InFormaMinore

 

Una festa per riannodare quel filo spezzato

tra "giovani normali" e ragazzi devianti

 

"Voci di dentro, Voci di Fuori", è il titolo dell’iniziativa suddivisa in due momenti, il convegno nella scuola per geometri "Palladio" e la festa nell’I.P.M. di Treviso, che ha rappresentato un primo concreto tentativo di riannodare quel filo spezzato tra "giovani normali" e ragazzi devianti.

Da troppo tempo sono esclusivamente gli adulti ad occuparsi di faccende che riguardano in prima persona l’universo giovanile. L’esperto, l’operatore, il giudice, l’amministratore hanno sempre più spazi disponibili per dire la loro opinione sui giovani. A questi ultimi, di solito si riserva la possibilità di essere testati attraverso la ricerca sociale del momento, dalla quale si registreranno le voci provenienti dal "pianeta giovani".

L’esperienza fatta a Treviso, attraverso l’azione congiunta dei volontari del Centro di Servizio per il Volontariato, degli educatori dell’Istituto Penale per Minorenni e degli insegnanti di sette scuole superiori della città e della provincia, è partita dalla consapevolezza che gli adulti devono invece fare un passo indietro e creare spazi di confronto in cui i giovani prendano direttamente la parola.

Da qui il convegno del 5 aprile, nel quale i ragazzi della scuola e del carcere (questi ultimi presenti attraverso un audiovisivo) hanno discusso di legalità, misure alternative, senso della punizione, ruolo delle vittime di reati.

E poi la festa in carcere aperta agli studenti, dove il confronto è ripreso in un contesto che questa volta non era più quello percepito o immaginato bensì reale e concretamente abitato. Quella che segue è una sintesi degli umori raccolta a caldo da una delle insegnanti.

Gli studenti delle scuole di Treviso si confrontano

con i ragazzi dell’Istituto Penale Minorile

 

 

Si respira aria di festa dentro al carcere minorile di Treviso e dopo un po’ di imbarazzo iniziale non è difficile per ragazze e ragazzi coetanei scambiare qualche chiacchiera e divertirsi ascoltando la musica o ballando insieme. Ma poi quando escono, dopo aver recuperato i documenti in portineria, i ragazzi delle scuole trevigiane se ne torneranno a casa, liberi di uscire con i propri amici, mentre i ragazzi del carcere se ne dovranno stare dentro, fra quelle mura, con quelle assurde finestre, mai ad altezza d’uomo.

È questa la prima sensazione che alcuni dei giovani partecipanti alla festa organizzata presso il carcere minorile di Treviso si sentono di comunicare. La giornata è cominciata verso le undici, con l’arrivo all’istituto, struttura imponente e imbarazzante, poi l’incontro con gli ospiti e gli educatori, figure che piacciono molto, che sanno costruire buoni rapporti, che fanno un lavoro utile. Ma i poliziotti dove sono? Non si notano, sono in borghese e sanno essere discreti. L’incontro con il medico mette in luce come di carcere ci si possa ammalare, si diventa più deboli, meno resistenti alle malattie.

Poi la possibilità di stare tutti insieme, non si avvertono molte diversità; è possibile però cogliere un velo di tristezza negli occhi di chi sta dentro, le parole e gli sguardi comunicano voglia di affetto, di divertimento. Il clima è piacevole, ma ogni tanto i pensieri vanno al piano di sopra, dove ci sono le celle, dove la porta con uno spioncino, simbolo di costante controllo si chiude alle sette di sera e non c’è solo la porta, ci sono le sbarre: queste cose impressionano la memoria dei giovani studenti. Il pranzo multietnico piace molto, alcuni mai avevano assaggiato cous cous o pita; il successivo spettacolo e la musica per ballare fanno il resto per rendere il clima di festa.

A scuola chi non ha potuto partecipare, per limiti nel numero degli accessi, è curioso, vuol sapere e chi c’è stato comunica che è stata una bella esperienza, diversa dalle solite cose che si fanno a scuola, che ti fa pensare, da discutere con i propri genitori. E per quelli dentro? Non diventeranno ancora più tristi il giorno dopo?

Per i giovani non è stato difficile entrare in contatto, perché a rompere il ghiaccio era servito già il convegno tenutosi nella settimana precedente: c’era stato modo di riflettere sulla libertà, sulla pena, c’era stato il modo di scambiare le idee con altri coetanei di scuole diverse e c’era stato il video girato in carcere, le cose dette dai ragazzi dentro ,che già li avevano fatti diventare meno sconosciuti e distanti.

 

Luisa Mattana, Insegnante di Diritto ed Economia, Istituto Mazzotti, Treviso

 

 

Precedente Home Su Successiva