Riflessioni
disordinate su carceri e volontariato
La
“quasi mobilitazione” delle associazioni di volontariato a Roma per
denunciare il disastro delle carceri in una audizione alla Commissione Giustizia
della Camera e in un sit-in davanti a Montecitorio ha messo in luce la necessità
di andare oltre, confrontandosi in una Assemblea a porte chiuse per costruire
finalmente una piattaforma comune
di Ornella Favero
Le
riflessioni che sono in grado di fare sulla “Due giorni” di Roma,
l’audizione in Commissione Giustizia della Camera il 23 settembre, il Sit in
davanti a Montecitorio il 24 e, sempre il 24, il Coordinamento del “terzo
settore carcerario” nella sede della Provincia, sono disordinate perché
disordinato è il movimento che sta cercando, oggi, di dire la sua sulle
possibili soluzioni al sovraffollamento, e però anche di andare oltre, e di
creare dibattito più in generale sul senso della pena.
Parto
da una considerazione sulle istituzioni, e più propriamente sul Dipartimento
dell’Amministrazione penitenziaria: mi ha colpito, recentemente, il fatto che
tutte le ultime circolari del DAP attribuiscano al volontariato un ruolo
fondamentale: nel far fronte ai disagi del sovraffollamento, aiutare a
rafforzare i legami famigliari dei detenuti, prevenire i suicidi. Certo, si
potrebbe dire, un riconoscimento che abbiamo voluto e cercato, ed è
senz’altro così, ma io ci vedo qualcosa di più: una situazione così
degradata, che i volontari improvvisamente si ritrovano a fare i conti con una
responsabilità esagerata, e dei compiti per i quali forse non hanno neppure le
competenze giuste.
D’altra
parte, i volontari nelle carceri ci stanno anche troppo, nel senso che troppo
spesso si arroccano nel loro ruolo di sostegno “materiale e spirituale” dei
detenuti e faticano a uscirne per portar fuori delle proposte, e per far pesare
la loro forza a un livello più politico.
Il
23 e il 24 settembre un “cartello” di realtà che operano in carcere ha
provato a proporre una due giorni di iniziative che mettessero insieme un po’
tutti per denunciare lo stato di degrado delle carceri e la desolante assenza di
interventi risolutivi da parte della politica. Il merito di aver messo insieme
questo cartello è in gran parte della Consulta penitenziaria di Roma, e del suo
presidente, Lillo Di Mauro. I limiti evidenziati in queste iniziative vanno però
analizzati, per capire come fare qualche piccolo, importante passo avanti.
23
settembre, audizione alla Commissione giustizia della Camera.
La
Commissione, presieduta da Giulia Bongiorno,
ci ha ricevuti e ascoltati. Il punto è che l’analisi di una situazione
complessa come quella carceraria avrebbe bisogno di un dibattito lungo, serio e
approfondito, in cui noi che operiamo da anni in questo settore potremmo dare un
apporto importante. Mi viene in mente l’insediamento del ministro della
Giustizia, e le sue prime proposte contro il sovraffollamento: braccialetti
elettronici, espulsioni rapide per i detenuti stranieri.
Scrivemmo allora che erano proposte inconsistenti, sono passati più di
due anni e ora l’hanno capito tutti. Però il tempo che ci viene dato in
Commissione per esporre le nostre idee, è altrettanto inconsistente: meno di
un’ora, tutto di corsa in un ascolto distratto. Interveniamo in otto
rappresentanti di diverse realtà che operano in carcere, ognuno parla del suo
settore, i bambini e le madri detenute, la salute, l’importanza di svuotare le
carceri dai tossicodipendenti. La presidente Bongiorno ci chiede di lasciare le
nostre proposte (per inciso, quando dico che sono responsabile di Ristretti
Orizzonti, lei ribatte che conosce benissimo Ristretti e che sono molti i
parlamentari che attingono informazioni dalla nostra news letter). Alla fine, mi
resta l’amaro in bocca, la sensazione triste che delle carceri non gliene
freghi niente a nessuno, ma penso anche ai nostri limiti: non abbiamo una
piattaforma comune, degli obiettivi chiari, non siamo mai riusciti a condividere
davvero una risposta seria e articolata al sovraffollamento, almeno delle parole
d’ordine da “agitare” in tutte le situazioni in cui siamo presenti, e
siamo anche in tanti.
24
settembre, ore 9, sit in davanti a Montecitorio
Il
24 mattina siamo in pochi davanti a Montecitorio, il lungo elenco di sigle che
hanno aderito non si traduce in altrettante presenze in piazza. Una volontaria
che arriva da Ancona dice scoraggiata “Purtroppo, noi restiamo sempre quelli
delle mutande”. È una constatazione un po’ esasperata, ma ha del vero: i
volontari non danno fastidio se tappano le falle che si aprono ogni giorno nel
sistema, portando in carcere prodotti per l’igiene, vestiario, biancheria, e
anche la loro presenza e la loro “assistenza” ai detenuti, ma di fastidio ne
danno molto di più se l’assistenza si trasforma in un ruolo attivo nella
tutela dei diritti delle persone detenute. Dei circa ottomila volontari
carcerari però la maggior parte forse non intende fare il passo di “uscire
dalle carceri”, magari “scioperare”, insomma diventare un soggetto attivo
in questa battaglia per il “ripristino della decenza” dentro le galere. Per
questo quando si tenta di passare a forme di intervento più organizzate e più
politiche, come sit in, astensioni dalle attività in carcere, costruzione di
una piattaforma di proposte comuni per riportare alla legalità la situazione
carceraria, ci si trova in pochi con una sensazione di totale
impotenza.
24
settembre, ore 15.30 Coordinamento nella sede della Provincia
L’idea
che si debba superare la frammentazione, anzi la polverizzazione delle
iniziative e delle proposte del terzo settore per le carceri è stata il filo
conduttore degli interventi, a partire da quello di Lillo Di Mauro, presidente
della Consulta, a quello di Franco Uda dell’Arci, di Franco Corleone per Forum
droghe, di Leda Colombini di A Roma insieme, di Elisabetta Laganà della
Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, dell’assessore alle Politiche
sociali della Provincia di Roma Claudio Cecchini.
Ma
si può fare concretamente qualcosa per uscire da questa situazione di
“frenetico immobilismo” in cui le iniziative sono sempre tante, ma
continuiamo a contare infinitamente poco?
Qualche
proposta
Organizzare
una Assemblea a porte chiuse. Due giorni di confronto serrato a cui partecipino
associazioni, cooperative sociali, Garanti e altre realtà che si occupano di
carcere, per arrivare a definire obiettivi di breve, medio e lungo termine, e
fissare le priorità. A porte chiuse perché non deve essere il solito Convegno
a cui si arriva, si fa il proprio
intervento e si torna a casa senza essersi confrontati su niente o quasi, no qui
il dibattito deve essere franco, duro, serrato, ci si può anche scontrare
duramente, ma si deve uscire dopo aver trovato una qualche forma di sintesi.
Bisogna cioè, come suggerito da Franco Corleone, fare delle scelte e puntare
con forza su alcune questioni che siano considerate dai detenuti stessi più
importanti, per esempio salute, legge sugli affetti, percorsi per costruire
alternative al carcere per i tossicodipendenti. Ma devono diventare temi davvero
condivisi, portati avanti da tutti, con parole d’ordine chiare e la capacità
di costruire iniziative forti sul territorio.
Solo
con una piattaforma comune è possibile cercare di arrivare a un confronto serio
con le forze politiche, comprese quelle dell’opposizione, ma anche diventare
interlocutori credibili degli Enti Locali.
4
suicidi in cinque giorni, 22, 23, 26, 27 anni l’età di questi ragazzi che si
sono uccisi di recente nelle carceri, dovrebbero farci capire che non c’è più
tempo per “coltivare il proprio orticello”, e che continuare a fare ognuno
la sua piccola, importante attività in carcere, senza però provare a contare
di più insieme, è oggi IMPERDONABILE.