In
carcere, ma “ricco almeno di cultura”
Lo
studio trasforma il tempo perso della galera in tempo utile
Anche
in carcere si può realizzare un sogno come quello di finire gli studi,
ma bisogna avere pazienza e la volontà di non mollare davanti a molte difficoltà
e alle barriere provocate dal sovraffollamento
Di Milan Grgic
Sto
scontando una pena che supera i venti anni di condanna. All’inizio della
carcerazione non avevo idee chiare su cosa fare: avevo pensato di cercare di
ottenere il trasferimento al mio Paese, per stare almeno più vicino ai figli,
oppure di tentare di evadere, qualche volta anche di suicidarmi, per chiudere
con la sofferenza. Insomma tutti quei pensieri che ti vengono in quelle
situazioni, e tutte domande che mi sono fatto cercando di capire quale fosse la
soluzione, ma niente mi pareva sensato a quei tempi.
Un
giorno è passato davanti alla mia cella il bibliotecario, chiedendomi se volevo
leggere qualche libro o se volevo iscrivermi a qualche corso. Per me avere una
cultura significava saper commerciare e allora mi è venuto in mente che da
bambino volevo diventare commerciante, perché ero convinto che ai commercianti
non manca mai niente. Provengo da una delle zone più povere della Bosnia, e per
me i commercianti erano gente benestante e che viveva meglio di qualunque altra
categoria di lavoratori.
Allora
mi sono iscritto al corso di alfabetizzazione. Finito quello ho fatto la scuola
alberghiera, poi mi sono iscritto all’istituto tecnico di ragioneria e sono
andato avanti per tutti e cinque gli anni fino all’esame di maturità. Subito
dopo il diploma mi sono iscritto all’università, ad un corso di Economia
internazionale, e oggi dopo undici anni non solo di carcere ma di studio, posso
dire che non ho più nulla da invidiare ai commercianti che ammiravo da piccolo,
perché mi sento ricco di cultura.
Ora
sono uno studente universitario a tutti gli effetti, e questo mi ha permesso di
far parte di quei detenuti che hanno la fortuna di stare nella sezione degli
studenti universitari. Si tratta sempre di un reparto del carcere, ma che ha
davvero poco a che fare con i reparti comuni, dove purtroppo le persone sono
accatastate tre per cella, e spesso diventa difficile perfino scrivere in
tranquillità una lettera a casa. Io invece, da quando sono stato ammesso alla
sezione del Polo universitario, ho scoperto il piacere di studiare in un luogo
più adatto allo studio e quindi più umano.
Sono
certo che, oltre ai tanti anni di carcere, è stato soprattutto il mio impegno
costante a portarmi dove sto. Ma è stato anche grazie all’aiuto dei
volontari, che mi hanno sempre incoraggiato a studiare e mi hanno dato
l’appoggio e la fiducia necessaria per essere messo in una sezione così
particolare. Ora sono convinto che anche in carcere si può realizzare un sogno
come quello di finire gli studi, basta avere la pazienza e la volontà
di non mollare davanti a molte difficoltà e alle barriere provocate dal
sovraffollamento.
Solo che penso agli altri miei compagni detenuti che continuano a studiare nei piani comuni, in condizioni proibitive, e allora ritengo che ci vorrebbero più spazi come questo per dare l’opportunità di dedicarsi allo studio a tutti quelli che mostrano interesse a farlo, e anche per rispettare il diritto di scontare la condanna come prevede l’art 27 della Costituzione. Mi rendo conto che in questi tempi duri per il sistema giustizia non è facile portare avanti progetti simili, ma penso che comunque quello di creare più spazi come questo sarebbe il modo migliore per fare prevenzione, perché se si trasforma il tempo perso della galera in tempo utile, si ha più probabilità che dal carcere escano persone migliori.