ma una sorta di compensazione per la
maggior sofferenza, che si armonizza con gli altri rimedi e misure varate negli
ultimi mesi per attuare le richieste della Corte europea.
“Il
rimedio risarcitorio è una norma di sistema per obbedire al dettato della Corte
europea dei diritti dell’uomo, quindi, è una norma che viene inserita
stabilmente nell’Ordinamento penitenziario”
Oltre
i detenuti (e questo è un aspetto che molti trascurano) possono chiedere il
rimedio gli INTERNATI, cioè le altre persone ristrette che non si possono
qualificare come detenute, nelle Case di lavoro, nelle Colonie agricole, negli
Ospedali psichiatrici giudiziari o nelle Case di cura e custodia. Quindi, per
esempio, per 10 giorni di Casa di lavoro in condizione della violazione
dell’art.3 si può avere un giorno in meno di casa di lavoro, e questo vale
anche per gi internati negli ospedali psichiatrici giudiziari.
Appunto
è una cosa che è stata abbastanza tralasciata, non se n’è parlato molto,
non si è dato risalto a questo aspetto
Però,
non solo il nuovo art. 35 ter della legge penitenziaria, immesso nel sistema
dall’art.1 del decreto legge 92, è chiarissimo in questo senso, ma anche
l’art. 2 dello stesso decreto si riferisce agli internati. Per internati si
intendono le persone che sono in esecuzione di una misura di sicurezza
detentiva, cioè: la Casa di lavoro e la Colonia agricola, oppure l’Ospedale
psichiatrico giudiziario o la Casa di cura e custodia. Questa tesi è ora
sostenibile, nonostante la strutturale indeterminatezza della durata delle
misure di sicurezza, alla luce dei nuovi principi del decreto legge n.52 del 31
marzo 2014, convertito il legge n.81 del 30 maggio del 2014 sugli Ospedali
psichiatrici giudiziari. Questa legge, tra le altre tante novità non rilevanti
ora, all’art.1, comma 1 quater, riguarda tutte le misure di sicurezza
detentive e pone un termine finale di durata disponendo che non possono durare
oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso,
eccetto l’ergastolo.
Quali
altre condizioni possono essere ritenute inumane e degradanti, oltre alla
limitazione dello spazio fisico?
Credo
che se si accetta, come ritengo, la tesi secondo la quale non bisogna fare
riferimento solo alla sentenza Torreggiani, ma anche alla sentenza Sulejmanovic
- ma ce ne sono tante altre della Corte nei confronti degli altri Stati
responsabili di trattamento inumano e degradante -, allora non si ha trattamento
inumano e degradante soltanto quando lo spazio calpestabile è di un certo
numero di metri quadri, ma anche quando vengono violati altri parametri, come
per esempio: la luce diretta nella cella, nella camera di pernottamento, per
usare un eufemismo, oppure le ore di aria, oppure il diritto alla salute. Tutto
ciò che è in violazione di tutti i parametri che ha preso in considerazione la
Sulejmanovic. Quindi, l’ispirazione radicale di fondo è la tutela della
dignità della persona e non un problema di allevamento ottimale di galline
ovaiole in batteria, oppure di spazi necessari per il corretto allevamento dei
maiali.
Quindi
un detenuto può presentare istanza non solo perché in condizioni di spazio
ristrette. ma per altri motivi?
Si,
infatti il decreto configura il pregiudizio secondo la previsione
dell’articolo 69, sesto comma, lettera B della legge penitenziaria, cioè
quando c’è stata una violazione di diritti del detenuto e di doveri da parte
dell’Amministrazione. E, dopo la modifica dell’art. 35 bis, non solo da
parte dell’Amministrazione penitenziaria. Ecco, però poi c’è tutta
un’altra serie di condizioni, quindi dicevamo che possono chiedere il rimedio
per un computo non inferiore a 15 giorni perché se è meno di 15 giorni, invece
di dare un giorno per ogni 10 giorni, bisogna invece dare il rimedio
compensativo degli 8 euro al giorno. Poi è necessario innanzitutto, l’input
mediante istanza, o personale del detenuto o dell’internato, oppure di un
avvocato con procura speciale del detenuto.
Cosa
significa: tramite difensore munito di procura speciale?
Significa
che o il detenuto fa istanza, come in genere nei casi in cui chiede una misura
alternativa o un permesso, oppure deve nominare un difensore di fiducia e dargli
la procura speciale per questo tipo di procedimento. Quindi non basta il
difensore di fiducia solito, abituale, il difensore nominato per le misure
alternative nel procedimento di sorveglianza, deve essere un difensore nominato
con una procura ad hoc: es. nomino come mio difensore l’avvocato tal
dei tali in relazione al procedimento per ottenere il rimedio risarcitorio di
cui al decreto legge 92 del 2014.
Da
che data parte il risarcimento?
Il
risarcimento non ha, come si dice in gergo tecnico un dies ad quem e un dies
a quo. Proprio perché si tratta di un rimedio compensativo per sofferenze
ulteriori rispetto a quella sofferenza che già dà la restrizione della libertà
personale, non c’è un termine. Non si può dire: “a partire dal...”. Se
dunque io detenuto dico che sono stato posto in una condizione di trattamento
inumano e degradante cinque anni fa, e per tutti i cinque anni dico che sono
stato posto in questa situazione, chiederò il rimedio risarcitorio per cinque
anni. Infatti, la regola generale è che quando la legge ha voluto precisare i
termini lo ha detto chiaramente. Prendete per esempio, la liberazione anticipata
speciale, quella prevista dal decreto legge del 23 dicembre 2013, n.146
convertito nella legge del 21 febbraio 2014 n. 10, essa può essere concessa per
le pene dall’1 gennaio 2010 e per un periodo di due anni dalla data di
pubblicazione del decreto medesimo. Questa è una norma eccezionale, cioè i 75
giorni di “sconto”, se ci sono i presupposti, non verranno dati tra 15 anni.
Invece, quella del rimedio risarcitorio è una norma di sistema per obbedire al
dettato della Corte europea dei diritti dell’uomo. Quindi, è una norma che
viene inserita stabilmente nell’Ordinamento penitenziario, tanto è vero che
la norma sulla liberazione anticipata speciale non è parte integrante
dell’Ordinamento penitenziario, non ha una numerazione progressiva tipica
dell’Ordinamento penitenziario.
Il
testo ci sembra che non specifichi però in che modo e in che termini il
magistrato di Sorveglianza debba muoversi per la valutazione effettiva delle
condizioni degradanti e l’accertamento che queste siano perdurate per il
periodo che il detenuto dichiara.
No,
no. Ho letto anche da qualche parte una posizione di questo tipo. Non è
esatto perché il precedente decreto ha stabilizzato nel sistema l’articolo
35bis e quindi finalmente, anche se con qualche opacità, è previsto che, in
caso di violazione di diritti soggettivi, il detenuto si rivolga al magistrato
di Sorveglianza per vedere riaffermato il suo diritto soggettivo e per
ripristinare una situazione di legalità. Questo decreto non poteva dire niente
di più e, d’altra parte, nulla di più avrebbe dovuto dire perché le
sentenze della Cedu fanno stato nel nostro Ordinamento e quindi, i criteri ai
quali si deve ancorare la giurisprudenza del magistrato di Sorveglianza e poi,
in caso di impugnazione, il tribunale di Sorveglianza, sono quelli della
giurisprudenza sovranazionale e della legge nazionale e sovranazionale.
Il
trattamento legale del detenuto viene assicurato in Italia nel momento in cui si
rispetta la Costituzione, le Convenzioni, le leggi nazionali ed in particolare,
la legge penitenziaria e il regolamento di esecuzione della legge penitenziaria
con tutte le previsioni dei diritti e dei doveri, per quanto riguarda il tempo
libero, le attività ricreative, la formazione, il lavoro e così via. Quindi, i
parametri ai quali deve ancorare il suo giudizio il magistrato di Sorveglianza,
sia nel caso in cui compensi un giorno per dieci giorni, sia nel caso in cui
liquidi otto euro al giorno, sono i criteri della giurisprudenza e della corte.
Non sono criteri evanescenti. Sembrano evanescenti perché, come dire, è la
prima volta che apprezziamo una normativa di questo tipo stabilmente nel nostro
Ordinamento.
“Il
magistrato di Sorveglianza, sulla base delle affermazioni contenute
nell’istanza, svolge gli accertamenti necessari e, non a caso, è un
procedimento in contraddittorio in cui si versano le richieste del detenuto e
del suo difensore”
Più
che evanescenti, ci chiedevamo la fattibilità di questa verifica che deve
essere fatta per capire se effettivamente poi, per tutto il tempo che il
detenuto dichiara, si sia effettivamente trovato in condizioni di detenzione
inumane e degradanti
Mah,
la fattibilità si realizza prospettando tutti i mezzi di prova. Ad esempio,
prospettando che è stato compresso, è stato violato un mio diritto soggettivo
da questo giorno a questo giorno. Da questo giorno a questo giorno avevo diritto
a una certa prestazione sanitaria perché mi era stata prescritta, accerti il
magistrato di Sorveglianza se ciò è vero, se ciò non è vero e decida. Il
magistrato di Sorveglianza, sulla base di queste affermazioni contenute
nell’istanza, svolge gli accertamenti necessari e, non a caso, è un
procedimento in contraddittorio in cui si versano le richieste del detenuto e
del suo difensore; quindi non è un procedimento, come dire, senza contraddittorio,
sbrigativo, de plano. Il magistrato di Sorveglianza darà l’avviso al Pubblico
Ministero, l’avviso all’Amministrazione penitenziaria, assumerà dei mezzi
di prova in concreto, caso per caso, oppure, di fronte a situazioni
generalizzate di detenzione in violazione di legge, di tutto un carcere, sarà
sufficiente acquisire e valutare documenti generali di quel carcere. Anche per
quanto riguarda l’assunzione dei mezzi di prova, lo stesso detenuto o il suo
difensore potranno indicarli specificamente; potranno indicare circolari
dell’amministrazione che non sono state rispettate; potranno indicare
testimonianze, ecc. La prova è libera da questo punto di vista, e soggetta alla
valutazione motivata del giudice. Bisogna portare al giudice il fumus, come si
dice in gergo, la parvenza delle prove, e il magistrato deve accertarle, ha
l’obbligo di accertarle. Nel caso in cui poi emette un’ordinanza di rigetto
della richiesta del detenuto, questa ordinanza è impugnabile davanti al
tribunale di Sorveglianza che a sua volta, proprio perché si tratta di
impugnazione, in certi casi, potrà rinnovare l’istruttoria.
Immaginiamo
però che con tutte le istanze che ci saranno, sarà complicato per i magistrati
riuscire a rintracciare la storia delle singole persone, anche perché molti
detenuti avranno magari avuto condizioni non continuative di violazione dei loro
diritti
Voglio
cercare di chiarire questo. Allora, un conto è che si faccia una buona legge e
altro conto è, poi, immediatamente fare in modo che ci sia la struttura
organizzativa e le risorse umane e personali in modo che la legge funzioni.
Insomma, la legge deve poi avere i piedi per camminare. Ecco, queste sono le
cose che bisogna fare. Però non bisogna lasciarsi spaventare dal numero di
istanze che arriveranno. Certo, ne arriveranno tantissime, ma se ne dovessero
arrivare tante poi questo sarebbe il sintomo che molto male in più, molta
sofferenza in più è stata inferta dal nostro sistema penitenziario in questi
15 anni. Ed in più rispetto a quella che la legge richiedeva. Quindi, non
bisogna lasciarsi spaventare dal prevedibile fenomeno. Bisogna mettere in atto
gli strumenti perché queste istanze vengano valutate e vengano decise dalla
magistratura in un tempo ragionevole.
Ma
questi strumenti quali sono?
Innanzitutto,
un numero di magistrati di Sorveglianza sufficiente in ogni ufficio di
Sorveglianza, in ogni tribunale di Sorveglianza.
Attualmente
sono del tutto insufficienti. E dire insufficienti è dire poco, perché la
situazione è drammatica. Poco più di 150 magistrati di Sorveglianza si devono
occupare di 55000 detenuti! E poi sono aumentate sempre di più, nel corso degli
anni, le competenze, le mansioni, cioè le attività che deve svolgere il
magistrato di Sorveglianza. E invece, non sono aumentati gli organici. Quindi
abbiamo innanzitutto degli organici non completi che bisogna completare, cioè
bisogna fare in modo che tutti gli uffici di Sorveglianza e i tribunali di
Sorveglianza abbiano gli organici pieni, completi. E poi bisogna far aumentare
gli organici dei magistrati di Sorveglianza. Ci sono notevoli sproporzioni per
esempio tra uffici e uffici, in particolare tra il nord e il sud. Valuto per
esempio che nel mio tribunale di Sorveglianza ogni magistrato di Sorveglianza ha
200 condannati in più rispetto a un magistrato della Lombardia oppure di Roma,
del Lazio.
Bisogna
acquisire una mentalità sistemica, per cui se aumenta il numero degli istituti
in un certo territorio e quindi aumenta il numero dei detenuti, in modo quasi
automatico deve aumentare l’organico dei magistrati. Inversamente, se
diminuisce in una certa regione il numero degli istituti e il numero dei
detenuti, lì, in quel caso, bisogna far diminuire il numero dei magistrati.
Quindi è necessaria una visione moderna che non c’è. Detto questo, cioè il
problema della magistratura, c’è un problema ancora più grave ed è quello
del personale di cancelleria, perché ben bene che il magistrato abbia deciso
con una certa celerità, è necessario che il fascicolo venga composto, venga
messo a posto, la documentazione ci deve stare nel fascicolo perché il
magistrato decida. E questo deve succedere sia prima che il magistrato decida,
sia dopo che il magistrato decide ai fini dell’esecuzione. E tutto questo non
c’è. Vero è che il decreto legge prevede assistenti volontari ex art.78
che collaborino con la magistratura di Sorveglianza, ma a me sembra che questo
servirà a poco. Prevede anche, il decreto legge, che finalmente, non soltanto i
magistrati che da un certo tempo siano in carriera possano andare a fare i
magistrati di Sorveglianza, ma anche i magistrati di prima nomina, e quindi si
possa attingere anche per la magistratura di Sorveglianza ai nuovi ai giovani
magistrati. Però questo significa soltanto riuscire ad avere l’organico
pieno, ma non significa aumentare il numero dei magistrati di Sorveglianza e
invece, bisogna aumentarli.
Poi
è chiaro che il decreto legge prevede anche tutta una serie di aspetti importanti,
come per esempio il caso della liquidazione, quando la pena sia già stata
espiata. In quel caso però, la competenza non è del magistrato di
Sorveglianza, ma bisogna proporre una vera e propria azione al tribunale del
capoluogo del distretto in cui ha la residenza la persona che è stata
scarcerata, cioè davanti al giudice civile. Però vedo che anche qui c’è una
discrepanza, una asimmetria, perché non basta affermare secondo legge che un
diritto esiste, poi quel diritto deve vivere e per poter vivere è necessario
che, se viene violato, il giudice lo possa ristabilire subito. Allora nel caso,
per esempio, del pregiudizio come trattamento inumano e degradante, mentre il
procedimento per la persona che è stata scarcerata davanti al tribunale civile
è un procedimento più agile, ma meno garantito perché praticamente è prevista
l’emissione di un decreto da parte del giudice civile monocratico, peraltro,
un decreto non reclamabile, cioè non impugnabile e quindi non garantito,
invece, è più garantito, ma meno agile il procedimento della persona detenuta
perché è previsto un primo grado di giudizio davanti al magistrato di
Sorveglianza, un secondo grado, l’impugnazione davanti al tribunale di
Sorveglianza, poi il ricorso per Cassazione e, nel caso in cui non ci sia
l’esecuzione, il giudizio di ottemperanza. Ma capite bene che un procedimento
così articolato e complesso può facilmente slittare in una negazione del
diritto, perché non è possibile che per avere un giorno su dieci giorni oppure
otto euro al giorno si debba aspettare il giudizio di Cassazione, oppure il
giudizio di ottemperanza. È probabile, come mi auguro, che questo non succederà
sempre, però poiché si applica il rito dell’art. 58 bis, l’ordinanza del
magistrato di Sorveglianza deve essere non più impugnabile, cioè dev’essere
esecutiva. Invece è soggetta ad impugnazione.
Meno
custodia cautelare e più reinserimento
Ecco
perché cerchiamo di chiedere meno galera anche per i potenti come l’ex
Governatore della Regione Veneto Giancarlo Galan, anche se qualche detenuto
pensa che forse capire cos’è davvero il carcere non gli farebbe male…
Conoscendo
bene le galere, non saremo mai fra quelli che urlano “In galera, in galera!”
quando un politico o un imprenditore rischiano l’arresto: tutte le volte che
è possibile, preferiamo di gran lunga che una persona attenda il processo da
libero, e che la custodia cautelare in carcere sia davvero usata solo in caso di
effettiva pericolosità del presunto autore del reato. Però sul caso di
Giancarlo Galan, l’ex governatore della Regione Veneto arrestato di recente,
le opinioni dei detenuti non erano così concordi, e allora abbiamo deciso di
dare spazio ai tanti contrari al suo arresto, ma anche a chi pensa che i reati
“dei potenti” debbano essere trattati con più severità di quel che succede
oggi.
A
cura della Redazione
Penso
che i potenti debbano smetterla di farla franca
di
Erion Celaj
Nella
redazione di Ristretti Orizzonti in una delle ultime discussioni l’argomento
al centro del confronto è stato l’arresto di GALAN, il gruppo in
quest’occasione si è diviso in due fazioni, la più consistente si è
espressa contro l’arresto, l’altra in favore. Io mi sono schierato con
quest’ultima, e provo a spiegare la mia presa di posizione. Io sono in carcere
per aver commesso dei reati, i miei reati sono reati di droga, armi, rapine e
furti, tutti questi elementi creano allarme sociale perché si tratta di reati
violenti dove i danni sono visibili.
Quando
ho commesso questi reati ero consapevole che sarei finito in carcere, ho fatto
una scelta di vita sicuramente discutibile e oggi giustamente ne pago le conseguenze,
da quasi due anni ho la fortuna di avere dei percorsi che mi fanno riflettere
sulle mie scelte, e oggi chiaramente posso dire che chi commette dei reati non
riesce ad avere attenzione e rispetto per la società che lo circonda. Ma quando
penso a chi commette reati come le frodi bancarie, a chi intasca mazzette, a chi
dirotta appalti pubblici a favore di ditte amiche, dico che queste persone
devono andare in carcere, il fatto che siano laureate, benestanti, gente della
cosiddetta buona società, non le rende diverse da tutti gli altri, queste
persone non devono essere immuni dalla legge, se la legge è davvero uguale per
tutti. Non sono un forcaiolo ma penso che i potenti debbano smetterla di farla
franca, le statistiche riguardo i reati finanziari in Italia parlano chiaro, si
va in galera poco o per nulla, e secondo me bisogna cambiare questa mentalità
del dire: tanto i potenti non pagano mai.
Io
voglio portare un piccolo esempio: se una persona influente pilotasse un appalto
a favore di qualche ditta a lui gradita danneggiando cosi la ditta concorrente
che per sua sfortuna non ha amici influenti, e che è così costretta a mandare
a casa gli operai, e fra questi operai c’è qualcuno che perdendo il lavoro
perde tutto quello per cui ha sudato una vita e preso dal panico commette atti
irreparabili come quelli che si vedono in tv ultimamente, chi ne sarebbe il
responsabile? Invece l’altro esempio è ancora più diretto: cosa fai se ti
svegli e da un giorno all’altro i tuoi risparmi messi in banca non ci sono più?
Ecco per questi motivi io dico che il carcere è giusto nei confronti di queste
persone, non differenti da me e dagli altri delinquenti che creano allarme sociale.
Non tutti i reati richiedono l’uso della violenza, ma questo non vuol dire che
solo chi è violento va fermato e messo in carcere perché pericoloso,
altrettanto pericolosi sono quelli che riducono famiglie sul lastrico stando
comodamente seduti in palazzi e sedi importanti. Chiudo ribandendo ancora una
volta che NON SONO CONTRARIO AL CARCERE, come mezzo di rieducazione (ma che lo
sia in modo serio) anche per quelli che educatamente hanno impoverito migliaia
di famiglie, usando una violenza subdola, approfittando della fiducia che viene
riposta in loro dai cittadini.
Il
carcere non può essere la soluzione per tutti i mali
di
Bruno Turci
In
questi giorni si parla molto di arresti eccellenti, come quello di Galan, dopo
che il manager Piergiorgio Baita pare abbia spifferato tutti i maneggi degli
appalti nel Veneto, provocando un’ecatombe che rischia di portare dietro le
sbarre i maggiori notabili che hanno imperato nella Regione Veneto negli ultimi
due decenni.
A
dirla tutta l’ex Presidente della Regione Veneto Galan poteva uscire con più
onore dalla vicenda che lo ha condotto in carcere e fare più bella figura
costituendosi, ma non intendo giudicare l’uomo, saranno i giudici a farlo. Io
credo comunque che sarebbe stato più corretto lasciare libero Galan, avrebbe potuto
difendersi meglio e con maggiore dignità.
Sono
dell’idea che non solo Galan avesse il diritto di affrontare da uomo libero il
suo processo, ma che moltissimi dei detenuti in attesa di giudizio avrebbero
diritto di affrontare il processo da persone libere con dignità, senza essere
messi alla gogna, subendo a volte una pena aggiuntiva in anticipo sulla
eventuale sanzione penale.
Il
carcere prima del giudizio è spesso una barbarie, per gli uomini che hanno
espiato una pena ingiusta non esiste una misura in grado di risarcire il male
che hanno subito, perché non esiste il mezzo di restituire la dignità
strappata a un uomo messo alla berlina con una custodia cautelare ingiusta. E
non ci sarà serenità nella giustizia finché ci saranno i forconi mediatici
che anticipano le sentenze dei giudici: quando un uomo viene maltrattato dai
media, nessuno può ridargli la sua vita distrutta. La famiglia, seppure
incolpevole, viene travolta anch’essa ed è proprio la famiglia a pagare in
modo più pesante.
La
nostra società è stata schiacciata negli ultimi decenni da una politica e da
una informazione che hanno spesso coperto le magagne dei potenti, spostando il
pensiero della gente comune alle semplificazioni sulle questioni della
sicurezza, dove si finisce per criminalizzare l’immigrato, prestare enorme
attenzione ai reati di strada e invece tanta disattenzione alla corruzione di
chi ha in mano le leve dell’economia e della politica.
È
comprensibile che il cittadino comune oggi trovi soddisfazione nelle disgrazie
di un potente. Si sente maltrattato da una classe dirigente che non difende la
capacità di acquisto del suo stipendio e finisce per pensare che tutti i
politici rubano e che tutti prendono mazzette, ma è arrivato il momento di
fermarci a recuperare quel senso della misura che rimette la giustizia sui
binari della serenità e della discrezione, lasciando che le persone si possano
difendere da liberi cittadini e i giudici che devono giudicarle non siano
schiacciati da quella macchina infernale della politica e dell’informazione
che, invece, oggi schiaccia tutti, colpevoli e innocenti. Chi sarà riconosciuto
colpevole sconterà la sua pena come avviene in ogni parte del mondo, ma il
carcere non può essere la soluzione per tutti i mali.
Il
carcere è un’ignominia per tutti, colpevoli e innocenti, e dove non c’è un
vero pericolo per la società è meglio non rinchiuderci nessuno.
Solidarietà
fra le sbarre a Giancarlo Galan
di
Carmelo Musumeci
Chi
ruba una mela fa galera, chi ruba miliardi fa carriera: è un detto popolare,
uscito fuori quando nella Redazione di “Ristretti Orizzonti” abbiamo parlato
dell’arresto dell’uomo politico che avevamo conosciuto qui nel carcere di
Padova durante l’ultimo Congresso di “Nessuno Tocchi Caino” a dicembre
del 2013.
Ed
è risultato che la stragrande maggioranza dei “giornalisti detenuti” (ed io
fra quelli) a differenza dei suoi colleghi parlamentari, ha ritenuto non
necessario il suo arresto e ha sottolineato con forza che “L’imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva” (articolo ventisette
della Costituzione).
Noi
non ci siamo però fermati solo alla solidarietà all’uomo arrestato e
sbattuto in prigione, ma abbiamo anche criticato Giancarlo Galan che in passato
ha fatto parte di un’alleanza e di un partito che, forse anche per scopi
elettorali, hanno approvato molte leggi “carcerogene”, che hanno finito per
riempire le carceri di poveri, immigrati e tossicodipendenti.
Adesso
dispiace che Galan sarà costretto sulla sua pelle a constatare quanto squallore
e quanta ingiustizia sociale ci siano nelle nostre Patrie Galere.
Sarà
costretto ad accorgersi che la cosa più brutta della prigione non è la
mancanza di libertà, ma piuttosto che la tua vita dipende da altri, e tu devi
per forza sottostare alle loro imposizioni, come l’assurda regola che puoi
fare una sola teefonata a settimana, della durata di dieci minuti, ai tuoi
famigliari. È difficile spiegare a un figlio o a una figlia certi
incomprensibili divieti del carcere, come pure è difficile da spiegare che in
uno Stato di Diritto a volte si pensi di punire una persona con il carcere
preventivo ancora prima di saperla colpevole.
Io
non so se Giancarlo Galan sia innocente o colpevole, ma so per certo che è
colpevole lo Stato italiano che consente che una persona sia messa alla berlina
(insieme ai suoi familiari) prima di essere giudicata colpevole in nome del
popolo italiano.