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Tutor e Assistente Sociale due figure complesse nel rapporto coi detenuti Esci dal carcere, hai dei controlli in meno, ma nella tua vita entrano con forza figure nuove, che dovrebbero seguirti nel tuo percorso di reinserimento nella società. E che suscitano, naturalmente, una buona dose di diffidenza e sospetto
Carcere, misure alternative, dopo carcere: momenti diversi, nei quali la persona detenuta si ritrova comunque ad avere a che fare con figure professionali, il cui ruolo ha dei contorni difficili da definire: controllo, sostegno, appoggio, confronto. Se si tratta di assistenti sociali, ogni detenuta ha una sorta di "familiarità" con queste figure, e se le vede accanto, volente o nolente, in tante fasi della sua vita, il tutor invece è più recente, ha a che fare soprattutto con il lavoro nella fase della semilibertà e dell’affidamento, e suscita molta diffidenza nelle persone che sono uscite da poco dal carcere, e di controlli sono sature. Di assistenti sociali e di tutor abbiamo parlato in redazione alla Giudecca, tra detenute e volontari.
Ornella: In molte cooperative, che si occupano di soggetti disagiati, è presente la figura del "tutor", che segue i detenuti nel loro percorso di reinserimento lavorativo. Quando ne abbiamo parlato, a Padova nella redazione maschile di Ristretti Orizzonti, molti hanno espresso perplessità sul ruolo del tutor e qualche paura di ritrovarsi anche fuori "sotto tutela stretta" come in carcere. Voi cosa ne pensate? Marta: Se io dovessi volere il mio "tutor", dovrebbe essere pagato da me, o almeno da un’associazione di detenuti. Se è pagato dall’istituzione o dalla cooperativa, non è il "mio" ma è di qualcun altro. Giulia: Per chi ne ha bisogno, ci si potrebbe tassare per pagare qualcuno che dovrebbe seguire le persone in difficoltà e costituirebbe così una sicurezza a livello psicologico. Altre volte, quando abbiamo discusso di questi temi, è uscito il discorso della diffidenza dei detenuti verso figure come quella del tutor, che stanno in bilico fra la funzione di sostegno e quella di controllo: forse, se si tratta però di una persona che in qualche modo ti rappresenta, se è pagata da te e non la vedi pagata dall’altra parte, potrebbe esserci quella fiducia che spesso non c’è con chi rappresenta l’istituzione. Gianni (volontario): Questo tutor secondo me però non rappresenta necessariamente l’istituzione, altrimenti con questo ragionamento nemmeno il Difensore Civico sarebbe realmente una figura "terza", che non è né per l’uno né per l’altro. Qui torna il discorso della diffidenza, ma verso chi? Capisco se parliamo dell’istituzione carcere, se il tutor fosse una figura come l’educatore, ma se fosse pagato dal Comune o dalla Regione sarebbe davvero diverso. Giulia: Premetto questo: la "malfidenza" c’è, potrai poi valutare che non è appropriata, ma inizialmente c’è. L’altro deve dare fiducia a te, ma devi avere l’opportunità anche tu di fidarti di lui, e questo sarà dato dalla conoscenza reciproca, dall’instaurare un rapporto chiaro. Gianni: Non so se è solo questione di fiducia o se è anche perché viviamo in una società dove i valori dominanti sono il successo, il denaro, e pensare che qualcuno faccia qualcosa gratuitamente diventa impossibile. Io do anche questa lettura. Giulia: Qui c’è la malfidenza perché è naturale che ci sia, non mi sconvolgerei davanti a questo. Ornella: D’accordo, ma prova a pensare quali pregiudizi ci sono, nel mondo "fuori", nei vostri confronti: a volte il tutor è proprio una "figura ponte" con la società, che interviene lì dove ci sono dei conflitti, delle incomprensioni, delle difficoltà. Giulia: Il fatto però di rappresentarlo come una figura appartenente alla cooperativa, che fa da intermediario o accompagnatore di un detenuto che sta usufruendo di una misura alternativa, è ovvio che crei diffidenza in un detenuto. Fra Beppe (volontario): Per me la questione del tutor potrebbe anche riguardare il volontariato. Io tra l’altro ho detto più volte che noi volontari siamo sempre stati più attenti a quello che succede dentro il carcere, invece dobbiamo interessarci anche a quello che succede fuori dal carcere. Noi dell’Associazione la Fraternità di Verona abbiamo ora i primi volontari che operano con il C.S.S.A., questi hanno il compito di accompagnare il detenuto proprio per i primi passi all’esterno nella fase del reinserimento, cioè all’inizio del suo percorso nella società. Il volontario che ha questo servizio accompagna il detenuto, vede dove lavora, dove abita, e per il detenuto è importante avere un punto di riferimento, almeno nella prima fase dell’inserimento finché non è in grado di arrangiarsi da solo. Se uno ha famiglia forse non ne ha bisogno, dobbiamo però vedere le persone che escono e non sanno dove andare, quelle che non hanno punti di riferimento e che si possono trovare in difficoltà. Ornella: La discussione sul tutor a Padova è partita da un commento "acido" di alcuni detenuti: "Noi diamo da vivere a un sacco di gente!". In realtà queste sono figure professionali che seguono il detenuto anche per i documenti, le multe, i problemi pratici. In ogni caso c’è diffidenza verso di loro, così come anche verso il volontariato che lavora con il C.S.S.A., perché lo si vede troppo in sintonia con gli assistenti sociali, verso i quali c’è spesso un atteggiamento di sospetto. Fra Beppe: Fanno sempre parte dell’istituzione, mentre noi del volontariato siamo da questo punto di vista "privilegiati". A me alcuni detenuti dicono a volte: "Beppe, quello che dico a te non lo dico né all’educatore né all’assistente sociale". E con questa confidenza poi cosa fai? Non è facile il nostro ruolo, quando ricevi certe confidenze e ascolti, guai se non ascolti, e cerchi di capire se uno è sincero o meno. Con l’assistente sociale è un’altra cosa, è l’Istituzione. Difficilmente le si dice quello che si pensa. Christine: L’assistente sociale spesso non viene vista bene né fuori, né dentro, e penso che ciò sia dovuto alla questione che questo ruolo viene imposto nella maggior parte dei casi, quindi uno è restio sin dall’inizio ad accettarlo. Ma forse sarebbe utile riflettere sul fatto che il suo è un lavoro complesso e noi non conosciamo quante difficoltà o limiti si incontrano facendolo. Spesso ci sono difficoltà di comunicazione tra gli stessi operatori, immagino poi che il più delle volte loro si sentano schiacciati dalle richieste e dai limiti posti dal Ministero e dalla Amministrazione Penitenziaria da una parte, e dai bisogni e dalle critiche dell’utenza dall’altra. Marta: Non è però che le assistenti sociali le incontriamo solo qui dentro. La maggior parte delle persone che sono qui le hanno già viste anche fuori. Le pene definitive che ci arrivano, ci arrivano molti anni dopo che abbiamo commesso il reato. In questi anni vedi le assistenti sociali dal momento che ti è accaduta questa cosa, al momento che ti arriva la pena definitiva. Ornella: Parli dei casi di persone tossicodipendenti? Marta: Parlo dei casi in cui c’è una famiglia in difficoltà, anche se non necessariamente per la tossicodipendenza: l’assistente sociale allora la conosci da anni e anni e spesso non riesci ad avere un rapporto decente. Giulia: Ma fondamentalmente è vero, le assistenti sociali in genere ti complicano la vita. Ornella: Sempre queste generalizzazioni! Io conosco tante assistenti sociali, e non rispondono certo a questi stereotipi. D’altra parte sono figure istituzionali anche gli insegnanti, eppure tutti noi nella nostra vita ne abbiamo conosciuti di diversissimi. Giulia: Queste persone però partecipano all’équipe (ndr: il gruppo di operatori che si occupa del trattamento delle persone detenute), ma come fa una persona a partecipare ad una équipe se ha visto la detenuta in tutto due volte? Ornella: Questo è un problema, ma non vale solo per l’assistente sociale, vale per tutto il personale, che non ce la fa a star dietro davvero a tutti i detenuti di cui dovrebbe occuparsi. L’assistente sociale ha, come l’educatore, un ruolo delicato, ma un conto è parlare del fatto che vi sono alcune persone che interpretano male questo ruolo, un conto è estendere la critica indistintamente a tutte le assistenti sociali. Marta: I contatti che ho avuto con loro sono stati pessimi, mi veniva da pensare che sono incompetenti, oppure se non lo sono non so cos’altro devo pensare. Ornella: Questo discorso non mi convince, io so che la materia con cui hanno a che fare le assistenti sociali è fra le più complicate che vi siano a questo mondo. Facciamo un esempio: guardiamo il rapporto tra madri detenute e figli, è comunque un terreno minato. Marta: Allora perché sono quasi tutte persone molto giovani e poco competenti? Ornella: No guarda Marta, certamente io ho visto delle pessime assistenti sociali, di quelle che pensano che una madre deve essere perfetta, e che se la madre è una madre detenuta non può essere una buona madre. Però ho visto anche, al contrario, delle persone molto sensibili e ho visto delle situazioni in cui era la madre detenuta a raccontarla in un modo, che poi non rispondeva molto alla realtà. È capitato anche qui di vedere situazioni, nelle quali voi stesse il bambino alla madre lo avreste tolto subito, diciamocelo questo, no? Vi chiedo allora brutalmente: secondo voi il ruolo della assistente sociale è eliminabile? Perché prima di tutto parliamo di questo, se poi si dice no, allora andiamo a vedere se ci sono buone o cattive assistenti sociali e cerchiamo di capire in cosa si potrebbe mettere in discussione il modo di operare di alcune di loro. Però che sia una figura fondamentale in molte situazioni, questo mi sembra sia innegabile. Marta: Potrebbe essere che non funziona perché ti sembra una figura di parte, ti sembra che non sia "tua" e così, se tu hai questa diffidenza, tutto il rapporto va a farsi benedire. Ornella: Tu dici che sei diffidente, ma se trovi poi una persona disponibile cambi atteggiamento? Marta: La disponibilità arriva collaborando, tu ascolti me, i miei problemi, mi proponi le tue soluzioni e si cerca di mettere insieme le due cose, non esiste che ascolti me, proponi le tue cose e mi dici: "Così, così, così". Se io vedo un comportamento di questo tipo, so che poi non mi posso più confidare e dire quello che penso veramente, so che devo dire quello che loro vogliono per poter arrivare dove voglio. Ornella: Una cosa che salta fuori spesso è che la persona detenuta non è comunque una persona disagiata "tradizionale", mentre se tu fai l’assistente sociale fuori, per esempio con i malati di Alzheimer, con i bambini, con i disabili, hai a che fare in qualche modo con soggetti più facili, nel senso che hanno un disagio grave e tu devi fare qualcosa per aiutarli. Marta: Sono anche tutelati diversamente. Facciamo un altro esempio, invece di quello dei malati che è un altro discorso, parliamo delle famiglie con bambini che non hanno redditi, non hanno questo e non hanno quello. Tutti gli assistenti sociali hanno la tendenza, più che andarti a trovare un medico o un sussidio, a toglierti i figli, capisci? Se tu invece hai un malato o un handicappato non te lo portano via, te lo lasciano e ti arrangi. Per questo è diverso l’esempio dei malati. Christine: Ci sono delle situazioni in cui il loro ruolo è particolarmente delicato, soprattutto quando devono prendere delle decisioni che toccano il rapporto "genitori detenuti – figli". Il problema è che questa figura dell’assistente sociale è fondamentale se ha davvero una grande capacità di ascolto. Un assistente sociale non deve venire là a parlare, bisogna che arrivi e ascolti prima tanto. Per cui credo che con gli assistenti sociali sarebbe importante stabilire un confronto sui tempi lunghi, non frettoloso e superficiale. Marta: Sì, ci dovrebbero essere dei confronti, non dettati dal dovere di andare dall’assistente sociale, ma spontanei; se sono dettati dal dovere, sei già in una condizione di diffidenza, perché ci devi andare. Per farti un esempio: quando nel 1990 è morto mio marito ed io ero rimasta con mia figlia, che aveva solo due anni e mezzo, nessun assistente sociale mi ha mai chiesto se avevo bisogno di qualcosa. Quando poi tre anni dopo mi è successo quello che mi è successo con la droga, mi hanno chiamato in due secondi e si sono "presentati". E non dovrei essere diffidente? Perché quando è morto mio marito e non avevo nessuna possibilità di sostentamento non si sono presentati, anziché farlo solo quando mi è accaduto qualcosa di grave? Ti chiamano quando devono, "quando devono"… però ci sono anche altri momenti in cui uno potrebbe avere bisogno. Giulia: Ma perché non ci sei andata tu dall’assistente sociale quando è morto tuo marito? Marta: Non lo so. Se ci fossi andata forse mi avrebbero sottratto mia figlia. Antonietta (insegnante): La figura dell’assistente sociale è ambigua, no? Non si sa se lavora più nel senso del controllo o se dovrebbe fare piuttosto un lavoro preventivo. Naturalmente c’è da vedere se ci sono le condizioni e le risorse per questo o se invece l’istituzione non si cura di stanziare fondi per la prevenzione. Giulia: Voglio risponderti su questa cosa che hai chiesto adesso: scusa, ma se non ci sono i soldi per fare prevenzione e cercare di far fronte a una situazione che può essere problematica, non ci saranno neppure i soldi quando sarai completamente nella merda. Ci sono i soldi per il controllo e basta. È per questo che dico sempre, quando mi vengono davanti: il giorno che arriva il mio fine pena e metto i piedi fuori di qui, voi non sapete nemmeno più che esisto. Ornella: Scusami, ma sai quante persone ci sono nell’area penale esterna seguite dal Centro servizi sociali adulti? Una marea! Non ci siete mica soltanto voi e queste strutture non hanno possibilità illimitate di scegliersi i casi, di fare prevenzione. Noi viviamo in una società dove la prevenzione si fa pochissimo, per cui a volte è la persona in difficoltà che dovrebbe avere la capacità di chiedere aiuto. Giulia: Quando sei in una situazione problematica, sai anche cosa significa essere in mano di queste persone, sai che scatta il meccanismo del controllo. Ornella: Questo non è del tutto vero, perché io ho conosciuto molti assistenti sociali ed educatori che hanno in testa l’idea del controllo meno di tanti volontari. Giulia: Io ho fatto un bambino che ero molto giovane, mi sono trovata poi in un certo periodo nella m…. e ho pensato "me lo portano via", perché lo mantenevo da sola, me lo sono tirato su sola, ed ero in forte difficoltà. Sono andata io al Tribunale, ho detto: "Io per un anno voglio dare mio figlio in affidamento a queste, queste e queste condizioni, altrimenti prendo e vado via, piuttosto cambio città". È andata benissimo, perché io l’ho dato a chi voleva lui, ho potuto attuare le condizioni che avevo dettato, ma è una scelta mia. Marta: Se tu non fossi andata là a dire "vorrei farlo affidare per un anno", te l’avrebbero portato via. Ecco. Antonietta: Il fatto è che tutte queste figure sono figure che stanno in mezzo. Da una parte c’è il detenuto ristretto, dall’altro lato c’è il carceriere, in mezzo c’è una specie di catena di trasmissione, il cui ruolo è poco definito, no? Ornella: Però, se tu lasci perdere il carcere e guardi fuori, nei confronti dei minori, per esempio, è un ruolo difficile quello dell’assistente sociale, e non è che l’assistente sociale tolga il minore alla famiglia in nome di chissà che cosa, per una forma di sadismo. Le valutazioni credo siano lunghe e difficili, che poi le decisioni prese non siano sempre le più efficaci, questo è inevitabile, visto che parliamo di situazioni di grande complessità. Christine: Anch’io ho avuto a che fare con le assistenti sociali, per forza. Ho il difetto di non saper chiedere aiuto, e d’altronde sono abituata ad arrangiarmi da sola da sempre. Nelle occasioni in cui non ho potuto fare a meno di incontrarle, non ero mai in condizioni di poter dimostrare chissà che, anzi avevo solo cose da nascondere, sinceramente parlando. Per cui non me la sento proprio di fare delle critiche, penso piuttosto che comunque sarebbe utile tirar fuori con loro, per discuterne, tutta questa nostra ansia e questi dubbi sul loro ruolo. Parlare è già un passo verso una riduzione della diffidenza, che a volte sta da tutte e due le parti.
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