Riflessioni
di detenuti presenti al convegno “I totalmente buoni e gli assolutamente
cattivi”
Quello
che il confronto fra le scuole e il carcere ci insegna
Ho
vissuto una vita in funzione di me stesso
L’altro
non era minimamente contemplato, al centro c’ero solo io e l’arroganza di
poter fare ciò che volevo
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Sorriso
strafottente, pronto a elargire saluti e battute, ero furbo e loro non mi
avevano piegato.
Ecco
cosa pensavo all’uscita dal tribunale, mentre due agenti mi scortavano
ammanettato verso il
Avevo
appena avuto una condanna a dodici anni di carcere per alcune rapine a mano
armata, ma
Il
concetto di “corazza” me lo porto dietro da molti anni, è un meccanismo che
conosco perfettamente, riesce a spersonalizzare il mio dolore, a convincermi che
le cose seguono il proprio corso e che mi scivolano inevitabilmente addosso,
tanto non ci puoi fare niente e allora è meglio non starci troppo male.
Ho
imparato da giovane a usarlo, quando certi dolori e sensi di colpa sembravano
non volermi abbandonare, e allora ti costruisci una corazza emotiva su misura,
di quelle che credi impenetrabili al dolore e con questa convinzione tiri
avanti, non ti confronti e non ti metti nemmeno in discussione.
La
superficialità diventa la linea guida, ridi e scherza ma lascia sempre fuori le
emozioni, tieni per
te
i tuoi problemi e le sofferenze, tanto non interessano a nessuno e se le
manifesti, dimostri solamente la tua debolezza.
A
distanza di anni ora penso: che gran testa di c. egoista che sono stato!
Ho
vissuto una vita in funzione di me stesso, l’altro non era minimamente
contemplato, al centro c’ero solo io e l’arroganza di poter fare ciò che
volevo. Giustificavo
Colossali
balle, credo davvero che noi siamo il prodotto delle nostre scelte e queste
ricadono inevitabilmente sulle persone che ci stanno intorno.
La
corazza che mi consentiva di non soffrire più di tanto, aumentava le sofferenze
di chi mi amava, persone alle quali non davo gli strumenti per capire cosa
c’era in realtà dentro di me.
Oggi,
con l’aiuto di Ornella, della sua disarmante pazienza, del confronto con gli
altri volontari e con i ragazzi delle scuole, inizio, con un po’ di paura, a
smontare un pezzetto alla volta questa corazza.
Ci
sono un sacco di cose che non mi piacciono e mi spaventano, mi sento più
debole, meno sicuro, ma anche più vero. Forse scoprirò altro che non mi piacerà,
ma almeno saprò che è parte di me e non dell’armatura dietro la quale mi ero
nascosto.
A
volte non riesco a capire se certe mie posizioni sono veramente mie o sono
soltanto il frutto di quella corazza, radicata così profondamente in me da
essere diventata ormai parte della mia vita.
Non
so se sarò mai capace di esternare le mie debolezze e nemmeno se sarò in grado
di chiedere aiuto, ma le parole che ho scritto mi hanno fatto capire che sono
riuscito a incrinare la mia corazza e che pensare di vivere senza soffrire e
senza lasciarsi attraversare dalla vita in tutti i suoi lati, significherebbe
ridurne l’intensità e la complessità, rinunciando alla profondità dei
sentimenti, ed io non voglio più che questo accada.
Gli
studenti si ricorderanno per il resto della loro vita che finire qui è davvero
facile
di
Pierin Kola, Ristretti
Orizzonti
Mentre
sentivo Dritan intervenire al convegno e ho visto come si è emozionato, mi sono
ricordato di quella volta che anch’io ho cercato di parlare di fronte ad una
classe di studenti.
All’inizio,
quando ho cominciato a frequentare la redazione di Ristretti e si parlava del
progetto scuola/carcere, ho pensato subito dentro di me: ma cosa vengono a fare
gli studenti qui in carcere?
Tanto
noi non possiamo insegnare niente, e anche se raccontiamo le nostre storie
niente può cambiare.
Però
sono ormai più di due anni che partecipo a questo progetto e oggi ho cambiata
idea. Anche se ci sono pochissimo agli incontri, perché alla mattina sono al
lavoro, e le classi spesso vengono proprio alla mattina, quelle volte che mi è
capitato di incontrare gli studenti ho capito che non è per niente facile
rispondere alle loro domande.
Una
volta ho deciso di prendere coraggio e provare a dire qualcosa anch’io, ma mi
sono trovato subito in difficoltà. Non mi venivano le parole e mi sono
bloccato. La voce non usciva fuori. Io volevo rispondere come fanno i miei
compagni, volevo dire qualcosa di utile, ma non ci sono riuscito.
E
adesso, quando guardo quelle centinaia di ragazzi venire qui dentro per
conoscere le nostre storie e ragionare con noi, ho capito che questo progetto
serve molto a loro, e serve anche a noi detenuti.
Loro
si svegliano presto e fanno chilometri per venire qui in carcere,e conoscerci.
Forse all’inizio sono solo curiosi, ma poi si vede che vengono coinvolti e
presi dalle nostre storie, il che credo sia un bene perché si ricorderanno per
il resto della vita che finire qui è davvero facile, e che bisogna stare sempre
attenti e non dare niente per scontato.
Sono
tunisino, la mia pelle è scura e ho commesso numerosi reati
E
quindi, secondo la logica dei media, io dovrei essere una persona assolutamente
cattiva?
di
Tlili Mohamed
Da
due anni faccio parte della redazione di Ristretti Orizzonti, e quest’anno
anch’io ho contribuito a organizzare il convegno all’interno del carcere sui
“totalmente buoni” e “gli assolutamente cattivi”. Si è parlato
naturalmente di come i mass-media e l’opinione pubblica siano portati a
identificare coloro che commettono reati come persone “assolutamente
cattive”. Io purtroppo rispecchio in pieno questo stereotipo, sono tunisino,
la mia pelle è scura e ho commesso numerosi reati. E quindi, secondo la logica
dei media, io dovrei essere una persona assolutamente cattiva?
Sono
arrivato in Italia davvero con una valigia carica di sogni, non avevo
nient’altro per riempirla, volevo lavorare e aiutare la mia famiglia, ma non
sempre le cose vanno come vogliamo. Presto mi sono reso contoche la via più
facile era la droga, la vedevo come l’unica soluzione per arricchirmi
Quando
al convegno ho sentito parlare lo scrittore Gianni Biondillo, mi sono fermato a
riflettere sulle sue parole. Anche lui è cresciuto in uno dei quartieri più
difficili di Milano, il suo destino naturale sarebbe stato quello di diventare
un delinquente, o perlomeno era questo che la gente poteva aspettarsi da uno
come lui. Ma non è stato così, lui ha avuto la forza di puntare su di sé, di
far suoi esempi positivi che anche in un quartiere così esistono.
Ha
scelto la strada più difficile, ma il suo impegno l’ha ripagato.
Ora
forse esiste una possibilità anche per me, e una volta fuori di qui, inizierò
a cercarla. Le mie diversità e il mio stato d’immigrato non fanno di me una
persona assolutamente cattiva, e io non userò più il pretesto della
discriminazione a discolpa delle mie azioni, mi creerò una possibilità e la
seguirò sino in fondo, chissà se quelli di voi che si considerano
assolutamente buoni mi aiuteranno!
Confrontarmi
con delle persone che non conosco mi ha molto aiutato a capire
di
Elvin Pupi, Ristretti
Orizzonti
Io
non sono intervenuto al convegno perché mi vergogno, ma se avessi potuto farlo,
avrei raccontato come ho vissuto in quattro anni in cui ho frequentato la
redazione. Fin da subito ho partecipato agli incontri con le scuole. I primi
tempi partecipavo agli incontri osservando i miei compagni mentre raccontavano
le loro storie e rispondevano alle varie domande dei ragazzi, tutto ciò mi è
parso fin da subito molto interessante, anche se mai avrei pensato che un giorno
anch’io sarei stato in grado di raccontare la mia storia e rispondere alle
domande dei ragazzi mettendomi in gioco fino in fondo.
Dopo
il primo anno passato ad osservare gli incontri, ho deciso di provare a
raccontare la mia storia
All’inizio
avevo il problema della lingua, facevo fatica ad esprimermi in italiano, visto
che ero sempre a contatto con i miei paesani, quindi avevo perso tutta la
dimestichezza che avevo con l’italiano. Superato poi lo scoglio della lingua
sono partito con la mia storia e, nonostante la tensione che avevo dentro, sono
riuscito a sbloccarmi raccontando e rispondendo alle loro domande, credevo fosse
molto più difficile metterci la faccia a partire dalla narrazione di pezzi
della propria vita, ma devo dire che tutto ciò oggi mi viene spontaneo e mi ha
aiutato a riconoscere i miei sbagli e a cambiare la mentalità che avevo prima
di essere arrestato.
Il
fatto di dialogare con ragazzi giovani ma anche con persone adulte che spesso
vengono in redazione, secondo il mio parere è utile perché ti dà modo di
riflettere sul fatto che se sono finito qui dentro un motivo c’è, e
confrontarmi con delle persone che non conosco mi ha molto aiutato a capire ciò
che probabilmente da solo non avrei capito. Resto anche molto colpito quando dei
ragazzi giovani mi pongono delle domande a cui è doloroso rispondere, e
onestamente qualche volta mi trovo in difficoltà. Ma poi ragiono e ricordo a me
stesso che il confronto mi può aiutare a crescere.
Credo
che questo progetto con le scuole dovrebbe essere esteso anche ad altri carceri,
perché è soprattutto utile per noi detenuti. Io provengo da una Casa
Circondariale dove queste attività non
c’erano,
e mi reputo fortunato di essere arrivato in questo carcere e aver potuto far
parte della redazione.
Mai
avrei pensato che tanti giovani fossero sensibili a una realtà così distante
dalla loro vita
Di
Alain Canzian
Mai
avrei pensato che tanti e tanti giovani fossero sensibili a una realtà che è
tanto distante
Sarà
curioso, ma è reale. In tanti anni della mia vita, solo ora in carcere ho
assistito ad un evento,
Mi
riferisco al convegno del 20 maggio, la giornata nazionale di studi presso la
Casa di reclusione
Sono
rimasto incantato da alcuni interventi, ma quello che più mi ha colpito nel
profondo è stato il
Un
altro aspetto di questo convegno che mi è sembrato importante è stata la
presenza di un grandissimo numero di studenti provenienti da tanti istituti. Ciò
che mi ha colpito di loro è stato il
In
ultimo, e per concludere con una nota di gioia che ha fatto funzionare anche la
fantasia, è stato
Io
considero il progetto scuola una specie di riscatto, un’autotassazione
di
Enos Malin
Il
Convegno “I totalmente buoni e gli assolutamente cattivi” lo abbiamo
organizzato come redazione per ragionare su quanto sia importante il progetto
con le scuole per i ragazzi. I relatori sono stati tanti e alcuni miei compagni
hanno spiegato bene il senso del progetto, ma mentre loro parlavano io mi
guardavo intorno e, circondato da centinaia di persone attente a non perdere una
parola, ho fatto una riflessione su cos’è per me questo progetto.
Nella
stragrande maggioranza gli studenti che partecipano al progetto scuola entrano
in carcere attratti dalla curiosità. Sono spinti maggiormente dall’interesse
di vedere da vicino un mondo conosciuto solo attraverso tanti film che mostrano
una realtà romanzata ed enfatizzato anche dai racconti di cronaca nera. Sono
consapevoli che molti mezzi di informazione distorcono spesso la realtà, quindi
è comprensibile questa loro volontà di constatare fin dove si spinge la
fantasia della comunicazione. Per loro c’è poi anche una forte emozione nel
vedere da vicino coloro che i media hanno definito cattivi, diversi, dei
“mostri”.
Io
invece considero il progetto scuola una specie di riscatto, un’autotassazione
di affrancamento, e
Tale
immobilità è dovuta al fatto che non mi trovo in carcere per unfortuito
sbaglio o per una tragica beffa del destino, bensì perché ho voluto scegliere
questa vita, ho sbagliato sapendo di sbagliare, e mi chiedo: “Cosa dico a
questi ragazzi che ho davanti? Come faccio a spiegare loro quali sono i veri
valori della vita, della famiglia, della società? e quanto erano evanescenti
quelli che mi ‘hanno condotto qui?”.
Vorrei
tanto trasmettere a loro le mie esperienze, spiegargli e fargli capire come sia
facile sbagliare
La
mia esistenza è stata un fallimento, quindi sono un cattivo maestro di vita.
Non posso salire in
Invece
sarebbe necessario saper raccontare con obiettività solo il percorso che mi ha
condotto in
Sono
queste difficoltà che mi paralizzano. Ogni volta guardo gli occhi sgranati dei
ragazzi che ho di fronte, mi scrutano e mi imbarazzano Desidererei spiegare loro
tante cose. Vorrei rassicurarli che
I
rischi sono a portata di mano e non sembrano pericolosi; anzi spesso vengono
minimizzati come
Ancora
non sono riuscito a narrare ai ragazzi la parte più brutta della mia vita, ma
toglierò il freno che mi blocca e racconterò il mio passato, affinché i miei
sbagli possano far riflettere ed illuminare almeno un po’ il cammino a coloro
che il percorso della vita ce l’hanno tutto davanti.
Vedere
i ragazzi delle scuole ha acceso pure in me il desiderio di un futuro migliore
di
Cesk Zefi
Quando
uno ha perso tutto comincia a rendersi conto delle opportunità sprecate, e a
quel punto il prezzo da pagare per riaverne indietro qualcuna si rivela molto
alto.
Ero
iscritto all’università, però a un certo punto ho cominciato a fare di tutto
fuorché studiare. Lavoravo tutto il giorno, e poi uscivo alla sera. Insomma lo
studio era diventato
Il
lavoro era al primo posto anche perché era indispensabile per me, ma lo studio
era l’ultimo nella lista perché prima ancora avevo bisogno di uscire con gli
amici, fare attività sportive, leggere qualsiasi altro libro che non fosse un
testo didattico, o passare il tempo giocando o chattando in internet. E solo
dopo, quando ormai ero stanco di fare tutto questo, forse prendevo in mano i
miei libri e mi mettevo a studiare.
Questo
mio modo di “ordinare” la giornata ha fatto sì che mi perdessi in tante
cose inutili e anche pericolose per la mia vita e quella di altra gente. Mi sono
infatti infilato in un giro di spaccio, e questo in poco tempo mi ha portato in
carcere.
Il
progetto “Scuola-Carcere” che facciamo nella redazione di Ristretti
Orizzonti mi ha messo di fronte a decine di ragazzi da diverse scuole che
vogliono capire come e perché siamo finiti qui. E rispondere mi ha fatto
riflettere sul mio passato e sulle mie scelte sbagliate. Dalle loro domande
appare chiara la loro voglia di capire, anche per non sbagliare a loro volta e
per avere una vita migliore, diversa dalla nostra. Vedere questo ha acceso pure
in me il desiderio di un futuro migliore, di non rassegnarmi ma di cominciare ad
avere progetti precisi per la vita. Così ho cominciato proprio in carcere a
fare quello che prima per me aveva poca importanza, quello che era diventato un
“passatempo”, vale a dire, studiare. Dopo aver visto gli occhi di quegli
studenti, ho capito che lo studio è alla base di ogni progetto, l’unica
strada per un futuro migliore. Ma ogni giorno mi rendo conto che il prezzo da
pagare per ricominciare una vita nuova è molto alto. Per studiare in carcere e
dopo tanto tempo di interruzione ci vogliono tanta volontà e sacrificio. Stare
in una cella piccola e sovraffollata, con altre persone che parlano e guardano
la televisione, e senza un posto decente per poter scrivere o appoggiare i
libri, non costituisce la condizione ideale per studiare.
In
più trovare i libri sarebbe impossibile se non ci fossero i volontari che ci
aiutano. Il materiale didattico che qualsiasi cittadino libero può scaricare
tranquillamente da internet qui è molto difficile da reperire. E infine i tempi
di attesa per sostenere gli esami sono spesso lunghissimi. Nonostante tutto,
credo sia un sacrificio che vale la pena fare in qualsiasi tempo e condizione,
perché non bisogna scoraggiarsi mai ma crederci, nel fatto che la vita si può
migliorare in qualsiasi fase e nonostante qualsiasi difficoltà.
Ho
avuto tanti esempi positivi, ma ho sempre preferito ignorarli
di A. B.
I
totalmente buoni e gli assolutamente cattivi: questo era il titolo del convegno,
che si è tenuto a
Sono
stati affrontati numerosi temi con interventi di relatori competenti, ma a dire
il vero, come sempre, non sono stato attento a tutto ciò che è stato detto.
Ornella,
il direttore della nostra rivista “Ristretti Orizzonti”, nonostante il
trascorrere degli anni non si stanca di ripetermi che la mia soglia
d’attenzione è paragonabile a quella di un ragazzino di quindici anni. So che
la sua è una giusta critica, ma io la trasformo in un complimento, sono
abilissimo a farmi scivolare tutto addosso, è il mio sistema per cercare di
ingannare le avversità e le sofferenze che inevitabilmente chi è detenuto vive
ogni giorno.
Comunque
una mia personale riflessione l’ho fatta e andando a ritroso nel mio vissuto,
ho cercato di fare un bilancio tra le azioni buone e quelle cattive che hanno
contraddistinto la mia vita.
Schiacciante
prevalenza delle cattive!
In
realtà però, se mi conosceste personalmente, sono sicuro che non mi
giudichereste una persona
cattiva.
Esistono
azioni cattive, commesse per motivi diversi, ma, pur girando da anni nelle
patrie galere, di persone che si potrebbero definire assolutamente cattive non
ne ho mai incontrate, ad ogni modo giudicare etichettando qualcuno in un senso o
nell’altro ritengo sia assolutamente arbitrario e limitato. Il fatto è che
troppo facilmente saliamo in cattedra ergendoci a giudici, dimenticando con
altrettanta facilità che la possibilità di sbagliare ci accomuna tutti quanti.
Io
personalmente non cerco attenuanti ai miei comportamenti, badate bene, se
potessi lo farei, ma se per anni sistematicamente commetti reati, perdi, per così
dire, credibilità.
Ho
compiuto con premeditazione cattive azioni, ma non mi sento assolutamente
cattivo, non impersono il male assoluto, anzi ho idee e progetti per un futuro
migliore e come me li hanno anche moltissime delle persone recluse.
Se
ad una persona non si fa altro che dire che per lui non c’è speranza, che la
sua indole è totalmente malvagia, si corre il rischio di renderla veramente
tale. L’assenza di speranza e quindi di progettualità, unita al sistematico
rifiuto della società ad accettarti, non crea certo sicurezza ma segregazione e
terrore.
Uno
degli interventi dei relatori che mi ha colpito e interessato è stato quello
dello scrittore Gianni
Anch’io
sono cresciuto in un quartiere difficile, ma ho avuto ugualmente tanti esempi
positivi che avrei potuto seguire, ho semplicemente preferito ignorarli.
Sono
le scelte che facciamo a condizionare il nostro futuro, molte delle mie hanno
tracciato il cammino verso il carcere, chissà che quelle future mi conducano
altrove.
Persone
che hanno bisogno di recuperare l’umanità perduta
È
questa la condizione di chi ha commesso reati anche gravissimi, ma non è in
ogni caso “un mostro”
di
Bruno Turci
Durante
gli incontri con le,scuole, dalle domande degli studenti e degli insegnanti,
emergono sempre gli argomenti più spinosi. Ci chiedono spesso, per esempio:
secondo voi non sono pochi 15 anni per un omicida? Secondo voi la pena giusta
quale sarebbe? Quello su cui abbiamo riflettuto in questo percorso tra scuola e
carcere è che per noi è davvero difficile rispondere ad una domanda così, noi
non siamo in grado di dare una risposta accettabile: quanti anni di galera vale
una vita tolta? Allora bisogna cercare di ragionare sul senso di una pena che
non corrisponda solo alla quantità di anni che può avere il gradimento della
piazza.
Agnese
Moro, durante un incontro qui in redazione, ci ha detto che a uno studente che
le chiedesse
Nei
miei lunghi anni di carcere ho imparato che delle persone è necessario
raccogliere e cercare di capire anche i particolari in apparenza più
insignificanti per non lasciare indietro nulla di ciò che
appartiene
alla sfera dell’uomo che “si ferma a pensare”. È questa la finalità del
progetto che vuole
Non
c’è dubbio che quando gli studenti incontrano noi detenuti in carcere o a
scuola riescono ad
Questa
attività è davvero coinvolgente, per noi e anche per loro, è un esercizio che
tonifica l’animo dell’uomo e predispone le persone che scontano la loro pena
a riflessioni profonde e importanti, che poi andranno a incidere, nella maggior
parte dei casi, sulle scelte future.
Il
carcere vissuto con queste dinamiche prepara i percorsi che accompagnano più
agevolmente le persone condannate ad un reinserimento nella società e nella
famiglia. Invece al contrario nelle
Paradossalmente,
quindi, le persone detenute riescono a riconoscere la responsabilità verso le
vittime dei loro gesti nelle carceri dove il regime di vita è più umano e più
aperto, altrove dove la detenzione li schiaccia, a loro volta si sentono vittime
essi stessi e non saranno mai in grado di elaborare con la necessaria sensibilità
le ragioni che li hanno condotti alla devianza. Questa è la vera tragedia, sono
le conseguenze che produce la cecità di uno Stato, che non investe energie
nella giustizia ripartiva e in quelle misure alternative, che accompagnano il
condannato verso il suo rientro nella società. A questo scopo torniamo a
ricordare che i dati statistici danno per certo il reinserimento di circa l’80
% di quei condannati che in carcere partecipano ad attività risocializzanti e
vengono accompagnati con un lavoro nelle misure alternative. In caso contrario,
là dove la gente si fa “tutta la galera” senza nessun percorso di
reinserimento, si verifica che è lo stesso Stato che