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Carcere: Non lavorare stanca
Nella Casa di Reclusione di Padova, una Giornata di Studi che ha messo a confronto più di 400 "addetti ai lavori" sui temi del reinserimento
di Ornella Favero
Se fuori ci si può permettere il lusso di stancarsi del proprio lavoro e desiderare solo di ridurre il tempo e le energie che si è costretti a dedicargli, in carcere il lavoro è un tale miraggio, che ci si può stancare solo di non averlo e non riuscire a trovare nulla che assomigli a una dignitosa attività lavorativa pagata. Ecco allora il senso del titolo di una Giornata di Studi, "Carcere: Non lavorare stanca", che ha portato nella Casa di Reclusione di Padova un numero enorme di operatori dall’esterno: soci di cooperative e di associazioni, assessori e funzionari di enti locali, sindaci, magistrati, industriali, sindacalisti, avvocati, operatori e detenuti di altre carceri.
Ma quali sono stati gli elementi di novità di questa Giornata? Vediamoli
400 persone che hanno esperienza di come dar lavoro ai detenuti hanno varcato i cancelli del carcere per portare la loro testimonianza. Se si pensa che ogni ospite è stato contattato prima attraverso il sito, la sua mailing list e il giornale Ristretti Orizzonti, poi personalmente, per chiedergli i dati necessari, allora davvero la risposta attenta e curiosa del mondo esterno all’invito del carcere ha del miracoloso, tanto più se si considera che ai convegni fuori spesso ci si conta desolatamente per ribadire che il carcere non interessa a nessuno.
I detenuti non sono stati solo spettatori, ma protagonisti di tutta l’organizzazione del convegno, hanno accolto gli ospiti, li hanno intervistati, hanno preparato i materiali di informazione e organizzato il buffet. Ecco allora spiegato il senso di una iniziativa, che per chi entra dall’esterno ha naturalmente dei prezzi da pagare, la coda all’ingresso per i controlli di rito, i tempi morti tipici del carcere, la pesantezza di una giornata interamente passata in galera: il senso è sentire dai detenuti i loro problemi, scambiarsi idee, far conoscere ai diretti interessati le proprie attività. Da questo punto di vista, anche i tempi dell’attesa sono diventati tempi di socializzazione e di "risocializzazione" in cui detenuti e operatori si sono confrontati su un terreno operativo e non "assistenziale".
Si è parlato di una cosa fondamentale come la circolazione delle informazioni dal carcere e sul carcere. E non si tratta di una banalità, se si pensa, per fare un esempio, che nessuno dei partecipanti alla Giornata di Studi aveva ancora capito se e come la cosiddetta legge Smuraglia, che prevede sgravi fiscali per gli imprenditori che portano lavoro in carcere, sia stata rifinanziata. Licia Roselli, presidente di Age.Sol (Agenzia di Solidarietà per il lavoro) ha raccontato quanto sia difficile sensibilizzare proprio gli imprenditori su questi temi, tanto che a 8.000 lettere spedite dalla sua agenzia alle imprese hanno risposto in 4. Ma come si fa ad attirare davvero l’attenzione di queste categorie, se non siamo neppure in grado di dirgli che agevolazioni ci sono per chi intende avviare attività lavorative in carcere? Forse è il caso allora di cominciare a rendersi conto che l’informazione non è un "di più", come tendono ancora a pensare tanti volontari e tanti operatori del terzo settore, anzi è una questione cruciale, se si vuole veramente uscire dalla logica dei "progettini" limitati alla propria piccola realtà e coordinarsi per dare forza e nuovi impulsi alla questione del lavoro in carcere e del lavoro "dopo", per chi comincia ad affrontare il delicato periodo del reinserimento. All’iniziativa di Padova era presente, comunque, Mario Carraro, uno dei più importanti industriali italiani, e questo è il segno almeno di un inizio di curiosità e di disponibilità da parte di un mondo, che finora di interesse per il carcere ne ha sempre manifestato ben poco.
Gli interventi dei relatori sono stati poco "politici" e molto concreti e hanno portato alla ribalta le esperienze più significative a livello italiano nel campo dell’inserimento lavorativo: dalla Agenzia di Solidarietà per il lavoro di Milano, all’Associazione Carcere e Territorio di Brescia, agli sportelli informativi del PILD Toscana. Un forte interesse c’è stato anche su temi strettamente giuridici, trattati con passione a partire dall’intervento di Monica Vitali, giudice del lavoro e autrice del libro "Il lavoro penitenziario", per arrivare a un gruppo di lavoro che nel pomeriggio ha rielaborato alcune proposte sulla base di un testo presentato da Alessandro Margara sulle "Norme che comportano ostacoli all’inserimento lavorativo di soggetti in esecuzione penale, in corso o conclusa".
La presenza degli enti locali da un po’ tutta Italia è stata particolarmente significativa: sono arrivati assessori da Firenze, Roma, Pavia, sindaci di piccoli paesi, funzionari, con un’attenzione forte e la voglia di confrontarsi su progetti, e non su intenzioni e promesse. Viene da pensare che, se ogni piccola comunità, come hanno fatto in provincia di Padova i Comuni di Limena e Galliera, assumesse qualche detenuto, il problema del reinserimento farebbe dei significativi passi avanti.
Infine, per far capire quanto lontani siamo da una circolazione delle informazioni per lo meno decente sulle questioni del carcere, va sottolineata una notizia data da Anacleto Benedetti, dell’Ufficio Detenuti del DAP: mentre noi che ci occupiamo di questi temi ci lamentavamo dell’esiguità dei fondi stanziati per la Smuraglia nel primo anno dalla sua entrata in vigore, delle 712 posizioni lavorative, che potevano essere coperte con i finanziamenti in questione, soltanto 333 sono state impegnate. Verrebbe da dire che "non ci resta che piangere", ma forse è meglio rimboccarsi le maniche, e lavorare di più e meglio perché le notizie comincino a circolare. L’idea che si è consolidata a Padova è anche quella di fornire ai detenuti una guida con indicazioni sulle possibilità di trovare lavoro, tramite gli uffici pubblici, gli Sportelli di orientamento, le agenzie presenti sul territorio, ma anche informazioni sull’indennità di disoccupazione, sui versamenti per la pensione, sulle multe da pagare, insomma tutto quello che per un detenuto costituisce comunque un percorso a ostacoli sulla via del reinserimento. Fasano è più bella e decorosa di qualche mese fa Intervista a Vito Ammirabile, sindaco della città di Fasano
a cura di Marino Occhipinti
Una cittadina della Puglia dove i detenuti fanno la manutenzione di edifici e spazi pubblici, curano il verde, si occupano dell’abbellimento floreale
Forse il vero passo avanti, sul terreno del reinserimento di detenuti ed ex detenuti, sarebbe che ogni paese, ogni cittadina, ogni comunità anche piccola facessero la loro parte riconoscendo che il carcere è parte della società e assumendo quindi qualche detenuto. Tra l’altro, l’esperienza ci insegna che proprio le piccole comunità, all’inizio forse più diffidenti perché la persona "diversa" si nota subito in luoghi nei quali ci si conosce tutti, alla fine sono quelle che "adottano" le persone in situazione di disagio e le "curano" con particolare attenzione. Ne abbiamo parlato con Vito Ammirabile, sindaco di Fasano che sta esattamente seguendo questa via, affidando la manutenzione e l’abbellimento della sua città a una squadra di detenuti riuniti in una cooperativa.
Credo che, da parte delle Istituzioni, ci voglia solo un po’ di buona volontà nella risoluzione dei problemi
Sindaco Ammirabile, ci spiega più dettagliatamente l’iniziativa relativa ai lavori di manutenzione che avete affidato alla Cooperativa Airone, che per queste attività impiega ex detenuti? Innanzitutto le dico che ho molto gradito la sua cortese lettera inviatami a nome delle persone detenute nella Casa di Reclusione di Padova e nell’Istituto Penale Femminile della Giudecca di Venezia. Intanto, ho appreso da lei dell’esistenza di una rassegna stampa nazionale sui temi del carcere: sinceramente non ne ero a conoscenza e la novità mi ha fatto piacere, giacché ha permesso a lei, ed ai suoi compagni degli istituti penitenziari di tutt’Italia, di sapere che qualcosa le Amministrazioni pubbliche possono fare per venire incontro alle esigenze di reintegrazione nel sociale e nel mondo occupazionale di voi detenuti, una volta scontata la pena od in regime di sorvegliati speciali. Io credo che, da parte delle Istituzioni, ci voglia solo un po’ di buona volontà nella risoluzione dei problemi: l’importante è fissare le priorità dell’agire amministrativo. E per me, quella di dare una mano agli ex detenuti ed ai sorvegliati speciali della mia città, ossia Fasano, è stata una priorità. Per questo è con vivo piacere che vi invio anche la delibera di giunta comunale dell’ottobre scorso con la quale abbiamo affidato i lavori di manutenzione degli edifici e spazi pubblici alla Cooperativa sociale "Airone", composta, per l’appunto, da 24 soci, tra ex detenuti e sorvegliati speciali.
Chi è stato l’ideatore del progetto e quali sono i vostri obiettivi? Avevo inserito questo tipo di idea nel mio programma con il quale mi sono presentato agli elettori a maggio dello scorso anno. Poi, insieme con l’assessore alle Politiche sociali Dino Arnese, abbiamo affinato quel progetto, pensando di spingere un gruppo di ex detenuti e sorvegliati speciali a costituirsi in cooperativa. I nostri obiettivi sono molto semplici, nel senso che speriamo possa derivare, da questa iniziativa, il reale reinserimento socio-lavorativo di tutti i soci della cooperativa.
Manutenzione di edifici e spazi pubblici... ripitturate intere recinzioni di scuole, strutture sociali...
Concretamente, quali lavori hanno svolto gli ex detenuti? Tanti e tutti relativi alla manutenzione di edifici e spazi pubblici. Sono state ripitturate intere recinzioni di scuole, strutture sociali come il Centro per la riabilitazione di persone disabili e aiuole degli spartitraffico. Sono stati ripuliti dei canaloni che consentono oggi, dopo anni di inefficienza, il regolare deflusso delle acque piovane e poi sono state interrate cinquemila piantine di fiori (primule e ciclamini) in varie aiuole pubbliche di Fasano e delle sue frazioni. L’idea dell’abbellimento floreale è stata dell’assessore alle Attività produttive Giuseppe Zaccaria, e qui i lavoratori hanno veramente messo in campo tutta la loro pazienza, la competenza professionale e la dedizione: posizionando con molta attenzione ed in un determinato modo i fiori, è stata creata la scritta "Fasano" e lo stemma civico della nostra città.
Quindi siete soddisfatti di come sono stati eseguiti i lavori? Siamo ancora in corso d’opera ma i lavori fin qui eseguiti hanno pienamente soddisfatto le nostre esigenze: ora Fasano è più bella e decorosa di qualche mese fa, e con l’arrivo della bella stagione le fatiche possono produrre pienamente i loro frutti.
La Cooperativa effettua esclusivamente "commesse" per conto del Comune di Fasano? Le "commesse", come le chiama lei, non possono venire da altri enti, semplicemente perché siamo noi, come Comune, ad affidare lavori di manutenzione. C’è da dire che richiedono l’intervento della Cooperativa diverse scuole per la ripulitura dalle erbacce dei cortili e per la ripitturazione di cancellate e di infissi: i dirigenti scolastici contattano noi oppure direttamente il responsabile tecnico della Cooperativa. Prima invece avevamo molte difficoltà di tipo pratico, come ad esempio trovare il personale disponibile e capace di effettuare questi piccoli lavoretti di manutenzione.
Alla luce dei risultati pensate di ripetere l’esperienza, di coinvolgere e sostenere ancora gli ex detenuti? Abbiamo già deciso di ripetere l’esperienza, tant’è che abbiamo destinato nel Bilancio di previsione 2003, approvato lo scorso 27 marzo, altri 100mila euro per i lavori della Cooperativa "Airone". Non è certamente poco per una realtà come la nostra.
Abbiamo anticipato l’appello che il sostituto procuratore della Repubblica Michele Emiliano ha lanciato...
Il vostro progetto può essere visto come una mano tesa nei confronti di queste persone, ma soprattutto l’esempio concreto che qualcosa si può fare? Sicuramente sì. Quello che ci interessa, a prescindere dai risultati, è l’impegno delle persone che stiamo aiutando, e ancor di più il discorso del loro recupero sociale e lavorativo. Come Amministrazione comunale abbiamo voluto dare l’esempio, alla città di Fasano ma non solo, di cosa si può fare per venire incontro alle persone in situazione di forte disagio sociale. In pratica abbiamo anticipato di qualche mese l’appello che il sostituto procuratore della Repubblica Michele Emiliano ha lanciato qualche settimana fa, invitando le pubbliche amministrazioni a fare qualcosa per gli ex detenuti.
Quali sono state le "reazioni" ed i commenti della cittadinanza? Hanno intuito il valore dell’iniziativa? Le "reazioni" sono state tutte molto positive. Non so se la cittadinanza abbia intuito il valore dell’iniziativa, anche perché è ancora presto (sono appena sei mesi e mezzo di effettivo lavoro) per trarre bilanci complessivi, ma è significativo che tanti cittadini si stanno affrettando a segnalare al Comune e al responsabile tecnico della Cooperativa una serie di interventi da attuare per restituire alla città decoro e vivibilità.
È la prima iniziativa del genere che come Comune avete realizzato? Quali sono stati, o quali pensa che possano essere, i risultati in termini di reinserimento sociale? Sì, è la prima iniziativa del genere che si concretizza nel nostro Comune. Del resto, io sono stato eletto sindaco poco più di un anno fa e mi sono insediato ufficialmente il 4 giugno 2002. È ancora presto per valutare i risultati relativi all’inclusione sociale, ma spero davvero, per tutti, che siano positivi.
Che genere di sostegno riuscite ad offrire a coloro che terminano la pena, anche nell’ambito lavorativo, così da scongiurare quanto più possibile la recidiva? Per il momento abbiamo pensato a questo tipo di iniziativa, poi valuteremo eventualmente altre forme di intervento. Quello che posso dire è che da parte nostra c’è tutta la disponibilità ad aiutare chi un tempo ha sbagliato, e lo stiamo dimostrando con fatti concreti. Proprio nel mese di maggio, peraltro, con delibera di giunta abbiamo approvato una bozza di protocollo d’intesa con il Centro Servizio Sociale Adulti di Lecce, per aprire un giorno al mese uno speciale Sportello Penitenziario a Fasano che funga da segretariato sociale per gli ex detenuti e per tutti coloro che sono sottoposti alla carcerazione domiciliare o ad altre misure alternative. Lo Sportello servirà anche al reinserimento socio-lavorativo delle persone che stanno scontando la loro pena da sorvegliati speciali o ai domiciliari o a coloro che sono sottoposti ad ulteriori misure alternative. Lo Sportello dovrebbe essere inaugurato prima della fine dell’estate. Una falegnameria industriale che è tra i più qualificati ed apprezzati produttori di semilavorati per serramenti
Intervista a Beppe Pezzotti, vice presidente e consigliere delegato della Cooperativa sociale Exodus di Capriano del Colle (BS)
di Marino Occhipinti
La cooperativa Exodus è naturalmente attenta al sociale, inserisce detenuti e opera perché il numero dei recidivi si riduca sempre più, ma è anche una cooperativa che nel campo della produzione di semilavorati per serramenti in legno lavora "nel modo più razionale e redditizio possibile", cioè punta alla qualità e vuole stare a pieno titolo nel mercato. Con Beppe Pezzotti, il suo vice presidente, abbiamo parlato della cooperativa, delle sue prospettive, dei nuovi progetti, fra i quali c’è la proposta, che farà senz’altro discutere, che i detenuti con ancora due anni di pena da scontare possano beneficiare di una pena alternativa al carcere lavorando in forma volontaria in una Onlus.
Ci racconta come nasce la cooperativa Exodus, con quali scopi e quali opportunità lavorative offrite ai detenuti che possono godere di misure alternative alla detenzione? Alla fine del 1987, quando l’opinione pubblica si scagliava contro la Legge Gozzini, su sollecitazione della Caritas bresciana, del Tribunale di Sorveglianza e del Direttore della Casa Circondariale di Brescia, i responsabili del Consorzio Sol.Co. di Brescia avviarono una nuova cooperativa di solidarietà sociale denominata Exodus. Il nome della cooperativa indicava chiaramente lo scopo che i soci fondatori ed i soci attuali, ancora oggi, intendono perseguire: "Dare opportunità di lavoro ai detenuti che possono usufruire delle misure alternative al carcere previste dalle leggi vigenti". I soci, con alcuni fondi messi a disposizione dalla Caritas e da alcuni privati, dal Consorzio Sol.Co. Brescia e dalla Regione Lombardia, presero in affitto un capannone nella zona industriale di Capriano del Colle, il più vicino possibile al carcere di Verziano, e lo attrezzarono per adibirlo a falegnameria industriale. Verso la fine del 1987 iniziò un’avventura che, contrariamente a tutti i presupposti di ordine economico e imprenditoriale, già alla fine dei primi dodici anni di attività vede la cooperativa tra i più qualificati ed apprezzati fornitori di ante grigliate e chiuse semilavorate in legno. Dei soci lavoratori, che hanno dato vita all’attività, nessuno aveva mai fatto il falegname o comunque lavorato nel settore del legno prima dell’impegno in cooperativa. Un incontro provvidenziale, procurato nel 1988 da don Nolli della Caritas Bresciana, con i fratelli Piceni di Chiari dell’omonima ditta "Serramenti Piceni" permise di avviare, con la loro consulenza e la messa a disposizione di congrue commesse di lavoro, un’attività di falegnameria che fornisse a loro serramenti in legno in conto lavorazione. Dal giugno 1990, dopo aver imparato il mestiere e fatto notevoli sacrifici per nuovi investimenti, la cooperativa è diventata fornitrice di semilavorati in legno di molte falegnamerie presenti sul territorio lombardo e dal 1994 in tutta l’Italia del nord. Alla fine del 1992 si chiuse il bilancio con un fatturato di un miliardo e trecento milioni, grazie al lavoro di 6 soci e 5 detenuti che avevano usufruito di misure restrittive della libertà e alternative alla detenzione carceraria, mentre nel 2001 il fatturato è stato di lire 2.650.000.000, con l’impiego di 9 soci lavoratori e 9 lavoratori svantaggiati. Per la nostra cooperativa l’attività imprenditoriale di falegnameria è stata ed è tuttora un mezzo per creare opportunità di lavoro e di reinserimento sociale di persone che possono usufruire di pene alternative quando hanno un posto di lavoro. La nostra è dunque una cooperativa sociale di inserimento lavorativo che realizza il proprio fine di solidarietà attraverso lo svolgimento di un’attività produttiva del tutto simile a quella di tante imprese. La nostra diversità consiste appunto nel fatto che accanto al nucleo fisso dei soci lavoratori e di alcuni volontari, che hanno alcune responsabilità gestionali, prestano la loro attività anche persone detenute e assoggettate a misure alternative alla detenzione.
Quali sono i principi, la filosofia di lavoro alla quale vi ispirate? Per i soci, per le persone detenute inserite al lavoro vogliamo, anche attraverso la collaborazione con i volontari, che la nostra cooperativa sia un ambiente dove sia per tutti percepibile il significato di alcuni nostri principi irrinunciabili come: - fare con impegno il proprio lavoro; - farlo serenamente; - essere attenti alle persone ed impegnati a comunicare e a collaborare; - provare la soddisfazione di svolgere bene il lavoro e di guadagnarsi onestamente di che vivere; - cercare costantemente di migliorare come persone, come lavoratori, come imprenditori, come gestori di un’azienda che opera direttamente sul mercato.
Operando in questo modo puntiamo a: - sviluppare un’azienda e creare nuove opportunità di vita e nuovi posti di lavoro; - costruire le migliori ante grigliate e antoni che ci siano in circolazione; - costruirle nel modo più razionale e redditizio possibile; - conquistarci e mantenere la stima e la fiducia di clienti e fornitori; - realizzare una buona redditività che ci permetta di migliorare il trattamento economico di tutti i nostri lavoratori e nel contempo di fare investimenti per crescere, lavorare meglio ed allargare le nostre opportunità.
Vista la tipologia dei lavoratori, mi riferisco a coloro che provengono dall’area penale, la cooperativa dispone di particolari figure di sostegno? In cooperativa dal 1992 collaborano come soci uno psicologo, uno psichiatra e un criminologo per accrescere la qualità del lavoro sociale. Dal 2000 abbiamo assunto anche un operatore sociale che tiene i rapporti con i responsabili del carcere, con il Magistrato di Sorveglianza e con il Centro Servizi Sociali Adulti. Le persone detenute, su segnalazione degli operatori del carcere, dei volontari, dei familiari ecc., venivano contattate da due soci della cooperativa autorizzati ad entrare negli Istituti di Pena, ora dall’operatore sociale.
Cosa succede in questi incontri preliminari? Vengono illustrate ai detenuti le attività svolte dalla cooperativa, le mansioni che dovrebbero svolgere in caso di assunzione, le regole e la retribuzione che è conforme al Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro delle Cooperative sociali. Dopo la stesura di un progetto personalizzato di inserimento lavorativo, la cooperativa inoltra all’autorità competente la propria disponibilità per lo svolgimento di un periodo di prova in sede attraverso la concessione di un permesso settimanale al detenuto. Superata la prova, accettate le condizioni e le regole, la cooperativa dà la propria disponibilità all’assunzione sulla base del progetto personalizzato definitivo di inserimento lavorativo comprendente le regole, i compiti assegnati, la retribuzione, la durata prevista dell’inserimento, le verifiche.
Quante persone lavorano attualmente nella cooperativa e come vengono formati i lavoratori? L’attuale nostra forza lavoro è di 20 persone, di cui 9 provenienti dal carcere ed 11 soci lavoratori. La formazione viene fatta attraverso il "lavorare facendo": in pratica la persona svantaggiata lavora con un socio fino a quando è in grado di lavorare da solo.
Il rapporto di lavoro è limitato alla fase di esecuzione della pena o prosegue anche dopo il carcere? Quando il nostro responsabile sociale incontra la persona detenuta fa un accordo sulla parola. A fine pena, e comunque solo dopo aver trovato un altro posto di lavoro, la persona esce dalla cooperativa per lasciare il posto ad un’altra persona detenuta. Abbiamo avuto comunque delle persone, particolarmente motivate, che a fine pena abbiamo pregato di rimanere in cooperativa. Tenete presente che il responsabile della nostra falegnameria ha avuto un’esperienza carceraria.
Quali sono le percentuali di successo dei lavoratori provenienti dall’area penale, in termini di reinserimento, e da cosa dipendono invece, secondo lei, le cosiddette recidive? Nella nostra cooperativa sono "transitate" 108 persone provenienti dal carcere: il 56% di queste, secondo una nostra statistica, si sono positivamente reinserite, il 23% sono rientrate in carcere dopo aver commesso un nuovo reato, mentre del 21% non abbiamo avuto più notizia. Sulle recidive, invece, vi assicuro che è particolarmente difficile individuarne le motivazioni. Vi potrei raccontare di una persona che ha fatto varie recidive per truffe e che dopo essere stata da noi ha trovato il modo, forse anche il gusto, non so, di truffare anche noi facendoci pagare 12.000.000 di vecchie lire per un infortunio a nostro avviso fasullo.
La sua associazione le ha assegnato l’incarico di seguire i problemi dei detenuti: ci vuole spiegare in maniera più dettagliata in cosa consiste, descrivendoci anche il protocollo d’intesa sottoscritto nel 1998 con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria? Nel 1997 la mia associazione, che è Confcooperative settore delle cooperative sociali denominato Federsolidarietà, mi ha incaricato, vista la mia esperienza fatta in Exodus, di seguire i problemi del carcere ed in modo particolare di promuovere tutte quelle iniziative che potessero facilitare il reinserimento delle persone detenute. Nel 1998, quando responsabile del D.A.P. era il dott. Margara, abbiamo proposto e sottoscritto un protocollo d’intesa che prevede, da parte del D.A.P., di favorire l’ingresso delle cooperative sociali nelle carceri e, da parte nostra, l’impegno a mettere a disposizione tutte quelle realtà vicine alle sedi carcerarie per fare formazione, dare lavoro alle persone detenute sia all’interno che all’esterno delle carceri. Dopo aver sottoscritto il protocollo e ulteriormente proseguita la collaborazione con il D.A.P., in questi giorni, ad esempio, stiamo concordando le modalità affinché la cooperazione sociale possa gestire, ovviamente con le persone detenute, il confezionamento dei pasti previa formazione ed una esperienza in alcune carceri. In alcune carceri abbiamo già avviato la gestione di servizi come le pulizie, la manutenzione ed altre attività in convenzione con le direzioni del carcere e le cooperative che assumono con il contratto di lavoro delle cooperative sociali le persone detenute, usufruendo poi dei vantaggi della legge Smuraglia come previsto dall’articolo 47 del nuovo regolamento penitenziario.
Ci descrive la sua proposta di lavoro volontario in Onlus quale forma di alternativa al carcere, limitatamente ai due anni di pena residua da scontare, spiegandoci i benefici che potrebbero derivare dalla sua applicazione? È presto detto: la situazione è in continua evoluzione negativa, mi riferisco ad esempio al sovraffollamento, e se tutti i detenuti che hanno ancora due anni di pena da scontare potessero beneficiare di una pena alternativa al carcere lavorando in forma volontaria in una Onlus, certamente uscirebbero dalle carceri migliaia di persone. Attenzione, detenuti che comunque uscirebbero a breve e che, in caso di inosservanza delle misure imposte o di un nuovo reato, sconterebbero la nuova e anche la vecchia pena, quindi non un indulto mascherato ma semplicemente un modo diverso e più costruttivo di pagare i propri errori: rendersi utile per la società e per altre persone in difficoltà, come ammalati, disabili, anziani. L’Ente Onlus avrebbe l’obbligo di garantire il vitto e l’alloggio (per chi non dispone di una famiglia), mentre lo Stato potrebbe, come già avviene per il servizio volontario per le donne, garantire ad ogni persona 500 euro al mese. Questo è in sintesi il mio pensiero, ma abbiamo fatto di più con una precisa proposta di legge, stesa dal prof. Carlo Alberto Romano, che ripercorre grosso modo quanto appena accennato.
Per concludere, c’è qualcosa che ha visto in carcere che si potrebbe facilmente migliorare o evitare? Innanzi tutto bisognerebbe evitare cooperative sociali fatte da soli detenuti. Noi insistiamo che vengano fatte insieme ai detenuti ma con la presenza di soci della cooperativa che possono garantire la qualità del prodotto, l’organizzazione del lavoro, il collegamento con l’esterno, e che la cooperativa abbia anche delle attività lavorative all’esterno del carcere per avere un progetto completo che preveda formazione e inserimento lavorativo all’interno del carcere, inserimento lavorativo in cooperativa all’esterno del carcere quando si matura una pena alternativa, inserimento lavorativo a fine pena in altra realtà lavorativa. Per fare questo è necessario, e noi lo esigiamo, che in carcere entri almeno un socio della cooperativa che si occupa di organizzare la formazione, il coordinamento delle lavorazioni, i rapporti con l’esterno, il reperimento di ordini ed altro ancora.
Ci sono particolari difficoltà con le quali vi trovate a fare i conti? Le difficoltà sono molte ed una delle più pressanti è il forte turn over dei lavoratori, soggetti a facili trasferimenti, poi da non trascurare sono le problematiche dovute all’entrata e all’uscita delle materie prime da lavorare, sottoposte a controlli per garantire la sicurezza, ed infine la ristrettezza dei locali di lavoro. Però non demordiamo, anzi proprio in questi giorni nella nostra zona partirà un progetto, chiamato PANTA REI, che ha avuto anche un contributo dalla Fondazione Cariplo di 1.300.000 euro su 5.000.000 di investimento previsto, che è sintomatico delle nostre modalità di intervento. Verrà realizzato un insediamento produttivo per 8 imprese sociali che occuperanno almeno 250 addetti di cui 120 persone svantaggiate, e la nostra intenzione è quella di "rompere" finalmente la separazione fra cittadini e detenuti e sperimentare progetti concreti di re-inclusione sociale, attraverso la realizzazione di capannoni per attività produttive e servizi comuni come mense, uffici ed appartamenti.
Cooperativa sociale Exodus, Capriano del Colle (BS) Proposta di legge per la modifica dell’art. 47 ter O.P.
Articolo 1
1. All’art. 47 ter, comma 1 bis della L. 354/1975 sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole "per l’affidamento in prova al servizio sociale" e prima delle parole "e sempre che tale misura" è aggiunto il seguente periodo: "ma il condannato sia comunque nelle condizioni di poter svolgere attività lavorativa a favore di una Onlus presente sul territorio nazionale". b) dopo le parole "commetta altri reati" e prima della parole "La presente disposizione" è aggiunto il seguente periodo: "Tale attività potrà essere remunerata secondo le forme previste dalla normativa vigente in tema di accesso al lavoro delle categorie svantaggiate. L’eventuale mancata prestazione dell’attività lavorativa a favore di una Onlus costituirà motivo di revoca ai sensi del successivo comma 6."
2. All’art. 100, comma 4 del DPR 230/2000 sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole "nello stesso indicato" è aggiunto il seguente periodo: "Ivi si recherà, una volta notificatogli il provvedimento, entro 5 giorni il condannato nel caso previsto dall’Art. 47 ter comma 1 bis, esprimendo formalmente l’indicazione della Onlus presso cui intende svolgere l’attività lavorativa. Allo scopo saranno messi a disposizione dei centri di servizio sociale, e delle relative sedi distaccate, gli elenchi delle Onlus che intendono rendersi disponibili ad accogliere soggetti sottoposti ad esecuzione penale". 3. All’art. 118, comma 6 del DPR 230/2000 sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo le parole "che operano sul territorio" è aggiunto il seguente periodo: "e delle Onlus che si sono rese disponibili ad accogliere soggetti sottoposti ad esecuzione penale."
Articolo 2
Entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente legge il governo si impegna ad individuare le Onlus che intendono accogliere soggetti in esecuzione penale, attraverso una verifica delle candidature pervenute al Ministero della Giustizia, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Tale verifica dovrà comprendere l’esame delle attitudini ad accogliere soggetti in esecuzione penale, della idoneità delle opportunità lavorative messe a disposizione e delle risorse previste dalle Onlus stesse per la remunerazione dei condannati ammessi a misura alternativa, anche di concerto con il Ministero del Lavoro. Entro 120 giorni, il Ministero della Giustizia redigerà l’elenco, annualmente ridefinibile, delle Onlus idonee all’accoglienza di soggetti in esecuzione penale, mettendolo a disposizione dei centri di servizio sociale per adulti e delle relative sedi distaccate, per le incombenze di cui alla L. 354/1975, Art. 47 ter comma 1 bis, così come modificato dalla presente legge.
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