Uscire
dal carcere “allenati alla libertà”
I
permessi, le misure alternative, i percorsi di reinserimento sono l’unica
strada perché il passaggio dal carcere alla libertà avvenga in modo quasi
indolore. Altro che buttare via la chiave e lasciare
le persone in carcere fino all’ultimo giorno!
Sono
mesi che di carceri si parla solo per descrivere celle strapiene, gente
parcheggiata senza far niente, suicidi. 22, 23, 26, 27 anni è l’età dei
quattro giovani detenuti che si sono suicidati in questi ultimi giorni. Ma oggi
vogliamo raccontare esperienze positive, i primi assaggi di libertà di chi esce
dal carcere, a piccoli passi, con i permessi premio, il lavoro all’esterno, la
semilibertà, per ritrovarsi alla fine della pena con una vita già in parte
“ricostruita”. Quello che invece è negativo è che esperienze come queste
rischiano di diventare sempre più rare, perché quasi nessuno vuol capire che i
percorsi graduali di reinserimento aiutano a rendere la società più sicura.
I
miei primi mezzi passi nel mondo libero
di
Maurizio Bertani
I
miei primi giorni da detenuto in “semidetenzione”, i miei primi mezzi passi
libero, in realtà li muovo in “articolo
21”, l’articolo dell’Ordinamento penitenziario che mi permette, dopo aver
scontato gran parte della pena in carcere, di uscire, con l’autorizzazione del
direttore e del magistrato di sorveglianza, ogni mattina alle sette e quaranta
dal carcere, per recarmi al lavoro presso l’associazione Granello di Senape,
che gestisce la redazione esterna ed interna al carcere di Ristretti Orizzonti.
Attualmente
i miei spostamenti dal carcere alla sede dove svolgo la mia attività avvengono
con i mezzi pubblici, oppure con una bicicletta, niente di estremamente gravoso,
se non per il fatto che sono disabituato alle cose “normali” della vita, non
mi oriento molto tra orari e tragitti degli autobus, e ho sempre la paura,
muovendomi in bicicletta, di arrivare tardi, con il risultato di essere sempre
in anticipo anche di mezzora, bruciandomi cosi un breve spazio di libertà
importante. Nulla di male comunque, so che questo deficit di conoscenza è
esclusivamente dovuto alla mia lunga detenzione.
Ma
quello che trovo importante dopo anni di galera sono le sensazioni che una nuova
situazione, pur se limitata, come questa specie di detenzione part time, porta,
i nuovi slanci nella mia vita, slanci che sono estremamente positivi. Poter
prendere un autobus, o girare in bicicletta, che sono cose normalissime, le
vivo, almeno in questi primi giorni, come una cosa superlativa, non parliamo poi
del fatto di poter prendere un caffè al bar, o altre semplici cose che
normalmente una persona fa.
E
ancora il parlare con le persone con cui lavoro, o con altre persone, di cose,
che non sono i soliti discorsi da galera, diventa molto gratificante, ti
permette di entrare piano piano in
un contesto sociale, che scopri giorno per giorno, e questo è un fatto
estremamente importante, perché ritengo che uno dei problemi per chi esce da un
carcere, specialmente dopo una lunga detenzione, sia proprio quello di
costruirsi delle relazioni sociali. A volte c’è la paura di essere, o meglio
di non essere accettati come persone e quindi si tende sempre ad aggregarsi a
persone che già si conoscono e da cui si è riconosciuti, e fatalmente ti
ritrovi a dialogare con altri detenuti o ex detenuti con i tuoi stessi problemi
esistenziali, e questo ti impedisce di “allenarti” davvero per rientrare
gradualmente nella società.
In
realtà, attraverso queste misure alternative al carcere, si può realmente
mettere in condizioni ottimali un detenuto per un graduale rientro e reintegro
nella società. Questo è tutto ciò che riesco a dire dei miei primi giorni da
“quasi libero”, potrebbe sembrare poco a chi non ha mai avuto interruzioni
nella continuità di una vita normale, ma posso assicurare che, al di là delle
piccole difficoltà destinate ad essere superate nel tempo, ogni sensazione
viene vissuta come una nuova esperienza che vale la pena oggi di vivere e
assaporare fino in fondo.
Uscire
dal carcere con una vita “ricostruita”
di
Andrea Andriotto
LIBERO!
Sono passati quindici anni dall’ultima volta che potevo legare questa parola
direttamente alla mia persona. Sono passati quindici anni da quando potevo
scegliere di uscire di casa se e quando ne avevo voglia. Bene, adesso posso!
Ho
aspettato tanto questo momento, per quasi dieci anni ho vissuto solo in carcere,
senza grandi opportunità di scelta; in cella, con la possibilità di uscire da
quel buco di nove metri quadrati solo per andare ai passeggi, o nell’aula
della redazione di Ristretti. Uscivo dalla cella alle 8.30 del mattino, ci
rientravo verso le 11 per poi riuscire alle 13.30 e ritornarci definitivamente
alle 15.30… questa era la massima libertà di cui ho goduto per così tanti
anni.
Poi,
dopo quasi dieci anni ininterrotti di galera, sono arrivati i permessi premio.
Il primo di poche ore da trascorrere agli arresti domiciliari a casa dei miei
genitori. Era una conquista. Era il punto di svolta, era il primo contatto con
l’esterno.
Dopo
quello ce ne furono altri, di pochi giorni, con al massimo la possibilità di
spostarmi entro un territorio ben definito, come il comune di residenza della
mia famiglia, con l’obbligo di essere a casa ad una certa ora la sera e di
rimanerci fino al mattino.
Sebbene
siano passati diversi anni, ricordo ancora quelle emozioni, tante, confuse,
contraddittorie… mi sentivo bene con me stesso e riuscivo a godere di tutte
quelle riscoperte che facevo pian piano, mi sembrava di essere un bambino alla
scoperta del mondo e quando camminavo per strada, mi piaceva soffermarmi a
sentire i profumi e ad ascoltare tutti quei rumori che non udivo “in
diretta” da anni: macchine, clacson, televisori accesi, pentole, piatti, sedie
spostate, bambini richiamati all’ordine. Assaporavo ogni passo, ogni suono e
ogni profumo.
Dalla
mezzanotte del 24 luglio di quest’anno sono libero. Nel corso degli anni
quando mi sforzavo di pensare a questo momento lo immaginavo come il momento più
bello della mia vita, come il punto che avrebbe definito la fine di un brutto
periodo e l’inizio della mia nuova vita. Immaginavo che da lì in poi tutto
sarebbe cambiato, stravolto, da quel momento lì sarei stato libero di fare
qualsiasi cosa desiderassi, non avrei più avuto limiti di alcun tipo… La
immaginavo come una sensazione talmente grande che gestirla non sarebbe stato
facile, a volte mi chiedevo se sarei stato pronto ad affrontare la libertà.
Negli anni trascorsi in carcere avevo spesso sentito parlare di ubriacatura da
libertà, di persone che una volta fuori, libere, avevano provato le sensazioni
più strane e inimmaginabili, tanto che qualcuno raccontava di averle gestite a
fatica.
In
realtà io, e purtroppo oggi questo succede a pochi, sono stato abbastanza
“fortunato” perché il mio rientro in società, la mia scalata alla libertà
è stata graduale e l’emancipazione è arrivata dopo aver avuto la possibilità
di usufruire prima dei permessi premio, di un periodo di semilibertà e poi gli
ultimi mesi in affidamento ai servizi sociali. Per cui, nel momento in cui la
mia pena è realmente finita, io, il giorno dopo, non ho dovuto riorganizzare la
mia intera esistenza, non avevo il problema di riallacciare i rapporti umani, di
trovarmi un lavoro, di trovarmi una casa, non ero solo e spaventato come tanti
ex detenuti, perché i permessi prima, la semilibertà poi, e il periodo di
affidamento finale, mi avevano permesso di riallacciare gradualmente i rapporti
con la mia famiglia e con le altre persone, insomma, di mettere le basi per
ricostruirmi una vita quanto più possibile vicina alla normalità. Per cui, nel
momento in cui la mia condanna è terminata, la mia vita quotidiana non è stata
stravolta, perché già mentre ero in affidamento avevo la possibilità di
spostarmi durante il giorno, all’interno del
comune di residenza, avevo già iniziato a lavorare e, anche se la sera ero
obbligato ad essere a casa alle nove, non mi erano mai pesate più di tanto
quelle limitazioni, primo perché sapevo che la mia pena non era terminata e mi
rendevo conto che l’alternativa sarebbe stata il rientro in carcere, poi perché
non ero più abituato ai ritmi della vita esterna e arrivavo a sera talmente
stanco che, anche volendo, non avrei nemmeno avuto la forza di stare in giro
tanto dopo le nove di sera.
Ecco
perché, quando mi chiedono di descrivere com’è stato il primo giorno di
libertà, io in realtà non riesco a rispondere, perché il mio primo giorno da
libero non è stato molto diverso dagli ultimi giorni di pena, sono uscito di
casa la mattina per andare a lavorare, e la sera, dopo una doccia e la cena,
stanco dalla giornata di lavoro, sono rimasto a casa a rassettare e a fare tutte
quelle cose che durante il giorno per motivi di tempo non riuscivo a fare.
La sensazione di essere libero la percepisco ancora un po’ alla volta, quando penso, per esempio, che posso uscire per una cena senza dover stare attento all’ora, o quando accompagno qualcuno che deve entrare in carcere e so che quel luogo ormai, almeno fisicamente, non fa più parte della mia vita.