“Fermiamoci a pensare, invece di invocare la vendetta”

 

La tragedia di una donna investita e uccisa da due ragazzi sinti, in fuga per essere stati sorpresi a rubare del kerosene. La rabbia del quartiere, la necessità di dare dei fatti una giusta valutazione

Gli omicidi per strada, dovuti a scontri per guida imprudente, per l’uso del cellulare, per un bicchiere di vino di troppo, per mille altre ragioni, hanno comunque sempre qualcosa di insensato e suscitano tanta rabbia e voglia di vendetta proprio perché è difficile farsene una ragione. Ma la storia di Marina, la donna investita e uccisa a Padova da due ragazzi sinti in fuga per essere stati sorpresi a rubare del kerosene, di insensatezze ne ha ancora di più. Abbiamo provato a ragionarci su, a cercare di capire perché è successo tutto questo, e se davvero non si può far niente per fermare un clima di rabbia che, per quanto giustificato dall’orrore di questa morte, rischia di deteriorare ancora di più la vita sociale, e di far crescere smisuratamente la voglia di una giustizia vendicativa.

Omicidio davvero volontario?

 

di Antonio Floris

 

È di qualche giorno fa la notizia di una donna investita e uccisa da una macchina inseguita dai carabinieri, una notizia ampiamente riportata  dai giornali e dalle televisioni e commentata con ogni tipo di accuse, condanne, desideri di vendetta. Il particolare che più è stato messo in risalto è che gli investitori erano zingari, pregiudicati, che sono fuggiti con la macchina (che non era rubata) a folle velocità, imboccando una stradina di tre metri di larghezza in senso vietato e travolgendo la donna su uno scooter.

La notizia della morte di questa donna ha suscitato nella gente sentimenti di comprensibile rabbia, ma anche dichiarazioni che a me sono sembrate avventate. C’è stato chi ha dipinto questi zingari come delinquenti in carriera, che nella loro ascesa criminale sono partiti dai furti per culminare nell’omicidio. Qualcuno ha detto che la donna è stata “ammazzata per 2 litri di  gasolio”.  Qualcun altro ha previsto che tra venti giorni gli assassini saranno liberi del tutto, liberi di ammazzare ancora, e c’è stato chi ha detto che verrà fatta una indagine per sapere come mai questi pregiudicati, nonostante i loro precedenti, erano liberi e non in carcere, e se qualcuno ha qualche colpa dovrà pagare (riferito a un giudice, s’intende).

Io però vorrei provare semplicemente a capire quali sono le colpe reali.

Se uno desse retta  a quanto scritto da certi giornali, si convincerebbe che gli zingari (che  in questo caso sono sinti, cioè zingari italiani) siano non dei ladruncoli ma degli spietati assassini, che pur di raggiungere il loro scopo, impossessarsi di pochi litri di gasolio, non  hanno esitato ad ammazzare una persona innocente. Il reato a loro attribuito sembrerebbe essere omicidio a scopo di rapina o di furto, roba da ergastolo insomma, roba da metterli in cella e buttar via le chiavi in un canale, come ha detto qualcun altro.  

In realtà io credo che le cose siano andate diversamente: gli zingari sono usciti di casa con l’intenzione di andare a rubare, ma non pensando certo di ammazzare nessuno. Sorpresi dai carabinieri si sono dati precipitosamente alla fuga. Nella fretta e con il terrore di essere arrestati si sono infilati nella prima strada che offriva loro una possibilità di salvezza, che era però una strada imboccata in senso vietato. Entrare in una strada col divieto d’accesso, per di più a folle velocità, si sa che è una cosa pericolosissima, loro oltre a mettere in pericolo la vita degli altri hanno messo in pericolo anche la loro. Se invece che uno scooter avessero incontrato un camion si sarebbero semplicemente sfracellati. La domanda è questa: perché rischiare così tanto quando sarebbe stato molto più semplice, una volta scoperti, fermarsi? Cosa avrebbero rischiato? Una denuncia a piede libero, pensano i più. Ma non è esattamente così.  Fino a qualche anno fa poteva essere così, ma con le leggi attuali le cose sono parecchio cambiate, e gli zingari, almeno uno di loro (visto che si tratta di un pregiudicato che conosce bene la strada del carcere) lo doveva sapere. Nel 2005 è entrata in vigore una legge che si chiama “ex Cirielli”, che per far accettare le modifiche al meccanismo delle prescrizioni (venne anche chiamata Salva-Previti) introdusse una serie di inasprimenti per i recidivi. Per cui può benissimo succedere che un recidivo  che va a processo con l’accusa di tentato furto, dove un incensurato potrebbe prendere una condanna sì e no di qualche mese con la condizionale, rischia tre anni di carcere da scontare fino all’ultimo giorno. Sarà stata la paura di questa condanna, eccessiva per un po’ di benzina, che ha fatto rischiare così tanto ai fuggitivi? Questo non serve certo a giustificarli, ma almeno a cercare di capire le ragioni di un gesto dalle conseguenze così gravi.

 

 

Sono sempre più assurde le morti sulle strade

 

di Maurizio Bertani

 

Morti sulle strade, famigliari che perdono i propri affetti più cari in modo violento e inatteso, spinti nel baratro della disperazione e della rabbia, una domanda ossessiva, “perché a me?”. Non c’è un perché, naturalmente, ma non si può neppure imputare questa immane tragedia al fato.

Due ragazzi sinti non sono il fato, non ci sono scusanti per aver provocato una morte attraverso una folle corsa in auto per sfuggire alla polizia, dopo un tentativo di furto che può aver provocato un danno economico di pochi euro. Eppure all’interno di tutto questo si è spenta una vita umana, una donna, madre di una ragazza di 16 anni, non avrà più la possibilità di vedere sua figlia crescere e quella ragazza non avrà più una mamma.

Io sono detenuto, un detenuto che da un po’ di tempo cerca di ragionare sulla complessità delle storie di chi commette reati, senza per questo voler prendere le difese di nessuno, perché chi ha sbagliato verrà giudicato e sanzionato nella misura che un giudice riterrà equa. Ma trovo che nella complessità di una storia vi siano mille sfaccettature, che a volte portano a situazioni fuori controllo. Un primo aspetto difficile è che i protagonisti di questa storia sono nomadi, e anche se come i sinti si trovano in Italia da generazioni non sono proprio ben visti, anzi fanno parte di quella categoria di brutti sporchi e cattivi, da tenere ai margini della società sempre e comunque.

Viviamo in una società dove mi pare che non ci sia più molta ragionevolezza, ma odio, rabbia e rancore, che spingono tutti a una spasmodica ricerca di vendetta: sono sentimenti giustificabili da parte di chi ha subito la terribile offesa di una morte assurda, ma ingiustificabili da parte di una intera società. Una società dove non si fa prevenzione, non si educa al rispetto delle regole, comprese quelle stradali, e però si ritiene che per ogni reato l’unica soluzione sia sempre più carcere.

In questa società, dove la pena non ha più un senso rieducativo, ma è sempre più profondamente dentro una vecchia idea vendicativa, tanta stampa usa parole che secondo me non hanno dentro il raziocinio che ci si aspetta dall’informazione, ma si spingono oltre, con titoli violenti e ricerca di sensazionalismo. Così è facile incanalare le scelte del lettore, che trova più semplice identificarsi con la vittima e non pensa mai che potrebbe succedergli di essere il carnefice, mentre la ragione ci dice che, magari con modalità diverse, ma a tutti possono capitare situazioni simili (il ragazzo che guida dopo aver bevuto troppo, la donna che parla al cellulare mentre è al volante, sono tutti comportamenti a rischio che possono avere conseguenze tragiche).

Le forze dell’ordine poi sono sempre più pressate dalle richieste della politica e da leggi sempre più restrittive, fatte in nome della sicurezza, in realtà il rischio è che per perseguire i colpevoli di reati anche piccoli, come il tentato furto di pochi euro di gasolio, si finisca in una spirale di insicurezza sempre più inarrestabile.

Ecco perché credo che, al di la delle proprie responsabilità personali di cui ognuno di noi dovrà rispondere, quindi anche i due giovani sinti dovranno farlo davanti a un giudice e qui non mi sento di entrare nel merito né di dare giudizi, per il resto rimango convinto che la nostra sia una società malata, i sintomi sono la mancanza di prevenzione, la continua richiesta di pene sempre più severe, il peggioramento di tutto il sistema penale, la non accettazione dell’altro, lo straniero irregolare visto come sicuro delinquente

Tutto questo già oggi spinge all’indifferenza, tanto che sempre più vediamo che, nel caso di incidenti stradali, la gente spesso non si ferma neppure a prestare soccorso.

Mi convinco sempre più che la nostra società ha bisogno di una pausa, ha bisogno di ragionare sulle mille complessità delle storie, la vita non è bianco o nero, ci sono all’interno delle storie mille sfaccettature e mille colori, bisogna cominciare a riconoscerli se si vuole migliorare la nostra società e quindi la nostra convivenza.

 

 

Temo che stiano cercando una scusa per mandare via dall’Italia tutti i Rom

Ho conosciuto tanti rom come me che lavoravano, ma spesso i lavori disponibili erano solo lavori in nero

 

di Halid Omerovic

 

Sono nomade d’origine serba e, anche se sono abbastanza giovane, ho dovuto per vari motivi “traslocare” da diversi Paesi europei, proprio perché non ero accettato dai cittadini del Paese dove soggiornavo né come persona, né come membro di un popolo portatore di tradizioni, usi e cultura diversi. Spesso ho dovuto subire i comportamenti intolleranti proprio perché avevo l’etichetta di essere un ROM. Qui in carcere ho potute leggere qualche libro e qualche rivista, dai quali ho imparato un po’ di storia di noi Rom. Ho scoperto che da sempre quelli della mia etnia sono stati visti come mostri, come un pericolo da cancellare. Ma ho letto che molti pensano che con la fine del fascismo sia finito anche l’odio per noi rom, e io però continuo a vedere che non è così. Anche la morte di questa donna, causata da due ragazzi sinti in fuga perché sorpresi a rubare, ha fatto vedere come basta un incidente gravissimo, ma non volontario, per essere esposti al processo di piazza.

Quando ho fatto la scuola media qui ci hanno insegnato che la Francia è il Paese dove hanno fatto la prima rivoluzione per conquistare i diritti per i poveri e gli emarginati. Sulle pagine del libro c’era una immagine di una manifestazione con tre parole considerate magiche: “liberté, egalité, fraternité”. Mi domando quale fraternità può esserci oggi che si fanno le espulsioni dei Rom.

La mia paura è che dare enorme spazio su giornali e televisioni a storie come quella della donna  uccisa dai due ragazzi sinti in fuga possa diventare la scusa per fare anche in Italia quello che sta succedendo in Francia e caricare tutti i Rom sui pullman per mandarli in Romania o chissà dove in giro per il mondo. Già le dichiarazioni dei politici non smentiscono la volontà di creare un clima così pesante, poi sembra che lo facciano per vendicare quella povera donna uccisa, solo che a me sembra che interessi solo mandare via noi nomadi, e ogni scusa diventa buona.

 

Ho fatto il muratore in nero per tre mesi e sono stato condannato a sei anni per estorsione

 

Io sono un immigrato iugoslavo scappato dalla Jugoslavia a causa della guerra e voglio raccontare la storia di come sono finito in carcere. Nel 2002 dopo tanto cercare sono finalmente riuscito a trovare lavoro come imbianchino alle dipendenze di un impresario italiano, che aveva una piccola ditta che si occupava di imbiancare case. Alla scadenza del primo mese di lavoro gli ho chiesto i soldi che avevo guadagnato, ma lui mi ha tirato fuori la scusa che in quel momento non me li poteva dare perché aveva dei problemi in famiglia. Ci diceva che doveva mantenere una ragazza rumena che aveva la famiglia in Romania con grossi problemi di sopravvivenza.

Quando arrivò la fine del secondo mese successe la stessa cosa, e così anche alla fine del terzo. Visto che non mi pagava ho smesso di lavorare, ma andavo ogni giorno per chiedergli i soldi con insistenza, arrivando anche alle parole pesanti.

Lui, che evidentemente non aveva nessuna voglia di pagarmi, un giorno mi chiama e mi fissa un appuntamento. Vado con la speranza di prendere i soldi, ma lui si presenta in compagnia di un altro uomo che era un suo cugino carabiniere, che mi invita a smettere di infastidire questa persona chiedendole i soldi con tanta insistenza. Io gli ho risposto che i soldi me li ero guadagnati e li volevo, e gli dissi anche di farsi i fatti suoi che lui in questa faccenda non c’entrava niente. E poi tornai alla carica con il mio datore di lavoro ancora per qualche giorno, ma poi, quando ho visto che era inutile, ho deciso di lasciar perdere e me ne sono andato a vivere in Germania, e lì non trovavo lavoro, ed  ho fatto effettivamente qualche furto. Dopo un po’ di tempo mi hanno arrestato. Durante la detenzione nel carcere di Monaco, un giorno mi è arrivata una lettera spedita dal Tribunale di Bolzano, dove era scritto che io ero stato condannato in contumacia per il reato di estorsione ai danni di quell’impresario da cui avevo lavorato, e che la sentenza era ormai diventata definitiva.

Mi sono ricordato allora che mi aveva minacciato di farmi finire in carcere e ho capito cosa voleva dire. Ho saputo poi che era andato in caserma e aveva fatto una denuncia nei miei confronti, raccontando che lui mi aveva già pagato, ma che io continuavo a chiedere altri soldi, minacciandolo di picchiarlo o di fargli dei danni. Per passare come vittima aveva dichiarato che in diverse occasioni aveva ceduto alle mie richieste, consegnandomi a più riprese delle somme di danaro.

In realtà quello che dice lui non è assolutamente vero. Forse non riu­scirò a farmi credere, ma davvero lui a me non ha dato mai niente e io, oltre ad aver lavorato inutilmente, ora mi trovo a scontare una pena di ben sei anni di carcere. Ma non solo, a causa di questa condanna ho perso i contatti con la mia convivente e con mia figlia, di 14 anni, che non mi vengono più a trovare.

 

Molti di noi il lavoro lo trovano solo in nero

 

Oggi sento parlare dell’illegalità degli stranieri e dei rom tutti delinquenti, ma faccio un ragionamento: ammettiamo che io sia colpevole di aver estorto soldi al mio datore di lavoro, in ogni caso io potevo dimostrare che lui era uno che sfruttava il lavoro in nero di immigrati senza rispettare nessuna legge, suo cugino apparteneva alle forze dell’ordine, ma usava il suo potere per proteggere le attività di un costruttore senza scrupoli, e però il Tribunale ha creduto a queste persone e io non ho potuto in nessun modo dire la mia versione. Insomma, non è che sono in mezzo a persone per bene che rispettano le leggi di questo Paese. Allora perché mi hanno condannato a così tanti anni, visto che comunque ho vissuto e lavorato in una situazione di illegalità generale?

Scontare una pena così pesante, essere per questo pure abbandonato dalla propria famiglia e poi sentir parlare costantemente che noi rom siamo tutti delinquenti è veramente doloroso.

Mi domando cosa sarebbe successo se al posto mio fosse stato un italiano con alle spalle una famiglia e magari difeso da un buon avvocato, sarebbe successa la stessa cosa? Secondo me, no.

Io, vivendo in Italia, ho imparato che molto spesso noi stranieri veniamo trattati come se fossimo degli intrusi senza diritti, e qualsiasi cosa uno dice contro di noi, anche i delinquenti più pericolosi o le persone più corrotte di questo Paese, diventa vero e molti, moltissimi gli credono.

Invece io fuori ho visto che tanti di noi lavorano, ma molti il lavoro lo trovano solo in nero facendo orari dall’alba al tramonto per paghe da miseria, e talvolta, come è successo a me, anche per niente.

Vista l’esperienza che ho avuto, una volta che sarò fuori dal carcere devo stare ben attento a come muovere i miei passi e di chi fidarmi, perché si fa un gran dire sulle illegalità degli stranieri, ma non si guarda con la stessa attenzione alle illegalità commesse dagli italiani.

 

 

I coltelli degli immigrati sono più “cattivi”?

Due immigrati accoltellati da loro connazionali, due studenti accoltellati da loro coetanei: c’è paura per un’immigrazione ritenuta sempre più violenta, ma dove sta la paura per i ragazzi italiani che accoltellano a scuola o prendono a pugni per strada?

 

Ogni volta che sulla cronaca nera ci finisce un immigrato giornali e televisioni vanno in cerca degli “opinionisti di strada”, quelli che sicuramente diranno che tutti i mali del nostro Paese nascono da loro, dagli “stranieri” che popolano le nostre periferie, già così devastate da noi, gli “autoctoni”. E invece le cose sono sempre più complicate, basta vedere come, a fianco di fatti di violenza messi in atto da qualche immigrato, ce ne stanno tanti tutti “nostri”, come il ragazzo di Roma che ha preso a pugni una infermiera rumena per strada, o gli studenti che a scuola girano con i coltelli, e li usano anche.

L’insicurezza non riguarda solo gli italiani, ma tutta la comunità

 

di Elton Kalica

 

Mentre i giornali locali hanno dedicato intere pagine alla notizia dei due nordafricani uccisi a Padova, come per una beffa del destino sono apparsi sulle pagine della cronaca nera altri due accoltellamenti. Ma questa volta si tratta di italiani che non hanno litigato di notte e nelle piazze dello spaccio, ma di giorno e nel luogo maggiormente frequentato dalle persone “normali”: la scuola. Eppure c’è una differenza abissale tra il modo in cui i giornali hanno trattato il fatto che aveva per protagonista i nordafricani, e quello in cui a prendersi a coltellate erano giovani italiani.

È curioso vedere come, da un lato, quando si tratta di delinquenti stranieri, la forma più usata per delineare un quadro di allarme è quella di andare ad intervistare le persone comuni – il negoziante, il pensionato al parco, la signora con il cane – e raccogliere testimonianze di preoccupazione del tipo “abbiamo paura di uscire di casa!”. Mentre, dall’altro lato, non sembra ci sia alcun interesse a documentare i sentimenti delle persone “perbene”, nemmeno quando si tratta di fenomeni di violenza nel luogo che dovrebbe essere più sicuro possibile dato che ci vanno i loro figli, la scuola.

Io non sono né italiano né padre, ma se lo fossi, mi preoccuperei molto di più se nella scuola di mio figlio un ragazzo italiano avesse accoltellato un altro ragazzo italiano, perché rispetto alla delinquenza da strada nelle zone di degrado troverei molto più inquietante se a scuola cominciassero a usare i coltelli.

Sono successe due risse tra stranieri, senza nessun nesso e del tutto casuali, ma i giornali hanno acceso la sirena dell’allarme rosso e Padova è diventata una città completamente blindata giorno e notte. Qualcuno potrebbe sostenere che sia giusto reagire subito e non lasciare che la situazione degeneri. Ma allora, come conseguenza della stessa logica, si dovrebbe adesso avere anche delle scuole blindate giorno e notte, studenti sotto scorta. Se prima il titolone era “Padovani sotto scorta”, oggi dovrebbero scrivere “Studenti sotto scorta”. 

Trovo interessante riflettere anche su titoli di questa natura e vedere come “Padovani sotto scorta” esprime un concetto di padovanità, che definisce quelli che hanno bisogno di essere difesi da una minaccia, e secondo questa logica la minaccia è costituita sempre dagli “altri”. Solo che quella degli studenti che si sono presi a coltellate è un’azione che rivela tutta la contraddizione di questo concetto di sentirsi padovani e italiani che devono difendersi, perché in realtà un italiano si dovrebbe sentire più in pericolo se nella scuola del proprio figlio o del nipote un ragazzo è finito in ospedale in gravi condizioni per una coltellata.

Anche noi detenuti abbiamo un numero infinito di problemi legati alla convivenza forzata di persone provenienti da tutto il mondo, però per vivere meglio cerchiamo, se possibile, di risolverli senza crea­re categorie di problemi o categorie di persone divise per etnie. Pertanto, credo che quel sentimento comune di insicurezza che c’è oggi a Padova, non riguardi gli italiani o i padovani, riguarda una comunità fatta di persone, italiani e stranieri insieme, che per vivere meglio non si possono blindare come se fossero in guerra, ma che dovrebbero discutere e ragionare per trovare insieme delle soluzioni.

 

 

È possibile che esistano reati “utili”?

 

di Bruno Turci

 

Ad un occhio attento alla lettura delle notizie sui quotidiani non può sfuggire che esiste un metodo per rappresentare certi avvenimenti criminali con un allarmismo a volte sovradimensionato. Soprattutto quando riguardano reati commessi da minoranze etniche o da immigrati irregolari. È una tecnica che si manifesta con maggiore evidenza in certi periodi. Mi riferisco agli ultimi fatti di cronaca che hanno interessato alcune tragiche morti, causate in maniera colposa o volontaria da ragazzi appartenenti all’etnia dei Sinti e di altri fatti commessi da extracomunitari provenienti dal Maghreb. Per contro hanno spesso un trattamento più “delicato” omicidi colposi commessi da italiani o tentati omicidi che addirittura hanno visto protagonisti studenti minorenni, di buona famiglia, appartenenti, come si è ormai abituati a leggere, a famiglie “normali”. Chissà poi come sono fatte le altre famiglie, quelle che non sarebbero normali.

Fermo restando che due morti avvenute nella stessa notte, causate entrambe da atti di violenza, in una città che conta poco più di duecentomila abitanti come Padova, hanno aspetti davvero inquietanti, suscitano paure legittime, mi viene, tuttavia, da fare una riflessione. Una delle morti pare sia avvenuta in una tragica rissa fra ubriachi, e infatti uno dei due ragazzi uccisi è stato colpito alla gola da una bottiglia di birra rotta. L’altro è morto in maniera davvero assurda, colpito da una coltellata alla gamba, per fatalità ha avuto l’arteria femorale recisa ed è morto dissanguato. Gli esperti in questa materia affermano che si tratta di una morte “accidentale”, una fatalità molto rara. Certo, non si deve girare con i coltelli in tasca, perché poi accade che si muoia anche per una coltellata data solo per spaventare o per ferire. Però, gli episodi sono stati stigmatizzati come una sorta di regolamento di conti tra bande criminali in guerra fra loro per chissà quali oscuri interessi nel traffico di droga. Appare chiaro che i due fatti non hanno alcun collegamento tra loro. I due ragazzi uccisi sono stati presentati come boss della droga o di chissà quale organizzazione criminale che aggredisce la “padovanità” agendo nell’oscurità. Ma davvero pensiamo che si tratti di boss?  quei due erano vestiti come i soliti disperati che per sfuggire alla miseria e alla mancanza di risorse, materiali ma anche culturali, affogano la loro vita nella birra e nella droga. E così sono morti… da poveretti! La pietà va rivolta anche a loro. Non si nega che ci siano dei problemi nell’integrazione di certi migranti, ma non si possono utilizzare certi episodi per creare delle paure ingiustificate. A sostegno di quanto scrivo c’è l’approccio di tutt’altro stile riguardo l’articolo che descrive l’episodio di aggressione avvenuto all’Istituto Venier di Venezia. Due studenti di 16 e 17 anni si sono scontrati, da un atto di bullismo si è scatenata una reazione da parte del più giovane, che ha inseguito per i corridoi della scuola il diciassettenne che lo stuzzicava e lo ha colpito con un fendente alla gola. Quel ragazzo sì che avrebbe voluto far male davvero, ma anche quello è un episodio che va inquadrato nella giusta dimensione, è un fatto grave che, tuttavia, coinvolge dei giovanissimi con una gran carica di incoscienza e di aggressività. Però, è molto inquietante che dei minorenni vadano a scuola armati di coltello e alla prima occasione non esitino a scannarsi. A mio parere questo è un episodio assai più preoccupante e più grave delle due morti della oscura notte padovana. Ma si sa, la paura, se ben indirizzata, è uno strumento che funziona sempre, specie quando si torna a parlare di elezioni.

 

 

La violenza di noi stranieri forse non è l‘unica allarmante

 

di Rachid Salem

 

Anch’io sono tunisino come alcuni protagonisti delle risse capitate in questi giorni a Padova, dove un tunisino e un marocchino sono stati uccisi in strada, e anch’io ho commesso un omicidio per strada esattamente come loro. Oggi ho trent’anni, ma ho commesso il mio reato quando ne avevo 23 e frequentavo le zone dello spaccio. Purtroppo in quelle zone si rischia sempre di litigare perché è un mondo di violenza, ma non sempre uno vuole uccidere. Io ad esempio avevo visto molti litigi, botte, qualche coltellata, più o meno come fanno gli ultras allo stadio quando c’è un derby, ma mai nessun morto. Poi ho litigato con un mio connazionale e durante la rissa ho tirato fuori il coltellino e l’ho usato. Credevo di averlo colpito  alle gambe, perché non volevo ucciderlo, e sono scappato, solo che lui è morto per la perdita di sangue e io sono diventato un assassino. Quando mi hanno arrestato, ho confessato il mio reato e durante il processo mi sono assunto tutta la mia responsabilità. Per questo ho avuto una condanna a sedici anni e sto scontando la mia pena  in carcere da circa sette anni.

Ho fatto un riassunto della mia storia per raccontare come purtroppo questi omicidi appena successi a Padova non dovrebbero essere motivo di ulteriore allarme, perché io credo che si tratti di un tragico caso, loro hanno litigato come si litiga dappertutto, solo che poi è finita con una tragedia, come è successo a me. Ho letto che uno di loro da piccolo spacciatore è diventato un boss, con la mia esperienza  posso dire che, se uno diventa un boss, è troppo occupato a comandare una zona e a difendere i suoi interessi, e non va in giro di sera, con un coltellino in tasca in una zona così conosciuta dalle forze dell’ordine. 

Vorrei precisare che non sto difendendo i miei connazionali, o dicendo che noi immigrati siamo santi, ma la cosa che mi fa star male è che i nostri famigliari, parenti e amici che lavorano da anni qui in Italia senza avere preso mai neanche una multa, per colpa di certe esagerazioni della politica e dell’informazione, subiscano anche loro la diffidenza solo perché sono nordafricani, e che i nostri figli siano guardati con diffidenza a scuola, perché sappiamo benissimo che la cronaca nera tante volte influenza anche l’opinione pubblica.  

Quando poi leggo un giornale della Campania o della Sicilia  e vedo quanti sono i morti per morte violenta, tutti italianissimi, mi domando: ma tutto questo invece è normale? Poi sento al telegiornale che due studenti si sono accoltellati, e anche in questo caso non vedo tanta polemica come quando uno straniero commette un reato. Allora mi domando: perché è così importante trovare un colpevole tra gli immigrati e farci diventare i nemici di questo Paese, mentre passano in silenzio fatti forse più gravi di quelli che ci riguardano?