Un
carcere “al servizio” dei giovani studenti
Un carcere in cui, ormai da dieci anni, le
storie personali, pesanti, difficili, dei detenuti sono messe al servizio di
migliaia di studenti: è un’esperienza abbastanza rara, quella della Casa di
reclusione di Padova, che riparte a ogni inizio di anno scolastico con sempre
più slancio. Perché ormai ci credono in tanti, dagli insegnanti alle famiglie,
al Comune di Padova, al fatto che il carcere può diventare una parte importante
della vita della città, e che le persone detenute, con le loro testimonianze,
possono avere a cuore il futuro delle giovani generazioni al punto, da accettare
di parlare dei loro reati con sincerità, con autentica onestà, per aiutare i
ragazzi, se possibile, a fermarsi prima di scivolare in comportamenti sempre più
a rischio.
Nel
confronto con gli studenti riusciamo a diventare uomini degni di fiducia
di
Bruno Turci
È
arrivato l’autunno e riaprono le
scuole. Qui da noi, nella redazione di Ristretti Orizzonti, questo significa
riprendere gli incontri con gli studenti delle scuole superiori di Padova e del
Veneto, un’attività di prevenzione e un’occasione di riscatto. Pe me si
traduce in una formidabile possibilità di ritrovare una parte di me attraverso
l’empatia che si crea con gli studenti. Il risultato è un po’ come quando
si dà il bianco in casa, in cui si vive un momento un po’ magico trovandosi
immersi in una luce nuova dopo aver fatto pulizia e rimesso ordine alle cose.
Questa è senz’altro una forma di restituzione di qualcosa di cui avevo privato
qualcun altro con i miei reati.
Per
me e credo anche per gli altri miei compagni, si tratta di un impegno faticoso,
non è facile riuscire a mettersi in gioco in questa maniera, ma certamente
gli studenti ci aiutano molto partecipando quasi sempre con serietà e molta
curiosità a questo scambio. Loro percepiscono molto bene il nostro messaggio e
le domande che ci rivolgono rendono l’idea di quale spessore sia l’impegno
con cui si preparano all’incontro. Tutto questo ci rende più facili le cose.
Le
scuole che aderiscono a questo progetto aumentano ogni anno, ed è un motivo per
sentirmi gratificato per il lavoro che facciamo, vuol dire che centriamo sempre
l’obiettivo e siamo credibili. Quello che mi sorprende ancora di questa
attività è la capacità degli studenti di entrare nelle nostre storie, percependo
i passaggi dei comportamenti a rischio che cerchiamo di trasmettere con la
narrazione delle nostre esperienze.
Quello
che invece mi dispiace è la quasi totale assenza di esperienze come la nostra,
un’attività di questo tipo dovrebbe essere estesa a tutto il territorio
nazionale, credo che sarebbe davvero utile per avvicinare alla realtà del
carcere la società, perché l’esperienza degli studenti trasmessa in famiglia
sarebbe molto più vasta e renderebbe più consapevole la società rispetto alle
tematiche delle pene e del carcere. E in quel caso, forse, la giustizia potrebbe
funzionare meglio e con maggior buon senso, le carceri, forse, non sarebbero
considerate una discarica sociale, e certamente la conoscenza produrrebbe nella
società quella consapevolezza che contribuirebbe a far funzionare meglio quei
meccanismi rieducativi di risocializzazione, che sono importanti per aiutare le
persone detenute a reinserirsi nella società e sentirsi uomini recuperati e
restituiti alle famiglie.
Ricominciare
di
Dritan Iberisha
Ottobre
2013, ricominciamo, ma che cosa ricomincia? Sembra una parola strana in carcere,
visto che in carceri sovraffollate si pensa solo a vivere alla giornata, a non
far niente guardando dalla finestra a sbarre il cielo e cercando di capire se
fuori piove o no. Sembra strano, ma in carcere a cos’altro potremmo prestare
attenzione, se altro non c’è, a parte due ore di passeggi la mattina e due
ore di pomeriggio, che trascorriamo non in giardini con i fiori ma in un posto
che noi chiamiamo una piscina senza acqua, da dove si vede solo il cielo ed i
muri di cemento armato alti quattro o cinque metri attorno?
Ma
io e una quarantina di altri detenuti abbiamo la fortuna di far parte della
Redazione di Ristretti Orizzonti, e il mese di ottobre significa che
ricomincia uno dei progetti più importanti della nostra redazione: Il carcere
entra a scuola, le scuole entrano in carcere.
Perché
è cosi importante il progetto? Gli incontri con gli studenti sono difficili e
impegnativi, e noi detenuti ci sentiamo utili e responsabili per noi stessi e
per gli altri. Per me personalmente vuol dire confrontarsi con il mondo libero,
con la società, con i nostri figli, i nipoti, i fratelli e le sorelle e
confrontarsi anche con noi stessi, raccontare la storia che ci ha fatti finire
in carcere ai ragazzi e raccontare le difficoltà famigliari alle quali tutti i
giorni andiamo incontro.
Ma
raccontare il carcere vissuto credo significhi anche capire gli sbagli del
passato, raccontare cosa vuol dire stare in cella 20 o 22 ore al giorno,
cercando di sopravvivere in quelle condizioni in cui in tanti finiscono per
pensare che le vittime siamo noi che abbiamo commesso i reati, talvolta anche
molto gravi, come il mio, l’omicidio. Io ogni giorno mi ritrovo a pensare che
ho una figlia che adesso ha 20 anni e frequenta l’università, e non sa ancora
chi sono, perché quando mi hanno arrestato lei era piccolissima, aveva solo due
anni, in tutti questi anni è cresciuta con la mamma, e la parola padre lei la
pronunciava solo una volta alla settimana al telefono sentendo la mia la voce, e
durante i colloqui visivi, ogni tre o quattro mesi, e cosi come poteva
conoscermi? E io come potevo conoscere lei? Ma non solo mia figlia, potrei fare
anche l’esempio di mia moglie, che il giorno del mio arresto aveva solo 26
anni. Io mia moglie la devo solo ringraziare tanto, perché se oggi ho una
figlia che mi chiama ancora padre è tutto merito suo. Mia figlia è una ragazza
intelligente e solare ed educata in una maniera ottima e questo è tutto merito
di mia moglie, sua madre.
Io
sono uscito in permesso premio nell’aprile dell’anno scorso e sono andato in
famiglia per la prima volta dopo tanti anni, e mi sentivo un estraneo perché
non sapevo niente di loro. Mi chiedevo come avrei dovuto comportarmi, ho pensato
di entrare in casa in punta di piedi come fanno solitamente gli ospiti, ho
pensato tante altre cose, e ho capito che quando sei così vicino ai tuoi cari,
per dimostrare loro tutto il tuo affetto, non ti fermi a fare delle domande,
cerchi solo di ricominciare, cerchi di recuperare tutto il tempo perduto. Ma
come si fa a recuperare il tempo? Come si recuperano quasi 20 anni della tua
vita, ma soprattutto come si fa a recuperare l’amore di una famiglia alla
quale non si è potuto dedicare tutto il tempo voluto, con la quale non si sono
condivisi alcuni momenti fondamentali, come ad esempio l’adolescenza di una
figlia? Come si può combattere il senso di colpa per l’abbandono? L’unica
via è sempre quella di ripagare chi, nonostante tutto, ti ha dato tanto amore,
dando a tua volta tutto l’amore di cui sei capace.
Come
convivere all’interno di una cella minuscola, per tutto il giorno, con questa
marea impazzita di pensieri? E come conciliare tutto questo con il pensiero
delle vittime alle quali abbiamo coi nostri gesti arrecato tanto danno?
Questi
sono soltanto alcuni degli argomenti che noi trattiamo con gli studenti, perché
riteniamo che il confronto sia una delle armi più potenti del mondo del
carcere, attraverso cui ascoltare le opinioni degli altri e, anziché
contestarle quando non le condividiamo, renderle costruttive per noi stessi.
Se
è vero il detto che non tutto il male viene per nuocere, allora anche noi
cercheremo di fare in modo che le nostre esperienze negative diventino spunti
per crescere, maturare e migliorarci.
Ecco
a cosa potremo pensare, grazie al confronto con le scuole, oltre al fatto se
fuori piove o non piove.
Mi
sto preparando emotivamente a raccontare la mia storia davanti agli studenti
di
Lejdi Shalari
Sono
un detenuto-studente e frequento il terzo anno
di ragioneria, sezione carceraria.
Molto
spesso mi capita di intravedere dei gruppi di studenti che entrano in carcere,
li ho sempre guardati con una certa curiosità, e mi sono informato del motivo
della loro visita. E cosi ho appreso del progetto “La scuola entra in
carcere”, un’attività sostenuta e gestita dalla redazione di Ristretti
Orizzonti. La redazione incontra, a gruppi di due classi, tantissime scuole che
entrano per ascoltare le storie dei detenuti e le riflessioni che loro fanno
riguardo alla loro vita, con la piena consapevolezza di tante scelte sbagliate.
Anch’io
da qualche mese sono diventato parte integrante della redazione, ma ho
partecipato solo una volta a un incontro con le scuole perché era la chiusura
dell’anno scolastico 2012-2013.
Per
la prima volta ho sentito tre storie di vita diverse l’una dall’altra
raccontate dai miei compagni. Sono rimasto abbastanza meravigliato
nell’ascoltare quelle testimonianze, perché ci vuole coraggio a raccontare
i brutti momenti della tua vita davanti a dei perfetti sconosciuti.
Non
nego che l’approccio era emozionante e faceva riflettere, e nello stesso tempo
mi costringeva a chiedermi se ce l’avrei mai fatta a raccontare la mia storia
come fanno i miei compagni.
Adesso
siamo in autunno, la scuola è già iniziata, a fine ottobre riprenderanno gli
incontri con le scuole, e io mi sto preparando emotivamente a raccontare la mia
storia davanti agli studenti, e spero tanto di poter trovare la forza di
trasmettere le cose positive che ognuno di noi ha in sé.
Negli
incontri tra scuole e carceri, chi apprende di più?
di
Giuliano Ventrice
È
ripreso il progetto di confronto tra i detenuti della redazione di Ristretti
Orizzonti e gli studenti di diverse scuole del Veneto. Un progetto costruttivo
sotto ogni punto di vista, ma anche non privo di difficoltà, perché il peso
dell’esperienza di chi vive in carcere deve trovare la strada per farsi
sentire e vedere. Da qui nasce il dubbio ad ogni incontro su come riuscire a
farsi capire e quale possa essere il modo più efficace. Come bisogna porsi
allora con i più giovani, che del carcere e del “mondo delinquenziale” non
sanno nulla? Non è per niente facile come potrebbe sembrare, il desiderio di
ognuno di noi è quello di riuscire a far riflettere i giovani, a fargli
“vedere” la sottile linea che delimita i due mondi, quello “legale” e
quello “illegale” e che inciampare e trovarsi dalla parte sbagliata non è
così difficile come lo è invece riuscire a rialzarsi… Per trasmettere questo
ci rivestiamo di umiltà, troviamo dentro ognuno di noi il coraggio di aprirsi
con la consapevolezza che il passato è spesso una ferita aperta che fa sempre
male, e loro, gli studenti ci pigeranno sopra il “dito” dell’ingenuità e
della ragione, facendoci domande che spesso sono dirette e colpiscono a segno il
punto più dolente.
I
detenuti che scelgono di mettersi in gioco lasciandosi sottoporre a tutte le
loro domande non si pongono il problema di cosa potrebbero o non potrebbero
insegnare loro, ma semplicemente si mostrano per ciò che sono, mettendo a
disposizione le proprie storie con l’intento di farle funzionare come se
fossero un “indicatore sociale” che descrive un pericolo in cui si potrebbe
incorrere, con tutte le conseguenze del caso. Il detenuto, con un passato da tossicodipendente,
spiega come può essere facile cascare nella trappola della droga e le sue
devastanti conseguenze, fino ad arrivare alla quasi impossibilità di
recuperarsi anche solo parzialmente. E spiega che solo uno su tanti ha poi la
forza e le possibilità di farcela. Il rapinatore spiega come sia
pericolosamente affascinante la possibilità di rapinare dei soldi “facili”,
non accorgendosi che spesso si lascia una scia di terrore nella vita della
persona rapinata, che sia un privato o un cassiere di banca. Non meno importante
e pericolosa è l’incapacità poi di ritornare ad uno stile di vita onesto.
Ognuno con la propria esperienza di vita può cercare di evitare che in futuro
qualcun altro possa cadere nella stessa trappola e nello stesso modo in cui è
caduto lui.
Gli
incontri con gli studenti e quindi con una parte importante della società sono
senza dubbio un importante progetto, che dalla redazione di Ristretti Orizzonti
e quindi dal carcere Due Palazzi si dovrebbe proporre a tanti altri istituti
penitenziari, in quanto le esperienze di confronto hanno permesso di sviluppare
una profonda sensibilità verso il modo di scontare la pena e di far riflettere
anche sul fatto che forse la “certezza della pena” non consiste nella
lunghezza temporale della stessa, ma nella presa di coscienza della gravità che
c’è nella commissione dei reati o in una vita distrutta dalla droga.
Quella
di noi detenuti è una coscienza risvegliata proprio grazie all’opportunità
che ci dà il progetto di confronto con le scuole di metterci in gioco,
rispondendo a domande che altrimenti nessuno avrebbe fatto. Gli incontri con gli
studenti sono, quindi, un motivo di crescita anche per alcuni reclusi che
sicuramente hanno sempre avuto la volontà di cambiare, ma che prima non ne
hanno mai avuto l’opportunità, come oggi invece fortunatamente accade, grazie
a questo progetto.
Il
carcere si fa scuola di vita
Molti
detenuti non conoscono più la vita vera che c’è di là dal muro di cinta. I
ragazzi con i loro sguardi, i loro sorrisi e le loro spontanee e sincere domande
ce lo ricordano, sia alle nostre menti che ai nostri cuori
di
Carmelo Musumeci
15
novembre 2013 Prima Giornata Nazionale dedicata a un progetto che vuole far
incontrare il Carcere e la Scuola. Due mondi che si devono conoscere e confrontare,
per riflettere insieme sul sottile confine fra trasgressione e illegalità, sui
comportamenti a rischio, sulla violenza che si nasconde dentro di ognuno di
noi. (Fonte: Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia)
Io
credo che il carcere, così com’è, rappresenta uno strumento di straordinaria
ingiustizia, un luogo di esclusione e di annullamento della persona umana
perché troppo spesso dietro la retorica della rieducazione, si nasconde in
realtà una vita non degna di essere vissuta.
Io
credo che quando impari a vivere sott’acqua come i pesci, per tanti anni senza
amore, affetto e senza relazioni sociali, poi è molto difficile vivere di nuovo
sulla terraferma.
Io
credo che per un detenuto dopo tanti anni di carcere, con pochissimi contatti
con la società il ritorno alla vita sia quasi impossibile e il ritorno in
galera quasi certo.
Io
credo che molti detenuti con pochi contatti all’esterno rischino di abituarsi
a vivere in carcere come se ci fossero vissuti da sempre e alcuni persino si
dimentichino che dall’altra parte del muro ci sono un sole, un vento e un
cielo diversi.
Ristretti
Orizzonti, con la direzione di Ornella Favero, che ha promosso il confronto fra
le Scuole e il Carcere qui nella Casa di reclusione di Padova, sta realizzando
un percorso educativo rivoluzionario con un progetto originale, prezioso e
unico.
I
detenuti escono dal loro isolamento sociale per incontrare in carcere gli
studenti delle scuole superiori.
E
raccontano le loro storie di vita che li hanno portati in carcere e poi
rispondono alle domande dei ragazzi.
Il
carcere non dovrebbe avere solo la funzione di punire ma dovrebbe avere anche la
capacità di “guarire”, o per lo meno ridurre i danni inevitabili dello
stare rinchiusi “fuori dal mondo”.
Il
progetto “Scuola Carcere” ci prova e credo che per molti detenuti ci stia
riuscendo, perché la cosa che è più importante non è quello che sai ma
quello che non conosci.
E
purtroppo molti detenuti non conoscono più la vita vera che c’è di là dal
muro di cinta.
I
ragazzi con i loro sguardi, i loro sorrisi e le loro spontanee e sincere domande
ce lo ricordano, sia alle nostre menti che ai nostri cuori.
E questa è la più amara e dolce medicina per guarire dal male che c’è in ognuno di noi.